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"Generazione in fumo": indagine sulla diffusione del tabagismo in Italia

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GENERAZIONE IN FUMO - INDAGINE SU GIOVANI E FUMO

Un miliardo di morti. Non è il bilancio di una guerra, neanche quello di una grave malattia infettiva. Sono i morti di una delle epidemie più violente e silenziose del XXI secolo: il tabagismo. Secondo una statistica, il fumo uccide una persona ogni 6 secondi, e tra le vittime ci sono anche i non fumatori. Malgrado il numero dei fumatori sia per fortuna diminuito, soprattutto nei paesi industrializzati, il dato rimane comunque allarmante per i giovani, spesso consumatori di tabacco sfuso. Lo studio "Generazione in fumo, strategie per non cominciare, strumenti per smettere", prodotto dall'associazione I Think, presieduta da Ignazio Marino, presentato il 18 settembre a Roma in Senato, nasce proprio con l'intento di sensibilizzare le persone sull'argomento e cercare di trovare strumenti utili per prevenire o ridurre i danni prodotti dal fumo, con un'attenzione particolare al consumo giovanile.


L'obiettivo della ricerca, che si basa su un analisi approfondita delle principali ricerche in Italia e nel mondo, è quello di individuare le ragioni che portano un ragazzo a cominciare a fumare; capire di quali strumenti si dispone per smettere o per ridurre il danno; giungere ad una proposta concreta di prevenzione. Prevenzione che può avere effetti positivi anche all'economia del nostro paese. Basti pensare che l'impatto economico del fumo di tabacco nel 2005 è costato alle casse del SSN 4,217 miliardi di euro.


Seguendo un trend di molti altri paesi industrializzati il numero di fumatori in Italia è costantemente diminuito dal 1960 a oggi arrivando alla cifra di 11 milioni di persone (il 20% delle donne e il 24% degli uomini, 2010). Su questi numeri sicuramente ha influito la legge 3/2003 che ha ulteriormente limitato il fumo negli spazi pubblici, ma l'effetto è stato solo temporaneo e secondo un'indagine del 2009 è stato invece riscontrato un aumento del 5% nel consumo tra i giovani.
In Italia non sono ancora state sviluppate delle strategie di prevenzione che cerchino di arginare questo fenomeno e ad aggravare la situazione ci pensa un sistema sanzionatorio, previsto per gli adolescenti, che difficilmente viene applicato. Quali sono dunque le possibili soluzioni che potrebbero essere messe in atto? Esistono azioni di prevenzione che tendono a promuovere negli studenti comportamenti prosociali e proattivi, tra cui anche la prevenzione della dipendenza da nicotina. Questo sistema chiamato mentoring ha portato in alcuni ambiti a risultati ottimi, riducendo del 50% il consumo di fumo nei gruppi sottoposti al "trattamento". In questo contesto la scuola ha naturalmente un ruolo centrale nella prevenzione delle dipendenze. E' l'OMS stessa già a partire dagli anni '90 a dichiarare quanto fosse importante superare l'ottica puramente informativa sulle dipendenze e puntare di più sullo sviluppo di capacità personali (life skills) sia degli insegnanti che degli studenti stessi.


Altri approcci prevedono il cosiddetto quit or die che si basa prevalentemente sulla cessazione o l'astinenza da fumo, oppure l'utilizzo di prodotti a rischio modificato (per i fumatori che non riescono a interrompere la dipendenza da nicotina) come ad esempio le sigarette elettroniche o lo Snus, un tabacco umido da masticare autorizzato in Svezia e Norvegia, ma vietato dalla comunità europea. Quest'ultimo sta avendo un discreto successo anche in USA. Lo Snus è meno cancerogeno delle sigarette (per questo è stato cambiata l'avvertenza da "nuove gravemente" a "potrebbe nuocere") anche se non esistono studi definitivi sui suoi effetti. Per finire un'altra arma importante per la lotta al fumo rimane la tassazione, un elemento di dissuasione molto forte (si calcola che un aumento del tabacco del 10% ne diminuisce l'uso di circa il 4%, nei paesi ad alto reddito, e dell'8% nei paesi a basso reddito). A questo riguardo vanno comunque considerati gli eventuali effetti sull'aumento del contrabbando, dove l'assenza di controlli sulla qualità e la vendita dei prodotti potrebbe fare danni persino maggiori.


(articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito alcolnews.it)