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Eccessi senza criterio: intervista al sociologo Raimondo Pavarin

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Eccessi senza criterio: intervista a Raimondo Pavarin


La droga e i giovani: com'è la situazione in Italia?

Per quanto riguarda i giovani ci sono almeno due cose fondamentali da dire. La prima: sta tramontando la distinzione fra sostanze legali e illegali; ormai i giovani le utilizzano per gli stessi motivi e indifferentemente, più che altro in base alle disponibilità economiche e delle sostanze stesse. Ciò è legato al processo di deculturalizzazione dell'uso delle droghe, particolarmente visibile nel caso dell'alcol: ormai non se ne consuma più solo in certi modi e contesti, quello che conta è la mera assunzione di una certa quantità di sostanza. L'eccesso diventa, per così dire, automatico. La seconda è che - per quanto riguarda in specie le sostanze diverse dall'alcol - si riscontra un consumo "razionale" (ponderato e finalizzato) che marcia di pari passo a un consumo casuale: lo si nota in particolare negli immigrati di seconda generazione. Non si osservano invece differenze nel consumo tra italiani e stranieri in generale.


Perché questa differenza fra la prima e la seconda generazione?

Cominciamo col dire che servono ancora studi approfonditi: basti pensare che in Italia studi sugli immigrati di seconda generazione non ce ne sono, noi ci basiamo sugli studi dei Paesi anglosassoni (che si avvantaggiano dell'esperienza secolare imperiale e postimperiale). Fondamentalmente gli immigrati di seconda generazione - cioè figli di immigrati, nati in Italia e talora aventi cittadinanza italiana - sono individui già integrati socialmente, ma si trovano comunque immersi in una realtà familiare segnata da persistenti difficoltà economiche.


Quale droga prediligono i giovani?

La droga che prediligono è l'alcol. E dopo viene la cannabis. Solo più tardi, alla soglia della maggiore età, si comincia a parlare di droghe sintetiche (e anche lì rimane un discorso un po' minoritario, di nicchia). Parliamo ovviamente sempre di medie statistiche, le eccezioni e le particolarità ci sono dovunque.


Togliendo la discoteca, le cattive amicizie e la facilità nell'acquisto... cos'è che conduce i giovani alla droga?

Intanto la discoteca non è più di moda. E mi sembra molto discutibile anche il discorso sulle cattive amicizie: ognuno si sceglie in pratica le amicizie che preferisce, anziché subirle. L'elemento che al di là di questo salta all'occhio è invece la famiglia: spesso i giovani arrivano alla droga scoprendo che i genitori ne fanno uso. Un modo di dare il cattivo esempio che non è molto diverso da quello dei genitori che offrono le sigarette ai figli. Le motivazioni rimangono le stesse: voglia di divertirsi, di "sballare", anche semplicemente di provare. Sono molti quelli che provano e non continuano.

 

Quindi tra i giovani si riscontra più un consumo occasionale che abitudinario?
In realtà è un po' una via di mezzo: si tratta spesso di un consumo abituale, ma concentrato nei fine settimana. I giovani conoscono le sostanze e sanno come gestirsele: uno non può ubriacarsi e dopo andare a scuola. D'altro canto, anche il controllo esercitato dalla famiglia si allenta nel fine settimana, rendendo tutto più agevole.


E la dipendenza non si innesca a questo livello?

Sto conducendo proprio in questi giorni uno studio su un campione di consumatori socialmente integrati, cioè persone che consumano droghe abitualmente - magari lavorano, hanno una famiglia ecc. - e non si sono mai recate ai Servizi (in Italia esistono i SerT, Servizi per le Tossicodipendenze, facenti capo alle ASL, N.d.R.). Rispetto agli studi che ho fatto già dieci anni fa rilevo una sola differenza: allora era un fenomeno di nicchia, oggi è di massa. La popolazione che si rivolge ai SerT diminuisce, mentre aumenta la fascia di consumatori integrati. Al contempo aumenta la fascia del consumo problematico, cioè di quelle persone che in seguito all'assunzione di sostanze si ritrovano in ospedale o al pronto soccorso.


Sembrerebbe dunque che i giovani si rivolgano oggi alla droga più per cause effimere che per ansie e disagi profondi.

Il punto di partenza per ogni discorso attuale sulla droga è che oggi la droga è una merce come ogni altra; e nel momento in cui una certa merce si diffonde alla massa, perde il suo significato originario. Lo si vede in questo curioso rovesciamento: quindici anni fa la droga era un modo per distinguersi dagli altri; oggi è un modo per omologarsi. Oggi far uso di droghe non è più molto diverso dal bere una bibita qualunque.


"Qualsiasi cosa purché si consumi", insomma.

Prima parlavamo della deculturalizzazione dell'uso di sostanze. Noi, della generazione precedente, sapevamo che non si beve al mattino; che, nel cambiare bevanda alcolica, è corretto passare da una gradazione inferiore a una superiore (ma non il contrario) ecc. Oggi non ci sono più regole, e non si beve più per gusto o in maniera "speciale": si beve per ubriacarsi e basta. È una conseguenza della deculturalizzazione: oggi che il pranzo di mezzogiorno non esiste più e che il "sapere sull'alcol" non viene più trasmesso in maniera codificata alle nuove generazioni, nulla impedisce ai giovani di pensare che si possano bere 6 bicchieri di vino a stomaco vuoto; o che ci si possa ubriacare anche a dodici anni ecc. Lo si legge nei simboli alcolici delle varie epoche: nei ‘70 il simbolo dello sballo alcolico era l'assenzio, consumato dagli artisti e dagli intellettuali più raffinati. Oggi la moda alcolica è quella del binge-drinking, che consiste in null'altro che bere sei unità alcoliche in un tempo ristretto. Un eccesso senza criterio. Che conduce a pratiche ben più pericolose (anche se, fortunatamente, poco diffuse), come quella dell'eyeballing (che consiste nel versarsi superalcolici, tipicamente vodka, direttamente negli occhi, N.d.R.).


Raimondo Pavarin, sociologo epidemiologo, insegna Paradigmi delle dipendenze all'Università di Bologna.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)