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Ebbrezza e prova documentale

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Ebbrezza e prova documentale
di Michele Leoni*
Fra i tanti equivoci in cui cadde il legislatore quando concepì l'attuale codice di procedura penale, entrato in vigore nel 1989 (equivoci in

cui tutt'oggi persevera), vi fu quello di improntare il processo penale al principio dell'oralità (ossia, di imperniarlo sulla prova

testimoniale), quando il mondo, le relazioni umane ed economiche, le comunicazioni, insomma la realtà, già andavano e oggi più che mai vanno sempre più nel senso della documentalità.
Tutto sta diventando documentale e soprattutto documentabile, in via scientifica o informatica. Tutto, cioè, ormai lascia una traccia

indelebile e difficilmente confutabile. Stiamo facendo una telefonata con il cellulare e stiamo lasciando l'impronta della nostra presenza,

definita fin nei decimi di secondo, nell'universo mondo delle celle e delle connessioni in cui ci stiamo muovendo. Lo stesso se mandiamo un

e-mail da un determinato computer. Come lasciamo la nostra firma attraverso il DNA con una semplice alitata. Tra alcuni anni, quando Google

Maps sarà fruibile attraverso il satellite in tempo reale, tutti potremo vedere tutti uscire di casa, andare in un luogo con un'auto o a

piedi, e poi evocare quelle immagini a piacimento.
Bene. Con tutto ciò, per fare un processo penale occorre ancora (e, visti i tempi e l'incultura giuridica che impera, occorrerà forse per

decenni) citare in giudizio i cosiddetti testi di polizia giudiziaria, che devono stancamente riferire quello che hanno visto, le indagini

che hanno fatto, gli oggetti che hanno sequestrato, chi e quali conversazioni hanno intercettato, tutte cose già scritte e ribadite negli

atti, con una perdita di tempo immane e una sovrana inutilità. Mentre la prescrizione decorre e matura allegramente, con tanti saluti alla

certezza del diritto, della pena, e della responsabilità.
Fra le applicazioni aberranti di questo stato di cose, puntualmente, vi è anche la prassi di citare come testi gli operatori di polizia che

effettuarono gli accertamenti con l'etilometro e, attraverso l'uso di questo strumento, verificarono il superamento della soglia di

punibilità penale (0,8).
Questi testimoni devono andare in giudizio a dire che: sì, è vero, loro accertarono quello che ha rilevato la macchina dell'alcoltest, ossia

quanto sta scritto ed è attestato nello scontrino, o "strisciata" che dir si voglia, emesso dallo strumento. Devono dire, in pratica: "Sì, io

ho fatto queste operazioni materiali con l'etilometro ed è venuto fuori questo risultato".
Qual è l'utilità di ciò? E' già tutto certificato e comprovato dalla documentazione agli atti (verbale di assunzione di alcoltest con annesso

scontrino). Quale obiezione sarà mai possibile formulare al riguardo? Quale contestazione? Forse: ma era sicuro che l'etilometro funzionasse

bene? Ma lei lo ha azionato come si deve? Lei, giudice, può controllare se quello che dice il poliziotto è regolare? Lei che non se ne

intende.
Sarebbe come se, in occasione di una verifica contabile, la Guardia di Finanza, trovando migliaia di scontrini, chiamasse tutti i negozianti

che li hanno emessi e chiedesse a ognuno di essi se è vero che li hanno rilasciati loro (come sta scritto ed è attestato su ogni singolo

scontrino), proprio quel giorno e a quell'ora e in quel minuto secondo (come sta scritto ed è attestato su ogni singolo scontrino), proprio

nel loro negozio (come sta scritto ed è attestato su ogni singolo scontrino), per verificare... Che cosa?
Quando succedono queste cose, io ci resto secco, direbbe il giovane Holden Caulfield. Considerato che la guida in stato di ebbrezza è una

contravvenzione, quindi soggetta alla prescrizione di quattro anni (cinque se si interrompe), considerati i tempi biblici della giustizia,

sempre più affogata da reati e reatucoli, procedure farraginose e macchinose, carenza cronica di personale (da ormai tredici anni si evita

accuratamente il turn over, visto che, evidentemente, non si tratta di un servizio essenziale), la prescrizione ormai per questo reato è

quasi automatica. Basta semplicemente celebrare il giudizio (atto dovuto e necessario se il contravventore non accede a riti alternativi o

non paga a seguito di decreto penale), dover attendere anche i tempi necessari per far venire i testi di polizia giudiziaria a deporre (i

quali, spesso, la prima volta non vengono perché sono impegnati altrove, in altre mansioni di ufficio non meno importanti), e la prescrizione

è già qui.
Anche se, a pensarci bene, con un po' di coraggio e di spericolatezza, si potrebbe direttamente acquisire il verbale di alcoltest e la

relativa "strisciata", in quanto si tratta di prove documentali, e così ovviare alla prova testimoniale.
La Cassazione ha infatti affermato che: "il verbale contenente gli esiti del cosiddetto ‘alcooltest', per l'accertamento della guida in stato

di ebbrezza alcoolica, non è soggetto al deposito previsto dall'art. 366 comma primo cpp, in quanto si tratta di un atto di polizia

giudiziaria, urgente e indifferibile, al quale il difensore, ai sensi dell'art. 356 stesso codice, può assistere, senza che abbia il diritto

di preventivo avviso" (Cass. 28.7.2006, n. 26738) e che: "in tema di guida in stato di ebbrezza alcolica, l'accertamento strumentale di tale

stato (cosiddetto ‘alcooltest') costituisce atto di polizia giudiziaria urgente ed indifferibile cui il difensore può assistere senza diritto

ad essere previamente avvisato, dovendo la polizia giudiziaria unicamente avvertire la persona sottoposta alle indagini della facoltà di

farsi assistere da difensore di fiducia" (Cass. 13.7.2007, n. 27736).
E del resto è vero: la prova dell'etilometro, infatti, è un accertamento cosiddetto irripetibile, e la Cassazione ha anche affermato che:

"sono da considerare atti irripetibili quelli mediante i quali la polizia giudiziaria prende diretta cognizione di fatti, situazioni o

comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale e suscettibili, per la loro natura, di subire modificazioni o, addirittura,

di scomparire in tempi più o meno brevi, sì da risultare tali da essere, in seguito, soltanto riferiti" (Cass. 24.8.2010, n. 32268; idem, in

precedenza, Cass. 30.4.1996, n. 6371; Cass. 10.11.1997, n. 10145; Cass. 3.4.1998, n. 4132).
La Corte ha ulteriormente chiarito che: "la categoria degli atti irripetibili è concettualmente unitaria ed il relativo regime di

utilizzazione processuale mira a presidiare la cristallizzazione documentale di operazioni o accadimenti che, sul piano contenutistico, non

possono essere rinnovati nella loro ontologica e materialistica essenza. Altro è, infatti, l'attività di constatazione o apprensione,

documentata nelle apposite forme, altro è la ‘rinnovazione' descrittiva del relativo contenuto, giacché mentre la prima esiste e si esaurisce

nel momento stesso in cui viene compiuta, la seconda è sempre rinnovabile, e dunque ripetibile, salvo che venga a mancare il suo autore. Al

pari, dunque, di perquisizioni e sequestri, anche gli atti di constatazione e osservazione espletati dalla polizia giudiziaria nel corso

delle indagini assumono gli stessi connotati di irripetibilità, con l'ovvia conseguenza di assegnare alla relativa documentazione il

pertinente regime di utilizzabilità" (Cass. 8.8.2000, n. 14.6.2000), e che: "le relazioni di servizio, che riproducono l'attività di

constatazione ed osservazione effettuata dalla polizia giudiziaria in relazione a fatti e persone in situazioni soggette a mutamento, come

tali non più riproducibili, costituiscono atti irripetibili, con la conseguenza che,
essendo legittimo il loro inserimento nel fascicolo per il dibattimento, possono essere valutate dal giudice come fonte di prova" (Cass.

26.1.2005, n. 2353).
Si tratta quindi di verbali relativi ad atti non ripetibili che, ai sensi dell'art. 431 lett. c) cpp, vanno inseriti nel fascicolo per il

dibattimento e sono pienamente utilizzabili a fini di prova. Ai sensi dell'art. 190 cpp, dovrebbe trattarsi di uno di quei casi di legge.
Però la Corte ha anche affermato più di una volta che l'impiego e il responso dell'etilometro non integrano una prova legale (Cass.

6.10.2004, n. 39057, Cass. 22.11.2006, n. 38438). Si tratta quindi di una prova c. d. atipica, rientrante fra quelle previste dall'art. 189

cpp.
Sorge a questo punto spontanea la domanda: a fronte di una prova atipica (in particolare, scientifica, trattandosi dell'uso di strumenti ad

alta precisione tecnologica), è necessario poi chiamare chi vi provvide ad asseverare quanto è stato fatto?
Una pronuncia della Suprema Corte, ad esempio, in tema di riconoscimenti fotografici, sembrerebbe deporre in senso positivo. Ha affermato la Corte che: "in materia di prove, qualora si sia, in sede di indagini di P.G., proceduto a riconoscimenti informali, e tali riconoscimenti vengano poi reiterati al dibattimento nel corso dell'esame testimoniale, il convincimento del giudice non si fonda sul riconoscimento come strumento probatorio - anche se i riconoscimenti informali, non connotati dalle cautele e garanzie delle ricognizioni, hanno pur sempre il carattere di accertamento di fatto liberamente apprezzabile in base al principio della non tassatività del mezzo di prova - bensì sull'attendibilità che viene accordata alla deposizione di chi, avendo esaminato la fotografia o l'imputato di persona, si dica poi certo della operata identificazione, reiterata nel corso dell'udienza" (Cass. 6.4.2004, n. 16204).
Ma, più di recente, in relazione a una modalità di accertamento ben più sofisticata, la Corte ha detto cose diverse, ossia che: "la ‘Blood

Pattern Analysis' (B.P.A.) non può considerarsi una prova atipica, bensì una tecnica d'indagine riconducibile al ‘genus' della perizia, e

pertanto non è necessario che la sua ammissione sia preceduta dall'audizione delle parti ex art. 189, ultima parte, cpp (in motivazione, la

Corte ha spiegato che la B.P.A. non si basa su leggi scientifiche nuove od autonome, bensì sull'applicazione di quelle, ampiamente collaudate

da risalente esperienza, proprie d'altre scienze - matematica, geometria, fisica, biologia e chimica - che, in quanto universalmente

riconosciute, non richiedono specifici vagli d'affidabilità) (Cass. 29.7.2008, n. 31456).
La Blood Pattern Analysis è un esame della forma, della localizzazione e disposizione delle macchie di sangue, che consente di risalire a

un'interpretazione degli eventi fisici e delle forze che hanno dato loro origine. Vengono in gioco chimica, fisica, matematica e altro di

scientifico, tecnologico e altamente sofisticato. Forse di ben più sofisticato rispetto all'uso di un etilometro.
Cosa impedisce, allora, di acquisire verbale e strisciata (che, si ripete, ci devono essere perché relativi ad atti non ripetibili) e andare

così a sentenza, alla prima udienza?
*Presidente di Sezione Tribunale di Bologna


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)