"Drogati" di abbronzatura: gli Usa scoprono una nuova malattia
"Drogati" di abbronzatura: gli Usa scoprono una nuova malattia
Drogati di abbronzatura, o tanoressici. Dopo le sigarette e il cibo spazzatura, negli Stati Uniti è scattata una nuova sfida
di sanità pubblica. Quella della prevenzione dei tumori della pelle, melanoma per primo (50.000 morti all'anno in tutto il
mondo), non più indotti dal sole ma dall'abbronzatura compulsiva, artificiale, mantenuta tutto l'anno grazie ai tanning
salons (i centri specializzati o solarium). Circa 30 milioni di americani, il 10 per cento della popolazione, li frequentano.
Un adolescente su quattro. Addirittura d'estate, addirittura mentre si è in vacanza al mare. Ogni giorno il lettino
abbronzante viene utilizzato almeno un milione di volte. E un terzo delle adolescenti americane a 19 anni avrebbe già fatto
minimo tre lampade. I giornali, anche quelli liceali, sono pieni di pubblicità di tanning salons.
Dermatologi e psichiatri sono in allarme, da quando nel 2005-2006 furono scoperti, e studiati, i primi bronzeo-dipendenti.
Oggi sarebbero circa sei milioni i «malati» nei soli Stati Uniti. Di quale patologia? I tabloid, prima dei medici, l'hanno
chiamata tanorexia, tanoressia in italiano. In realtà, sarebbe più corretto tanimia (fame di abbronzatura): esagerata
compulsione ad esporsi agli ultravioletti «freddi», quelli da lampada. Se l'anoressico non si vede mai abbastanza magro, il
tanoressico ritiene di non essere mai sufficientemente abbronzato. Fino alla dipendenza. E alla crisi di astinenza (tanning
addiction) in assenza di «bagni» abbronzanti: nausea, vomito, febbricola, dolori. Insomma, come quando si disintossica chi fa
uso di sostanze oppiacee. Una dipendenza che si manifesta sfidando tumori (il 75% di rischio in più a partire dai 35 anni in
chi abusa dei lettini) e la certezza di rughe precoci. Al contrario, è ancora esigua nel mondo la schiera dei visi pallidi,
dei sempre protetti dagli ultravioletti, dei cultori di una carnagione che ricorda lontane nobiltà, anche mediterranee, in
cui il pallore caratterizzava l'aristocrazia femminile e l'abbronzatura quella maschile. Questa si è moda emergente, ricerca
di bellezza salutista. L'abbronzatura artificiale, invece, non sembra proprio sinonimo di salute.
Come si comporta un tanoressico? D'estate tende a prolungare l'esposizione al sole per oltre 6 ore (anche in quelle più a
rischio: 11-18) aggiungendovi anche un po' di lampada, a cui ricorre poi durante tutto il resto dell'anno. Un tanoressico su
3, inoltre, considera esagerati gli allarmi lanciati dagli esperti. E uno su 4 ritiene che l'esposizione alle lampade non
costituisca rischi. Il 20% di questi ultravioletti-dipendenti accetta l'aumento delle rughe, il 17% anche rischi maggiori.
Negli Stati Uniti, la battaglia ai centri per l'abbronzatura artificiale è partita: da luglio c'è una tassa-salute (del 10%
per ogni trattamento), un disegno di legge è in discussione al Congresso per regole più rigide e divieti a tutela della
salute (non più di 20 minuti di esposizione e lettini vietati fino ai 18 anni, come richiede l'Oms). Anche l'Agenzia federale
del farmaco (Fda) sta per esprimere un parere definitivo sulla sicurezza di queste apparecchiature. Ci sarebbe correlazione
tra l'esposizione agli Uv artificiali e la maggiore frequenza di melanomi e carcinomi cutanei. Già nel 2006 l'Organizzazione
mondiale della sanità (Oms) aveva classificato i lettini abbronzanti come carcinogeni di tipo I. Ed ecco, sull'ultimo New
England Journal of Medicine (6 settembre), una possibile spiegazione della dipendenza correlata alla maggiore produzione di
melanina.
Una forte e ripetuta irradiazione con ultravioletti da lampade artificiali (in prevalenza di tipo A, detti freddi rispetto
agli Uv di tipo B, più naturali e detti caldi), può danneggiare il Dna dei cheratinociti (le cellule che producono cheratina)
e aumentare di molto il numero dei melanociti (le cellule che producono melanina) e di beta-endorfine. Ormoni morfino-simili
che agiscono sull'umore, sul senso di soddisfazione: la loro mancanza, o riduzione, provoca un senso di privazione. «Ecco
perché si crea la dipendenza», dice Andrea Peracino, della Fondazione Giovanni Lorenzini. E in Italia? Matteo Cagnoni,
direttore dell'Istituto di ricerca di dermatologia globale a Ravenna, è uno dei primo studiosi della tanoressia. Ha
commissionato una ricerca su 4 mila persone, scoprendo che questa «malattia» riguarda circa il 20% degli italiani tra i 25 e
i 54 anni, in leggera prevalenza donne, e soprattutto al Nord.