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Fumo: i danni sono immediati, anche per la spesa sanitaria

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Fumo: i danni sono immediati, anche per la spesa sanitaria
Non servono decenni. I prodotti di combustione del tabacco, in particolare alcuni metaboliti degli idrocarburi aromatici,

sono in grado di danneggiare il DNA e aumentare il rischio di neoplasie fin dalla prima boccata. Una ragione in più, oltre

alle molte già note da decenni, per scoraggiare con forza il tabagismo, ma anche per preoccuparsi maggiormente della qualità

dell'aria che respiriamo nelle aree urbane. Per tutelare la salute. E ridurre la spesa sanitaria.
Il fumo è non soltanto un fattore di rischio, ma la principale causa del tumore del polmone, ponendosi all'origine di oltre

il 90% dei casi. Non è una novità. Come non sono nuovi il coinvolgimento degli innumerevoli prodotti di combustione del

tabacco nell'induzione di almeno altre 18 forme neoplastiche a carico di diversi organi e apparati e gli effetti negativi

della nicotina sulla salute cardiovascolare.
Nonostante questa consapevolezza, costantemente ribadita da oltre mezzo secolo di ricerche di base, studi clinici,

rilevazioni epidemiologiche ed esperienze dirette di medici e pazienti, troppe persone continuano a fumare per le ragioni più

disparate, spesso senza riuscire a smettere definitivamente neppure desiderandolo e ritrovandosi, così, esposte a un insulto

tossico subdolo e continuo che aumenta non soltanto il rischio individuale di sviluppare patologie severe, ma anche la spesa

sanitaria necessaria per la cura di disturbi acuti e cronici tipicamente più frequenti nei tabagisti. Pur di non prendere

atto del danno che si autoimpone, la maggior parte dei fumatori minimizza, negando l'evidenza, relativizzando, assumendo un

atteggiamento fatalista e riferendo gli eventuali pericoli a condizioni di forte dipendenza e abuso decennale o preponderante

predisposizione genetica.
Ad assestare un duro colpo all'inconsistente, ma pervicace, costrutto di attenuanti sui danni inferti dal tabacco all'

organismo e a sottolineare l'immediatezza del rischio associato a ogni boccata pensa un recente studio condotto presso il

Dipartimento di Farmacologia del Masonic Cancer Center dell'Università del Minnesota (Stati Uniti) che ha analizzato il

metabolismo di un composto policiclico aromatico (PAH) presente nelle sigarette, il fenantrene (Phe), prontamente trasformato

dopo l'inalazione in un sottoprodotto dall'alto potenziale mutageno e cancerogeno (Zhong Y et al. Chem Res Toxicol, 2010;

dx.doi.org/10.1021/tx100345x). In base ai dati farmacocinetici e farmacodinamici basterebbe una manciata di minuti per

alterare irreversibilmente il DNA e veder aumentare la probabilità di sviluppare tumori.
Note preliminari
I PAH, derivati dalla combustione incompleta di composti organici, sono tra i principali responsabili dell'induzione di

neoplasie polmonari nei fumatori. La loro azione cancerogena non è diretta, ma dipendente dalla preliminare trasformazione in

dioli epossidici, attraverso un processo in tre fasi mediato da sistemi enzimatici che coinvolgono il citocromo P450 e l'

epossido idrolasi. I diversi dioli epossidici così formati sono in grado di interagire con il DNA, legandosi stabilmente alla

doppia elica e inducendo mutazioni potenzialmente oncogene.
Tra i PHA contenuti nelle sigarette, il benzo-a-pirene (BaP) è stato recentemente riconosciuto come composto cancerogeno per

l'uomo dall'Internazional Agency for Research on Cancer (IARC). Studi condotti su fumatori hanno evidenziato la presenza di

complessi covalenti tra dioli epossidici e DNA nelle cellule del tessuto polmonare e la loro capacità di indurre mutazioni

nel gene della p53, proteina coinvolta nel controllo del ciclo cellulare e notoriamente implicata in almeno il 50% di tutti i

tumori umani (Pfeifer GP et al. Oncogene, 2002; 21, 7435-45; Phillips DH et al. Carcinogenesis, 2002; 23:1979-2004; Boysen G,

Hecht SS. Mutat Res, 2003; 543:17-30).
L'analisi tossicologica
I ricercatori si sono concentrati sul metabolismo del Phe inalato attraverso il fumo di sigaretta da parte di 12 volontari

adulti sani e fumatori da almeno un anno per valutare l'efficienza del processo di trasformazione di questo PHA in diolo

epossidico da parte dell'organismo e stabilire, su tale base, il suo potenziale cancerogeno.
Dal momento che il Phe può essere inalato anche attraverso l'atmosfera (in quantità variabile in funzione del livello di

inquinamento da idrocarburi aromatici), per poter seguire il destino del Phe aspirato attraverso il fumo di tabacco, le

sigarette utilizzate per lo studio sono state addizionate, in modo omogeneo, di quantità definite di Phe marcato con deuterio

(D10-Phe). Prove preliminari di combustione e aspirazione meccanica hanno verificato degli 80 µg di D10-Phe aggiunti a

ciascuna sigaretta, 10 µg venivano sistematicamente liberati nel fumo aspirato.
I metaboliti intermedi e il prodotto finale della trasformazione del Phe inalato (D10-PheT) sono stati quantificati con gas

cromatografia e spettrometria di massa su campioni di plasma prelevati dai soggetti coinvolti 30 minuti prima e 15 minuti

dopo aver fumato. Come standard di riferimento interno per l'analisi dei picchi cromatografici è stato utilizzato il

13C6PheT.
I cromatogrammi ottenuti mezz'ora prima che i volontari fumassero la sigaretta marcata hanno evidenziato due soli picchi,

relativi al PheT e al 13C6PheT.
Mentre i tracciati ottenuti dai campioni di plasma prelevati dopo 15 minuti dall'inalazione presentavano anche un terzo picco

ben definito, relativo al D10-PheT. Valutando le concentrazioni di questo catabolita nel tempo, si è osservato che i valori

massimi erano presenti tra i 15 e i 30 minuti dopo l'inalazione e che l'andamento dei livelli nel tempo era paragonabile a

quello che ci si sarebbe attesi dopo somministrazione di un bolo endovenoso contenente la stessa quantità di D10-Phe aspirata

con il fumo.
Valutazioni clinico-pratiche
Le evidenze ottenute in questo studio dimostrano chiaramente che i PAH inalati attraverso le sigarette sono trasformati in

modo pressoché istantaneo in derivati epossidici cancerogeni, già a livello polmonare e con un'efficienza di conversione tale

da aggirare anche le reazioni di detossificazione che potrebbero rallentarne e ridurne la formazione o contrastarne l'azione

sui tessuti bersaglio, come quelle basate sul sistema della glutatione-transferasi o della glucoronidasi.
In sostanza, ciò significa che il fumo di sigaretta è immediatamente cancerogeno per il polmone e che questa azione lesiva

non può essere contrastata né ridotta da interventi ad altri livelli, quali per esempio l'aumento dell'apporto di vitamina C

o altre sostanze ad azione antiossidante, spesso suggerito ai forti fumatori per ridurre i danni del tabagismo. Analogo

discorso vale anche per l'azione di promozione tumorale a carico di altri organi, dal momento che i livelli plasmatici dei

dioli epossidici restano comunque elevati per almeno 15-30 minuti. Non è un dato da poco, perché obbliga a prendere atto

dell'evidenza che l'unico modo realmente efficace per tutelarsi dal rischio neoplastico associato al tabacco è smettere di

fumare. O, preferibilmente, non iniziare.
Questa nuova consapevolezza, che va comunque ad aggiungersi a una consistente mole di dati sulle innumerevoli azioni

sfavorevoli del fumo attivo e passivo sull'organismo umano accumulati nei decenni, non può essere trascurata né dal singolo

fumatore né dalle istituzioni sanitarie: non soltanto per ragioni di tutela della salute, ma anche di contenimento della

spesa sanitaria.
In un sistema che fatica a far quadrare i conti e che non sempre riesce a soddisfare i bisogni assistenziali di cittadini

affetti da patologie acute e croniche (non di rado invalidanti), è etico accettare di far pesare sulla sanità pubblica i

costi dei danni organici che i fumatori si autoinfliggono pur conoscendo i rischi associati a ogni sigaretta aspirata?
La legge Sirchia n. 3/2003 ha rappresentato un indiscutibile avanzamento in questa direzione, tutelando soprattutto i non

fumatori e inducendo i tabagisti a fumare meno, non fosse altro che per ragioni pratiche. Ma evidentemente non basta se, come

informano le statistiche, il numero dei fumatori in Italia è soltanto in debole diminuzione tra gli uomini e addirittura in

aumento tra le donne.
Accanto a queste considerazioni si dovrebbe, inoltre, valutare criticamente l'efficacia delle azioni di comunicazione attuate

a livello nazionale e internazionale fino a ora (evidentemente scarsa) e cercare di individuare programmi di intervento più

mirati ed efficaci. Tra questi, per esempio, l'allestimento di servizi pubblici, gratuiti, facilmente accessibili e

distribuiti capillarmente sul territorio, indirizzati a favorire la disassuefazione dal fumo attraverso un approccio

multidisciplinare intergrato (basato su attività di counselling, supporto psicologico, uso di farmaci e sostituti della

nicotina ecc.) che veda il coinvolgimento di medici di Medicina generale, pneumologi e cardiologi. Un sistema che per essere

allestito e mantenuto richiede, sì, un investimento in termini di risorse economiche e umane, ma sicuramente meno costoso per

il Servizio Sanitario Nazionale di quanto non sia l'insieme delle indagini diagnostiche e delle terapie necessarie per curare

neoplasie e patologie cardiovascolari acute e croniche promosse dal fumo.
Citazione completa
Yan Zhong, Steven G. Carmella, Pramod Upadhyaya, J. Bradley Hochalter, Diane Rauch, Andrew Oliver, Joni Jensen, Dorothy

Hatsukami, Jing Wang, Cheryl Zimmerman, Stephen S. Hecht. Immediate Consequences of Cigarette Smoking: Rapid Formation of

Polycyclic Aromatic Hydrocarbon Diol Epoxides. Chem Res Toxicol, 2010; dx.doi.org/10.1021/tx100345x