Fegato e pericoli dell'alcol: nuovi dati dal convegno dell'ESMO (European Society for Medical Oncology)
Fegato e pericoli dell'alcol: nuovi dati dal convegno dell'ESMO (European Society for Medical Oncology)
Due italiani su 100 soffrono di epatite cronica C e uno su 100 di epatite cronica B
I virus B e C in forma cronica, con cirrosi e abuso di alcol, sono fra le maggiori cause di un epatocarcinoma. Al via
sperimentazione con un nuovo farmaco
MILANO - Il tumore del fegato è uno di quelli che fanno ancora paura. E, come purtroppo emerge anche dalle statistiche
presentate al convegno annuale della Società europea di oncologia medica (Esmo), è in aumento. Eppure si può prevenire,
sebbene siano in molti a non saperlo. Le epatiti B e C in forma cronica, l'abuso di alcol e la sindrome metabolica (diabete e
sovrappeso) sono infatti le principali cause scatenanti della cirrosi epatica che, a sua volta, rappresenta il maggiore
rischio per il carcinoma epatico. Se si tratta di una forma di cancro prevenibile, com'è possibile che causi circa 5mila
decessi ogni anno solo nel nostro Paese? E come mai è in aumento? «In Italia oltre 300mila persone hanno, spesso senza
saperlo, cirrosi provocata da virus, alcol e sindrome metabolica - risponde Massimo Colombo, responsabile dell'Unità di
Gastroenterologia I della Fondazione Ospedale Maggiore di Milano -. Ogni anno fra l'uno e il tre per cento di queste persone
sviluppano epatocarcinoma causando così almeno 6.000 nuovi casi di tumore all'anno». Dunque molte malati non sanno neppure di
avere contratto i virus e le epatiti spesso non producono alcun sintomo, anche per anni. Così, silenziosamente, evolvono in
cirrosi e causano la degenerazione neoplastica delle cellule epatiche.
VACCINAZIONE - Dal 1991 nel nostro Paese è attivo un programma di vaccinazione obbligatoria contro l'epatite B (inizialmente
riservata a neonati e dodicenni, dal 2003 solo per i neonati) così che oggi la popolazione sino a 30 anni d'età è protetta
dal virus B e, dunque, dal tumore. La trasmissione dell'epatite C è stata invece negli anni sempre più controllata con misure
di igiene primaria (screening donatori e materiale sanitario non riciclabile). «Il problema da risolvere è la gestione dei
500mila pazienti con epatite cronica B e del milione con epatite cronica C - aggiunge Colombo -. Ci sono cure con farmaci
potenti e sicuri, capaci di spegnere l'epatite B e guarire almeno la metà dei malati con epatite C. E chi non risponde alle
cure viene regolarmente sottoposto a sorveglianza con ecografia epatica per una diagnosi precoce dell'eventuale neoplasia».
Senza considerare che le malattie epatiche da alcol e sindrome metabolica possono essere bloccate e spesso prevenute anche
solo modificando lo stile di vita e le abitudini alimentari.
TUMORE SILENZIOSO - «Grazie alla diagnosi precoce con sempre maggiore frequenza riusciamo a scovare neoplasie allo stadio
iniziale, di piccole dimensioni e limitate all'organo, contro le quali sono efficaci le varie armi di cui disponiamo» dice
Filippo de Braud, direttore della divisione di Farmacologia clinica e nuovi farmaci all'Istituto Europeo di Oncologia di
Milano, che ha da poco avviato la sperimentazione di un nuovo medicinale per i pazienti con un carcinoma in fase avanzata. Se
il tumore è localizzato, infatti, si può guarire con un solo intervento chirurgico. Bisogna però tenere presente che il
fegato dei malati è già compromesso anni di epatite e cirrosi, alle quali si aggiunge il cancro. In molti di loro, quindi, è
difficile operare, procedere con un trapianto (possibile solo nel 20 per cento dei casi) o con altri approcci terapeutici
(quali termoablazione, embolizzazione, alcolizzazione, ipertermia) che mirano ad arrestare la crescita del carcinoma e a
impedirgli di diffondere metastasi. Non solo. Quello del fegato è un tumore silenzioso, che soprattutto nelle prime fasi non
dà segno di sé e tende diffondersi in maniera piuttosto veloce. Questo fa sì che spesso la malattia venga scoperta quando è
già estesa ad altri organi o, comunque, sia tardi per un intervento chirurgico risolutivo. In questa situazione, per quasi 30
anni c'è stato poco da fare.
NUOVO FARMACO - I risultati ottenuti con la chemioterapia tradizionale erano modesti, fino al 2007 quando - dopo decenni
sperimentazioni andate a vuoto e più di 100 molecole testate senza successo - è arrivata la svolta con sorafenib, un
medicinale capace di bloccare la formazione dei vasi sanguigni indotta dalla neoplasia. Ora si stanno testando altri
antiangiogenetici e inibitori del recettore Egfr (bevacizumab brivanib, pazopanib, erlotinib, lapatinib, cetuximab,
(bevacizumab, erlotinib, lapatinib, cetuximab) già dimostratisi efficaci per differenti forme di cancro. «Sorafenib è il
primo medicinale dimostratosi capace di fermare la progressione della malattia, prolungando la sopravvivenza dei malati -
precisa De Braud -. Ha aperto una strada sulla quale noi ricercatori procediamo. Ora sta per partire qui in Ieo una nuova
sperimentazione (di fase III, l'ultima prima dell'approvazione definitiva di un farmaco, ndr) con una molecola della stessa
famiglia, brivanib, destinata a pazienti con epatocarcinoma avanzato, non più candidabile a trattamenti locali. L'abbiamo
sviluppata fin dalla fase I e vogliamo verificare se è più efficace e più tollerabile delle terapie finora disponibili». Si
cerca, dunque, di far regredire il tumore, non solo di rallentarne la crescita. Puntando a limitare gli effetti collaterali,
in nome della buona qualità di vita per i pazienti.
Vera Martinella
(Fondazione Veronesi)