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Dipendenza da gioco: da problema personale a dramma familiare

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E la dipendenza dal gioco diventa dramma familiare

Guerreschi sul padre diventato corriere della droga per i debiti del figlio «Capisco perché lo ha fatto: voleva salvarlo, ma ha scelto il modo sbagliato»
«Molte volte ci si dimentica di parlare della famiglia di una persone che soffre di dipendenza da gioco: è molto coinvolta, vive nella disperazione e nel dolore. Vive nella follia più totale. Viene a contatto con qualcosa a cui non trova una soluzione. Un padre diventa corriere della droga per saldare i debiti del figlio? Purtroppo è una modalità molto nota agli esperti: si può capire dal punto di vista umano, anche se eticamente è da condannare».

A parlare è Cesare Guerreschi, psicologo che da anni gestisce un centro per la cura delle dipendenze. Di persone disperate ne ha viste tante. Guerreschi commenta così la notizia dell’arresto di Mauro Alvise Cauzzo, 60 anni, piccolo imprenditore veneto, arrestato dalla Guardia di finanza a Vipiteno, mentre entrava in Italia con 14 chili di cocaina pura. L’uomo ha spiegato al giudice di avere accettato il “lavoretto”, dopo che il figlio aveva contratto debiti a causa della sua dipendenza: «Mio figlio si è rovinato con le slot machine», ha spiegato al gip.

«La famiglia si trova davanti ad un ragazzo che tiene pochissimo conto di quello che gli viene detto. Il giocatore d’azzardo è sempre nei guai e ha sempre bisogno di soldi. Ad un certo punto gioca rubando le carte di credito ai familiari, agli amici. Alla fine, questo comportamento malato porta all’esasperazione di tutta la famiglia, che, tra l’altro, non ha le risorse psico-fisiche per affrontare la dipendenza del proprio caro. Spesso sono oberati da debiti di ogni genere: banche, amici e conoscenti chiedono la restituzione del denaro. Ed infine: vengono a contatto con la malavita, che molte volte sta fuori dalle “case da gioco”. Attendono la preda. Sono quelli che ti avvicinano, ti danno i soldi e poi ti propongono piccoli affari illegali per ripianare il debito. Queste famiglie sono esasperate. I figli si giocano tutto».

In genere, chi frequenta centri di recupero, ha come minimo 100 mila euro di debito. «Quando non ti prestano più niente cosa fai? Finisci nelle mani della malavita. Questo non giustifica l’illegalità. Ma bisogna ricordarsi la follia e la sofferenza di queste persone. È una modalità frequente. C’è chi fa arrestare i figli, perché piuttosto che vederli finire nelle mani degli usurai o dei delinquenti, li denuncia. Fanno un “salto di qualità” e, in questo modo, riescono a fermare il declino della persona cara. È quasi l’unico modo per salvarli».

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)