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Dipendenze tecnologiche: l'Italia terza nazione per accessi a Facebook, subito dopo USA e Gran Bretagna

Dipendenze tecnologiche: l'Italia terza nazione per accessi a Facebook, subito dopo USA e Gran Bretagna

GIANLUCA NICOLETTI
ROMA. L'idillio tra gli italiani e Facebook sta diffondendosi a macchia d'olio. Nell'ultima classifica comunicata dal sito

royal.pingdom.com, tra primi dieci paesi che più frequentano il social network l'Italia è al terzo posto (alla pari con

l'Indonesia). Saremmo in 26 milioni ad essersi fatti il profilo e, a vario titolo, a seguirne le connessioni. I primi in

classifica sono naturalmente gli americani con 130 milioni d'iscritti, secondi gli inglesi con 28 milioni.
Nel presentare i dati sul loro blog, gli esperti di Pingdom, società che fornisce un servizio di monitoraggio sull'attività

di siti web, sostengono, magari esagerando un po', che se Facebook fosse una nazione sarebbe la terza al mondo, dopo Cina e

India. Come ogni valutazione sulle frequentazioni della rete i dati reali della Facebook mania andrebbero presi con una certa

cautela, aprire un profilo non necessariamente corrisponde a una costante e appassionata partecipazione da parte del

titolare, ma tuttavia non possiamo fare a meno di riconoscere oggettivamente una reale evidenza dell'immaginario legato a

Facebook negli usi e liturgie sociali degli italiani.
Non si spiegherebbe altrimenti perché molti uffici pubblici abbiano deciso di contingentare i tempi di accesso a Facebook dei

dipendenti, è evidente che l'attività paraimpiegatizia, che ai tempi di Fantozzi era la battaglia navale tra scrivanie, oggi

si è evoluta nello scambiarsi le applicazioni spiritose o nel giocare a FarmVille o Pet Society, ma forse ancora di più a

costruire una propria dimensione epica attraverso l'esercizio del social networking.
Gli italiani hanno sicuramente trovato in Facebook uno straordinario strumento di rappresentazione di velleità individuali,

quel moltiplicatore di virtù presunte che mai la commedia riuscì a rappresentare in maniera così diffusa. Questo significa

che nel nostro paese non si sta sviluppando una malattia sociale legata all'uso compulsivo degli strumenti di socializzazione

web 2.0, in realtà Facebook è una protesi che si adatta perfettamente alla struttura dell'italiano medio, lo dilata

emotivamente, ma non lo istiga a comportamenti che non gli siano naturalmente propri.
Non a caso la frase più ascoltata durante quest'ultima estate vacanziera è: «Dai facciamo una foto che dopo la mettiamo su

Facebook!». È il sintomo dell'ansia collettiva di strappare brandelli al quotidiano e immortalarli nella galleria

dell'immaginario condiviso. Non si parla unicamente di giovanissimi smanettoni, come vorrebbe ogni più logoro luogo comune,

ma anche di signore e signori di mezza età che trovano nell'esercizio quotidiano del cambio di «status» un'efficace maniera

per lanciare messaggi subliminali in occasionali, quanto impegnative, derive sentimentali. Facebook sta trasformando

tranquille casalinghe e placidi ragionieri in scatenati cultori del multitask erotico, mai ci fu più malandrino attentatore

alla serenità della coppia, ma solo perché quello che si faceva di nascosto oggi è sotto il controllo di tutti.
Non è un caso che gli italiani abbiano colmato il proprio «digital divide» raggiungendo primati mondiali in due pratiche web:

il gioco d'azzardo on line e il social networking. Entrambe le attività sono tenacemente legate al raggiungimento spasmodico

dell'obiettivo massimamente ambito del «Vorrei oltre i miei limiti». Chi vorrebbe esser ricco senza fatica tenta la fortuna

al gioco, chi invece ambisca a essere bello, seduttivo e ricercato, sceglierà con cura le foto di quell'estate in cui era più

in forma che mai o magari con lo sguardo perduto nella profondità del proprio pensiero...
Una fanatasmatica ricostruzione di sé che Facebook aiuta tutti a realizzare, anche per chi desideri sentirsi dalla parte del

bene e ingaggiare la propria battaglia (senza rischi) contro il lato oscuro della forza. Facebook è il grande amplificatore

del dissenso che non richiede concreta militanza. Una foto di Berlusconi è capace di accendere migliaia di veementi reazioni,

ma accade anche quando è postata un'immagine di animali maltrattati o cuccioli abbandonati. Stiano sereni gli apocalittici,

nulla cambierà grazie a Facebook, ma tutti potranno aver la soddisfazione di pensare di esistere e poter dire la loro.