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E se poi prende il vizio? Il vino e i bambini

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E se poi prende il vizio? Il vino e i bambini. Parliamone
Fiorenzo Sartore

Dissapore riprende la polemica avviata da La 27esima Ora, blog del Corriere, sul rapporto tra bambini e vino: qual è l'età giusta per avvicinarsi? Pareva brutto, su Intravino, non partecipare al dibattito: siamo tutti enofili, e tutti, ad un certo punto, abbiamo cominciato a bere vino. Quasi nessuno, immagino, ha cominciato da maggiorenne. C'è un limite, sia in termini di età e quantità, che possa essere consigliabile? Il Corriere della Sera traccia il solco, Dissapore si interroga, ognuno ha un'idea in proposito. Questa è la mia.


Io credo che i bambini non debbano assaggiare nemmeno un'oncia di vino. Nel caso riportato da La 27esima Ora il bambino ha 12 anni: penso che sia ancora troppo presto, anche solo per piccoli assaggi. Personalmente, ho cominciato a gustare brevi sorsi di vino, a fine pasto, intorno ai 15-16 anni - ed è questa l'età giusta. Pian piano ho coltivato questo consumo, credo assai responsabile, grazie all'educazione che ho ricevuto in famiglia: preciso che io per mestiere vendo vino, e provengo da una famiglia di commercianti di vino. Come il figlio di Marco Cremonesi (il giornalista del Corriere) ho cominciato intorno a quell'età a seguire papà in giro per cantine, dai fornitori dell'osteria (e ovviamente ho ricordi gloriosi di quelle esperienze), ma mio padre non ha mai provato a farmi assaggiare alcunché: ha lasciato che l'interesse sorgesse, in qualche modo, naturalmente. Ora che anche io sono padre, mio figlio (10 anni) deve stare alla larga dal vino. Vede che papà e mamma lo bevono (e mi chiede com'è, si informa, è curioso) ma io gli ho sempre spiegato che non è roba per lui, non ancora, e lui accetta serenamente il fatto. Si chiama "educazione al consumo", e come dicevo, ognuno ha un'idea precisa in proposito, che non è necessariamente la mia - il giornalista del Corriere ne ha una diversa. Io, come vedete, ho solo un limite più stringente.


Tuttavia.


Io sono francamente annoiato dalle crociate perbeniste e proibizioniste. Stiamo prendendo una piega odiosa (scusate). All'ultimo Vinitaly c'erano i soliti avvisi "proibito l'ingresso ai minori, anche accompagnati" e, classicamente, c'era pieno di genitori coi bimbi, magari nel passeggino, che giravano tra gli stand. A me piacerebbe che il tema venisse affrontato con qualche serenità, in chiave, appunto, di "educazione al consumo". Che non ha niente a che fare con certi isterismi anti alcolici che stiamo evidentemente importando (ri-scusate) dagli americani. Se è vero, ed è vero, che l'alcol va consumato con grandissima misura, è altrettanto vero che il consumo del vino appartiene, in modo profondo, alla nostra cultura e alla nostra storia - e lasciamo perdere per un attimo gli aspetti finanziari della produzione di vino in Italia. Il punto è che noi beviamo vino, mangiamo pane, pasta, facciamo la pizza. Io non sopporto le campagne moralizzatrici tanto isteriche quanto inefficaci che vorrebbero, confusamente, modificare il nostro stile di vita. Semplicemente, non accetto quel genere di lezioni.


Da genitore, per esempio, sono al momento preoccupato (poco, ma lo sono) dal fatto che mio figlio stia sviluppando un certo interesse a bere la Coca-Cola. Ne fa un uso abbastanza morigerato (talis pater) ma, insomma, vedo che la Coca Cola sta avendo successo. Le bevande gassate, assieme al junk food, sono alla base dell'odiosissima obesità infantile, un altro tipico problema che viene affrontato a forza di urlacci terroristici, campagne d'opinione inefficaci, e poi lasciato allegramente a sé stesso, visto che le pubblicità sono piene di bambini (magri) che bevono Coca-Cola. Nessuno che si scandalizzi, pare: si vede che con la Coca-Cola ha vinto il buon senso, e si preferisce consentire l'educazione al consumo. Chissà cos'ha la Coca-Cola, che invece manca al mondo del vino.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)