Genitori in un mondo di figli che attraversano col rosso
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di Francesco Bernacchia
Genitori nel mondo di figli che attraversano col rosso
Buona parte delle famiglie, alle prese con le sfide quotidiane di una società in continua trasformazione, si trova a vivere
l'esperienza della dipendenza di un figlio. All'interno di un fenomeno antico quanto l'uomo, universale e tiranno della
libertà umana, ogni giorno, intere famiglie e coppie di genitori sono chiamate a confrontarsi con un mondo che, seppur
sconosciuto e incerto, appartiene ai loro figli. Iniziano con una sigaretta e proseguono come consumatori e clienti della
"fabbrica dell'autolesionismo".
L'ingresso nella società è per l'adolescente sinonimo di confronto con situazioni, fatti ed esigenze che oscillano tra
richieste sociali e individuali. Per nascondere noia, frustrazioni o per puro divertimento chi cresce si dedica ad azioni
capaci di fornire sensazioni immediate, forti e coinvolgenti. Mentre un tempo le condotte a rischio rimandavano alla
dimensione giovanile, oggi sono proprie anche del mondo adulto, spesso artefice di investimenti azzardati in borsa, sport
estremi, lotterie, ecc.
Ad essere mutato quindi è l'atteggiamento culturale e mentale con cui ci si rapporta al rischio. Esso assume un significato
positivo per il successo personale divenendo, soprattutto nei giovani, un vero e proprio valore nella loro esistenza[1].
L'accettazione del rischio da parte di questi ultimi ha una relazione significativa con la crescita di comportamenti dannosi
per la salute come la guida spericolata, la sessualità non protetta, l'utilizzo di alcol, droghe e l'uso di sigarette
purtroppo sottovalutato dagli adulti. Questi ultimi, da bravi maestri di vita, non giocano certo un ruolo marginale; una
sigaretta appena alzati, una dopo il caffè, una per rilassarsi, una per stare in compagnia. Tutti scenari che passano davanti
agli occhi dei figli accompagnati da uno slogan antifumo dei genitori del tipo.. guai a te se fumi! Ma il desiderio di
assumere un comportamento trasgressivo e proprio del mondo adulto, incoraggia l'adolescente a spingersi oltre i paletti posti
dai genitori, e avvalendosi della funzione di coesione sociale giocata dalla sigaretta, ha il benvenuto nel gruppo dei pari.
È così che anche per i ragazzi, man mano, fumare diventa un gesto ripetitivo associato a situazioni e momenti della
quotidianità da cui è difficile staccarsi.
Stare bene, sentirsi adulti e parte del gruppo risultano quindi le principali gratificazioni che innescano la dipendenza,
alimentata dalla sicurezza di poter smettere in qualsiasi momento facendo appello ad un minimo di buona volontà. Per alcuni
è un vizio, per altri un innocuo piacere e banalizzando la natura distruttiva della sigaretta arrivano ad usarla come
parametro di confronto ... "stiamo parlando di una sigaretta, mica di una canna!". Si legge quasi l'intento di negare
qualsiasi tipo di relazione tra le due. Eppure l'esperienza insegna che, soprattutto nella fase adolescenziale, dalla
sigaretta allo spinello il passo anche se non automatico è breve. Raramente si registra la situazione inversa. Purtroppo
però, quando l'adolescente non conosce più soltanto la sigaretta è troppo tardi per accorgersi che la situazione è sfuggita
di mano.
In uno studio della Commissione Ue sull'uso di sostanze stupefacenti da parte di giovani tra i 15 ed i 34 anni, l'Italia,
dopo la Spagna, la Repubblica Ceca e la Francia, sembra aggiudicarsi il quarto posto per il fumo degli spinelli. Gli italiani
di questa fascia di età farebbero abitualmente uso di cannabis per il 15,1%. Al di sopra della media europea (13%) e in
maniera molto più marcata rispetto alla Bulgaria e alla Grecia che non arrivano al 5%.
Il vuoto di una società sofferente si manifesta nel ragazzo che sperimenta, che prova incitato da qualcuno, spesso l'amico
fidato, che sa far passare lo spinello come conquista di autoaffermazione. Il suo cavallo di Troia cela sempre l'inganno,
appare come voglia di divertirsi ma lo conduce ad accogliere nella propria esperienza di vita, ma anche nei propri sistemi
biologici, una sostanza neurotossica in forma di semplice e attraente rotolino di carta che apre la via a nuovi cavalli di
Troia dalle conseguenze sempre più incerte.
In questa situazione sempre più diffusa, il sistema familiare si viene a trovare in una condizione di progressiva
ambivalenza. Ci sono genitori che non ammettono e non vogliono considerare la tossicodipendenza dei propri figli, arrivando a
colpevolizzare le loro "compagnie". Altri genitori, invece, presi dallo sconforto, si arrendono di fronte al fallimento e
ritengono di essere loro stessi la causa principale della dipendenza dei figli. Da sempre la famiglia è il primo ambito di
confronto con il mondo, con gli altri, ed è il primo ambiente che forma l'individuo. Perciò in un figlio incline all'uso di
sostanze si riflette una società che rende difficile ai genitori il ruolo di educatori e socializzatori dei figli[4]
proponendo continuamente nuovi modelli di trasgressione.
Di fronte alla scoperta, e soprattutto alla certezza della tossicodipendenza di un figlio, il passato di genitori si
trasforma in un campo di accusa. Come è possibile tutto ciò? In cosa ho fallito come genitore? Perché proprio a me che ho
fatto del mio meglio nel mio ruolo?
Gli attuali mezzi di comunicazione offrono varie testimonianze di genitori che manifestano palesemente le loro preoccupazioni
per i figli. Alcune esperienze arrivano alla nostra conoscenza. In un'aula universitaria, una donna ha raccontato ad alcune
sue colleghe di corso che la sera precedente, al telefono, il figlio adolescente le chiedeva il permesso di farsi una canna.
La risposta fu del tipo: "Ne senti proprio il bisogno?... Se proprio devi, allora fallo... ma poi quando torni a casa ne
parliamo". La risposta ha ovviamente sconcertato gli astanti. La donna ha giustificato il suo atteggiamento asserendo che suo
figlio, non essendo in sua presenza, avrebbe ugualmente assaporato il suo primo spinello. È come rivivere una sequenza del
film "Pane e Tulipani" dove il genitore, scoprendo il figlio alle prese con la marijuana, comincia ad interrogarsi circa il
comportamento più adeguato da adottare di fronte ad un figlio che si droga. Poi finisce col considerare l'episodio una
"trasgressione adolescenziale" che sarà presto superata con l'età. È l'esempio di una società che si ostina a negare a un
ragazzo la sua individualità ("ormai questi ragazzi sono tutti uguali!"). Il termine "ormai" rimanda a una condizione di
irrecuperabilità e preserva la generazione adulta dall'onere di impegnarsi nell'esplorazione dell'universo esistenziale dei
giovani arrivando a definirli privi di ideali soltanto perché diversi dai propri[6]. Quando la realtà si mostra più complessa
e non lascia alcuna possibilità di negazione o generalizzazione, l'adulto necessita di uno stravolgimento nella visione della
propria vita perché con la droga in casa ogni genitore si trova all'improvviso di fronte ad una verità tanto scomoda quanto
ripudiata.