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Figli che bevono e si drogano, il dramma delle famiglie: cosa fare per avvicinarli alle cure

Figli che bevono e si drogano, il dramma delle famiglie: cosa fare per avvicinarli alle cure

di SAVERIO OCCHIUTO
Si presenta in redazione con le lacrime agli occhi e una lettera stretta fra le dita: "...la vita di mio figlio è finita.

Alcol, droga, sequestri di moto e di auto". E poi gli amici poco raccomandabili portati in casa nel cuore della notte, gli

insulti e i maltrattamenti continui, "...e la mia vigliaccheria che mi spinge a desistere".
Si è rivolta ai carabinieri, la risposta l'ha gelata: «Deve denunciare suo figlio».
Ma lei non ce la fa ad arrivare a tanto: «Se fossi sicura che il carcere è un luogo dove non si subisce violenza ...».
Ora a chiedere aiuto è questa madre disperata, sola, senza mezzi, con un marito che l'ha piantata una decina di anni fa e il

figlio adottivo che ha trasformato la sua vita in un inferno: «Non ce la faccio più, ditemi cosa devo fare».
Proviamo a girare la domanda a Pietro Fausto D'Egidio, responsabile del Sert, consulente della Presidenza del Consiglio dei

Ministri per il contrasto alle tossicodipendenze, tra i massimi esperti di devianze giovanili.
Intanto i lavori della nuova sede del Sert (nella primavera scorsa ci fu la posa della prima pietra, ndr) non sono ancora

partiti. Perché?
«Purtroppo dopo l'affidamento dell'appalto è stata approvata una nuova legge in materia di controlli antisismici che ha

comportato una rivisitazione del progetto, anche in termini economici. Mi è stato tuttavia assicurato che in settembre sarà

avviato il cantiere».
Quanto è importante per voi uscire da questa specie di condominio nel quale è oggi ubicata la struttura?
«Intanto la nuova sede è stata costruita per le attività che si svolgono in un Sert e collocata all'interno della cittadella

ospedaliera. Un passo avanti enorme, in quanto il nostro rapporto con i reparti è fondamentale. E' importante ribadire che le

tossicodipendenze sono malattie non sole, ma accompagnate da patologie infettive e psichiatriche, tra l'altro in aumento a

causa del consumo di cocaina».
Che risposta si può dare oggi all'appello di questa madre disperata?
«La prima riflessione da fare è che per la nostra legge l'uso di droghe non si configura come incapacità di intendere e di

volere. Quindi nessuno può obbligare alle cure una persona che non ha la volontà di essere curata o la consapevolezza di

avere una malattia. Se non c'è la volontà del paziente non funziona».
Qual è la situazione in città vista dal suo osservatorio speciale?
«Al Sert continuiamo ad accogliere più gente di quella che potremmo curare. Il fatto nuovo di questo agosto è che sono venuti

molti padri, più che madri, ad accompagnare i loro ragazzi. Ho detto loro: è inutile che li portate qui come pacchi postali,

convinceteli a prendere un appuntamento. Bisogna partire da una diagnosi: le condizioni psicologiche, le patologie aggiunte,

l'intensità e la gravità della tossicodipendenza. Poi ci vuole un aiuto della famiglia, che deve essere il pilastro

fondamentale con un comportamento omogeneo dei genitori: non si può essere permissivi da un lato e autoritari dall'altro".
Che funzione può avere il carcere in certi casi?
«Il carcere non cura una malattia. Nel momento in cui uno commette un reato o assume un comportamento violento in famiglia,

ci sono due aspetti di competenza del giudice: l'espiazione della giusta pena e il percorso di cura. Ma non si può dire,

siccome non ti curi ti metto in carcere».