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Dipendenze: percorsi psicologici

Dipendenze: percorsi psicologici

 

Dipendenze: percorsi psicologici

 

 

La dipendenza non entra nella storia dell’uomo con le sostanze, è qualcosa con cui si è sempre coinvolti, sin dalla nascita, è la condizione iniziale di sopravvivenza e ci accompagna per tutta la vita: è la capacità di vivere insieme, di interiorizzare i legami e contemporaneamente di porsi tra gli altri differenziandosi.



Dato che l’adolescenza è il periodo in cui si ricapitolano e vengono al pettine i nodi che hanno caratterizzato la vita affettiva e relazionale fino a quel momento, dobbiamo prendere in considerazione una stretta connessione tra una dipendenza affettiva conflittuale (base di ogni disturbo psichico) e l’uso di sostanze stupefacenti, dato che è proprio in questo periodo che solitamente si inizia ad usarle.


Approfondiamo questo aspetto. La dipendenza totale dalla madre è la condizione di sopravvivenza iniziale. Crescendo il desiderio e la necessità di diventare più autonomi aumentano fino al momento dell’adolescenza, quando le esigenze di crescita e indipendenza entrano in conflitto col persistente attaccamento ai genitori. E’ un momento cruciale: più il desiderio di autonomia, il bisogno di altri al di fuori della famiglia, le spinte sessuali si fanno sentire, più la paura di affrontare il nuovo, l’ignoto, senza la protezione genitoriale, mette paura. In questo periodo si definiscono in forma stabile sia l’identità sessuale che il senso del proprio vero Sé, per cui la dipendenza familiare è temuta e vissuta come minacciosa per la propria identità.



Al tempo stesso l’ingresso nel mondo può risultare difficile e frustrante e quindi avere la certezza di poter ogni volta tornare nel nido per recuperare le forze in un ambiente che si conosce bene, è rassicurante. In questo contrasto tra l’eccitamento fornito dal nuovo, le difficoltà che esso presenta, la precarietà di un assetto narcisistico che continuamente viene messo alla prova, il ricorso alle sostanze può rappresentare una delle modalità di risposta per ridurre la tensione, per fuggire dall'ansia e dalla depressione. In altri termini l’utilizzo di sostanze stupefacenti può essere un modo per sedare il conflitto inerente le relazioni ambivalenti, per lenire il dolore della ferita narcisistica che si manifesta nel sentimento di dipendenza conflittuale dall’oggetto esterno, cioè i coetanei e tutto il mondo nuovo che gira loro attorno, ma che rinvia a quella non ancora risolta nei confronti degli oggetti genitoriali.


La droga, il bere possono diventare un mezzo per padroneggiare gli scambi tra sé e l'oggetto e stabilire distanze tollerabili. Ma le sostanze possono anche servire per migliorare le performances in campo scolastico, sportivo e ricreativo, ed ottenere così maggiori rifornimenti narcisistici per rassicurare un Io sotto pressione.


Poiché però l‘adolescenza è un periodo che attraversano tutti ma non tutti diventano tossicomani o alcolisti, cerchiamo di capire se possono esserci delle particolarità caratteristiche nella storia di queste persone. Cominciamo col dire che l’adolescenza, più che le altri fasi di passaggio della vita, si affronta bene se ci si arriva bene, cioè con un equilibrio sufficientemente buono, che significa, dunque, un giusto equilibrio tra dipendenza e indipendenza, una giusta distanza dagli oggetti d’amore infantili. Essere capaci di tenere una giusta distanza è un punto di arrivo fondamentale.


Abbiamo tutti esperienza, per esempio, della fase del bambino quando non tollera alcuna distanza dalla madre, quando non può essere lasciato solo. Il periodo in cui il bambino non ha ancora sviluppato la cosiddetta costanza d’oggetto, cioè la certezza che la madre esiste e si prende cura di lui anche se in quel momento non è presente. Per il bambino abituato alla costante presenza della madre, ogni situazione che ne preveda l'assenza apparirà inaccettabile, e dovrà provvedere a sostituirla con qualcosa che la rappresenti e sia sempre disponibile. Sarà l’orsacchiotto o la coperta di Linus, o un altro di quelli chiamati oggetti transizionali, oggetti cioè che stanno a metà tra la madre e il mondo esterno e che consentono il passaggio da questa a quello e viceversa.


In normali condizioni di sviluppo la situazione evolverà positivamente, il bambino riuscirà ad interiorizzare le relazioni importanti, a renderle stabili, e questo gli consentirà di creare dentro di sé una base sicura, un attaccamento sicuro che funzionerà sia da trampolino di lancio per le esplorazioni del mondo, sia da rifugio nel momento di riposo del guerriero. Ma se per qualche motivo questo processo non fluisce normalmente, perché le condizioni sociali, culturali e psicologiche di coloro che dovrebbero favorirlo non concorrono a ciò, se il bambino non avrà accanto a sé persone in grado di prendersi cura di lui aiutandolo a crescere e rendersi autonomo, le cose potrebbero complicarsi molto.


Quando si parla di condizioni che non favoriscono adeguatamente lo sviluppo non ci si riferisce a quelle macroscopicamente evidenti come i maltrattamenti o gli abusi, ma a quelle situazioni che possono a grandi linee essere ricondotte all’interno di quella che chiamiamo non responsività, inadeguatezza nelle cure parentali o, come dicono gli Inglesi con un termine fortemente evocativo, “neglect” termine che sta a indicare trascuratezza, mancanza di attenzione, negligenza, omissione. In sostanza agenti di cure parentali che non sono in sintonia con i bisogni del bambino. Ed un bambino del quale non si riconoscono i bisogni, che non viene sufficientemente aiutato a crescere, non sviluppa prima le sue capacità, come si potrebbe erroneamente essere portati a credere, ma le sviluppa più tardi, se mai le sviluppa, e in ogni caso le sviluppa male.


(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link:

http://www.waltercreati.it/seminari/109-alcol-droga-cibo-psicoanalisi-e-dipendenze-11-ottobre-2015

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)