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Droga e dipendenza: provo solo una volta e poi smetto

Droga e dipendenza: provo solo una volta e poi smetto

 

Droga e dipendenza: provo solo una volta e poi smetto

 

Lo scenario è tristemente noto: il paziente fa un tiro di cocaina, o usa un’altra droga “solo per provare”. Forse vuole davvero provare una volta sola, magari per “fare esperienza”, ma nelle settimane e nei mesi seguenti si ritroverà ad amare così tanto l’effetto euforizzante della droga da ricercarlo continuamente.

 

Prima o poi, infine, deciderà che è il caso di smettere.

 

Sa perfettamente che, nonostante l’impareggiabile benessere a breve termine, gli effetti sul lungo periodo dell’uso della cocaina sono pericolosi. Alla fine, quindi, giura di smettere.

 

Il cervello ha tuttavia dei programmi ben diversi: ora è lui a richiedere la cocaina.

 

Razionalmente sa fin troppo bene che non dovrebbe più usarla, ma il cervello non tiene conto di questi avvertimenti. Lui non lo sa, ma l’uso ripetuto della cocaina ha provocato alterazioni drammatiche sia nella struttura sia nella funzionalità del cervello. In realtà, se avesse saputo a quali segnali d’allarme fare attenzione, avrebbe capito immediatamente che l’effetto euforizzante della cocaina è già un segnale sicuro che la droga sta provocando un’alterazione cerebrale. Avrebbe anche saputo che, col tempo, man mano che l’uso della droga diventa sempre più costante, l’alterazione cerebrale si aggrava sempre più, fino a diventare indelebile.

Il cervello, in parole povere, diventa dipendente dalla droga.

 

 

Il desiderio di smettere

Quindi, nonostante abbia giurato di non fare mai più uso di cocaina, continua a usarla. Non riesce a smettere.

 

Non riesce a controllarsi. Ne fa un uso compulsive. È dipendente.

 

Per chi fa uso di droghe quest’evoluzione giunge inaspettata, ma per i ricercatori che studiano gli effetti di dipendenza non è una sorpresa: si tratta invece di un esito prevedibile.

 

A dire il vero chi inizia a fare uso di droga non ha nessuna intenzione di diventare dipendente: tutti lo fanno per provare, una volta sola o diverse volte. Tutti iniziano con un uso occasionale che, almeno all’inizio, è volontario è controllabile. Però, con il passare del tempo e con l’uso continuo, la volontà cede il passo alla compulsione. Questo cambiamento si verifica perché, con il passare del tempo, la sostanza assunta altera il cervello, alle volte con cambiamenti evidenti e tossici, altre volte in maniera più sottile, ma sempre in modi dannosi che fanno sì che l’uso diventi compulsivo o addirittura incontrollabile.

 

Le basi del problema droga

In realtà la dipendenza da droghe è una vera e propria malattia cerebrale. Ogni forma di abuso di droga è caratterizzato da un fattore ben preciso che danneggia o trasforma il cervello, ma molti dei risultati della trasformazione sono sorprendentemente comuni e non dipendono dal tipo di droga: ovviamente in tutti i casi il risultato è l’uso compulsivo.

 

I cambiamenti cerebrali vanno da quelli dei processi biochimici, basilari e di lunga durata, ai cambiamenti dell’umore, fino ad arrivare alle modifiche della memoria e delle abilità motorie. Tutti hanno un impatto devastante sugli aspetti del comportamento. Si può dire che, nel caso della dipendenza, la droga diventa il motivatore unico e indispensabile della vita del paziente, che potrebbe fare teoricamente di tutto pur di procurarsene una dose.

 

Nessun fumatore inizia a fumare per procurarsi un tumore ai polmoni, nessuno mangia cibi fritti solo per ostruirsi le arterie e avere un infarto, nessuno inizia a drogarsi per diventare dipendente.

 

In tutti i casi, nessuno inizia a comportarsi in un certo modo avendo ben chiaro in mente che le conseguenze per la salute sono tragiche, ma alla fine le conseguenze si verificano eccome e sono dovute all’azione di processi biochimici inesorabili, distruttivi e silenti.

 

Non abbiamo ancora elencato precisamente tutti i fattori che provocano le modifiche della struttura e della funzionalità del cervello, ma tutta una serie di tristi esempi dimostra che è praticamente certo che l’uso prolungato delle droghe si trasformi in dipendenza. Prove alla mano, quindi, si può affermare che la dipendenza sia una malattia cerebrale.

 

Questo discorso, però, fa a pugni con la concezione tradizionale, secondo cui la dipendenza dalle droghe si ridurrebbe a un vizio caratteriale e chi ne soffre avrebbe semplicemente una volontà troppo debole per smettere senza alcun aiuto. Le considerazioni morali sono in contrasto con le prove scientifiche e quindi devono essere abbandonate.

 

Occorre però sottolineare che affermare che la dipendenza sia una malattia cerebrale non equivale a dire che i pazienti dipendenti non siano responsabili delle proprie azioni, o siano vittime inermi e inconsapevoli dell’effetto delle droghe sul loro cervello su tutti gli ambiti delle loro vite.

 

Il loro comportamento iniziale è stato fondamentale per portarli sulla strada dell’uso compulsivo di droga, ma anche l’atteggiamento durante la fase di dipendenza ha la stessa importanza, perché sono in grado di scegliere se farsi curare e guarire.

 

Come minimo dovrebbero cercare di attenersi ad un programma terapeutico, che però può rappresentare una sfida enorme: le alterazioni cerebrali che li hanno trasformati in consumatori compulsivi di droga non facilitano di certo il controllo delle proprie azioni e il completamento della terapia. A complicare ulteriormente le cose c’è il fatto che il desiderio di droga diventa più forte e irresistibile quando sono esposti a una qualsiasi situazione che scatena il ricordo dell’esperienza euforizzante. Non stupisce quindi che la maggior parte delle persone dipendenti non riesca a smettere da sola, nemmeno volendolo (ad esempio ogni anno solo il 7 per cento di chi tenta di smettere di fumare da solo ci riesce, e la percentuale è ancora ottimistica). Ecco perché è essenziale partecipare a un programma terapeutico anche quando, all’inizio, ci sono delle resistenze.

 

Il parere condiviso da molti, che la dipendenza debba essere spiegata solo dal punto di vista biologico o solo da quello comportamentale e che le due cause viaggino su due binari separati, è gravemente inesatto. Alle spiegazioni biologiche e comportamentali dell’abuso di droghe deve essere dato lo stesso peso: devono essere integrate se vogliamo raggiungere una conoscenza delle cause profonde della dipendenza e quindi sviluppare terapie più efficaci. La scienza moderna ha dimostrato che ridurre la spiegazione comportamentale a quella biologica, o viceversa, presenta dei rischi.

 

Dobbiamo riconoscere che il disturbo cerebrale causato dall’uso di droga non può e non dovrebbe essere isolato artificiosamente dalle sue componenti comportamentali e, in generale, da quelle sociali di più ampio respiro. Tutte le tessere del puzzle sono importanti e interagiscono costantemente, in un gioco di cause e conseguenze.

Terapie per smettere

 

Le ricerche hanno ampiamente dimostrato che le malattie cerebrali raramente (per non dire mai) sono causate soltanto da fattori biologici. Al contrario i disturbi come l’ictus, l’Alzheimer, il Parkinson, la schizofrenia e la depressione hanno tutti una dimensione comportamentale e sociale. La peculiarità della malattia cerebrale causata dall’abuso di droga è il suo inizio come comportamento volontario. Tuttavia, una volta che l’uso protratto di droga provoca alterazioni strutturali e funzionali del cervello e sfocia nella dipendenza, il cervello devastato del paziente assomiglia molto a quello di chi è stato colpito da altri tipi di disturbi cerebrali.

 

È inoltre importante tenere a mente che la dipendenza in molti pazienti è considerata come disturbo cronico, cioè come malattia che può teoricamente durare per tutta la vita. Le ricadute sono un fenomeno frequente in tutte le forme di disturbi cronici, dall’asma al diabete, dall’ipertensione alla dipendenza. Le varie terapie devono quindi mirare alla gestione del disturbo ed all’allungamento degli intervalli tra le ricadute, fino a farle scomparire, come nel caso degli altri disturbi cronici.

 

Un numero sempre crescente di prove sperimentali evidenzia che i programmi terapeutici più efficaci per superare la dipendenza da droga comprendono una serie di approcci diversi:

 

terapie farmacologiche,

terapie comportamentali,

interventi sociali e riabilitativi.

 

Il National Institute of Drug Abuse ha recentemente pubblicato un articolo che spiega molte delle terapie che allo stato attuale sembrano più promettenti. Il lavoro evidenzia che i programmi che fanno registrare i maggiori successi sono quelli che curano l’individuo in tutte le sue componenti, le strategie adottate danno importanza alle peculiarità sociali e comportamentali della terapia e della guarigione dalle dipendenze, ma anche agli aspetti biologici. In questo modo chi ha fatto uso di droga ha maggiori probabilità di superare le conseguenze inattese della dipendenza e di tornare a vivere una vita normale e piena.