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Dipendenza da internet, che fare?

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Dipendenza da internet, che fare? Intervista a Maria Moschetto


Capita sempre più spesso che i bambini ed i giovani, collegandosi con il proprio computer o attraverso i video giochi, cerchino una seconda vita del tutto virtuale per sfuggire a quella reale.


Si può rischiare di creare una vera e propria dipendenza da internet e conseguenti danni seri alla loro salute.


Le insidie si rivelano tante. Innanzi tutto problemi fisici quali l'obesità, perché si sta molte ore fermi; trombosi, perché stando seduti possono emergere problemi alla circolazione del sangue nelle gambe; infarto per quelli in età adulta.


L'abuso di Internet sarebbe determinato da un senso di vuoto, da un vissuto di solitudine e dalla difficoltà di affrontare la realtà.


In alcuni casi estremi, la partecipazione alla realtà on line (cioè virtuale) è finalizzata alla negazione di quella concreta, quotidiana, percepita come minacciosa. Questa dinamica, in un certo senso, è simile a quella che si verifica nel caso della dipendenza da sostanze.

Che fare, quindi, per aiutare i giovani e, soprattutto, qual è il comportamento che i genitori devono adottare per essere più vicini al proprio figlio?

Ondaiblea lo ha chiesto a Maria Moschetto, psicologa e psicoterapeuta.


R - «Nel 1995 lo psichiatra americano Goldberg ha denominato, per la prima volta, sulla base di dati puramente clinici, l'"Internet addiction disorder" (IAD) in termini di una nuova sindrome da dipendenza con un quadro clinico analogo, per certi versi, a quello rintracciabile nella dipendenza da una sostanza. Nardone e Cagnoni, psicoterapeuti italiani, in una loro recente pubblicazione spiegano che "la dipendenza implica tre meccanismi: la tolleranza (che comporta la necessità di aumentare gradualmente le dosi di una sostanza per ottenere lo stesso effetto), l'astinenza (con comparsa di sintomi specifici in seguito alla riduzione o alla sospensione di una particolare sostanza), il "craving" (o smania) che comporta un fortissimo e irresistibile desiderio di assumere una sostanza; desiderio che, se non soddisfatto, causa intensa sofferenza psichica e a volte fisica, con fissazione del pensiero, malessere, ansia, insonnia, depressione dell'umore".


Sono questi i tratti che oggi sono riconoscibili in coloro i quali fanno un uso eccessivo di internet per soddisfare sul piano virtuale quanto non ottengono su quello reale.


Secondo U. Galimberti
, "si giunge al punto di percepire il mondo reale come un semplice ostacolo o impedimento all'esercizio della propria onnipotenza che si sperimenta con immenso piacere nel mondo virtuale."


L'esordio di tale sindrome si colloca prevalentemente nell'età pre-adolescenziale, quella fase del ciclo di vita in cui un ragazzo si trova a sperimentare nuovi compiti di sviluppo ed è più vulnerabile ed incline a ricercare nuove sensazioni e mettere in atto comportamenti "trasgressivi".


Internet, in particolare le nuove tecnologie comunicative fra cui le chat e i social networks, permettono l'ingresso "indolore" e "invisibile" in un mondo all'interno del quale non è possibile definirsi e strutturare relazioni stabili come nel mondo reale, ma sono interazioni immediate che non richiedono alcun impegno né investimento affettivo. Il rischio è la corrispondente e concomitante "chiusura" in un mondo personale, virtuale, alienato, dove l'affettività e la relazionalità "reale" diventano marginali ed evanescenti, così come si osserva nelle patologie da dipendenza da sostanze.


La ricerca in questo campo, sempre più corposa, indica che uno dei principali fattori di protezione, che riduce la probabilità di coinvolgimento in comportamenti di dipendenza in generale, è il contesto familiare.


Uno stile educativo "autorevole", in cui si supervisiona il comportamento dei figli, si definiscono regole chiare ed esplicite richiedendone il rispetto e si comunica in modo efficace ed aperto, risulta quello più "protettivo". Nel caso specifico dell'uso delle nuove tecnologie, concretamente un genitore deve educare i figli a navigare nel web, senza criminalizzarlo, altrimenti lo renderebbe "attraente" per effetto paradosso, ma fissando delle regole specifiche.


Ad esempio, stabilire un tempo di navigazione senza considerare il PC un "surrogato" della baby-sitter; ancora, usare insieme il PC come una preziosa occasione di reciproca conoscenza di interessi e passioni, talvolta fino ad allora estranei l'uno all'altro».


La realtà virtuale offre il vantaggio di fornire gratificazioni immediate
per la sua disponibilità pressoché continua. Inoltre, l'universo virtuale rappresenta una fonte di attrazione per coloro che sono disposti allo sviluppo anche di altre forme di dipendenza comportamentali o da sostanze. Si è visto che i più predisposti a sviluppare una dipendenza da Internet, spesso, hanno difficoltà relazionali.


Questo è facilmente intuibile, osservando quanto avviene, ad esempio, nei colloqui on line via computer (le cosiddette chat). In esse si intrecciano relazioni buona parte delle quali costruite nella mente di chi le vive. Sono molto forti le tendenze ad idealizzare l'interlocutore, a creare un personaggio ideale, in cui le parti "mancanti", quelle che non si conoscono, sono colmate dall'immaginazione personale.

La sfida che viene posta da Internet e dalla realtà virtuale è rappresentata dalla valorizzazione e dall'utilizzo consapevole di ciò che di positivo esse possono offrire, senza cadere negli estremi della demonizzazione, del rifiuto a priori, o della sua esaltazione acritica. Tutto ciò può rappresentare un valido antidoto contro qualsiasi forma di uso distorto, compreso l'abuso?

R - «Condivido pienamente la sua posizione. Si osserva, tipicamente, che ad una maggiore insicurezza personale del soggetto corrisponde un maggiore bisogno di trovare all'esterno elementi che favoriscano il contenimento dell'angoscia interiore.


Il prof. Luigi Cancrini, esperto di dipendenze patologiche, formula, a tale proposito, il concetto di "automedicazione": il dipendente riceve dal proprio ambiente delle risposte vissute come insufficienti relativamente ai propri bisogni emotivi e trova la cura in un oggetto "esterno", rappresentato da una sostanza o un "tramite", che può essere rappresentato dalla rete internet.


La rete è una grande risorsa, costituisce un'occasione di evoluzione per la specie umana se, tuttavia, si rimane ancorati alla realtà quotidiana nel suo ordinario svolgersi».

 

Intervista di Giuseppe Nativo


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)