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Gioco d'azzardo: come e perché può diventare patologico

Gioco d'azzardo: come e perché può diventare patologico

GIOCO D'AZZARDO: ECCO COME E PERCHE' PUO' DIVENTARE PATOLOGICO
I circuiti cerebrali vanno in tilt e la persistenza rinforza i meccanismi della dipendenza. Ma arginare il fenomeno si può


Il tintinnio di qualche monetina sputata dalla slot machine o dal videopoker (dopo averne introdotte molte di più), lo sfavillante bagliore delle lucine intermittenti che pulsano in un caleidoscopio di colori e gli accattivanti suoni emessi dalla macchinetta che si susseguono mentre il pensiero è rapito dall’illusione della “grande vittoria”: ancora una giocata, questa è la volta buona, la volta che mi porto a casa il jackpot; dopotutto negli ultimi tiri ci sono andato vicino, lo sento, il malloppo è destinato ad arrivare, ora metto altri dieci euro, anzi no, meglio venti, così sono sicuro di vincere. Intanto il tempo passa e il portafogli si svuota. Ma come, è già passata mezzora? Vabbè, altri dieci minuti e poi torno a casa, il tempo di recuperare i soldi e poi dritto a fare la spesa, anche se sono già in ritardo. Ma sì, ci vado domani, chissenefrega, ora devo giocare. Ecco cosa passa per la testa di un giocatore d’azzardo patologico, la persona, dall’apparenza del tutto normale, che vediamo seduta alla slot quando entriamo in un bar o da un tabaccaio.


In Italia il fenomeno del gioco d’azzardo patologico (GAP) ha assunto proporzioni preoccupanti. Le persone dipendenti dal gioco, secondo i dati, sono più di un milione e trecentomila, quasi il 2,5% dell’intera popolazione. Non si pensi che sia una percentuale insignificante e che non ci riguardi: sempre secondo fonti ufficiali una persona su due, tra i diciotto e i settantaquattro anni, ha giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi dodici mesi. Significa quasi ventiquattro milioni di individui, oltre il 54% degli abitanti del nostro Paese. Significa anche, da considerazioni prettamente statistiche, che se non l’hai fatto tu è stato chi ti sta accanto in questo momento. Uno su due, appunto.


Ma ci sono luoghi dove la ludopatia è quasi un’abitudine, un rituale da espletare quotidianamente. Pavia,  cittadina capoluogo di provincia avvolta nella nebbia d’inverno e dall’afa in estate, è la Las Vegas d’Italia: le cifre dei Monopoli di Stato indicano che qui la spesa pro-capite per il gioco è quasi il doppio di quella di Milano e due volte e mezzo quella di Napoli. Senza contare il sommerso, cioè quello nascosto o alterato dalle ingerenze della criminalità.


Non solo slot e videopoker, ma anche lotto, gratta e vinci, bingo, scommesse ippiche e sportive, puntate nei casino virtuali da Pc e smartphone. “Se quasi la metà degli esercenti della mia città ha nel negozio almeno una slot significa che la domanda, cioè la richiesta di giocare d’azzardo è elevata” dice a Panorama.it il dottor Gabriele Zanardi del Dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense dell’Università di Pavia. Città di giocatori dunque, ma anche città di chi pensa a innovare il modello terapeutico per combattere questa patologia, come ci spiega lo stesso Zanardi.


Professor Zanardi, quando si può affermare che una persona è affetta da GAP?

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali definisce il GAP come persistente e ricorrente comportamento problematico che provoca difficoltà o disagio clinicamente significativi, come indicato da un soggetto che, nell’arco di un periodo di 12 mesi, presenta quattro o più tra i seguenti comportamenti: ha bisogno di giocare d’azzardo con quantità crescenti di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata; è irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre, o interrompere il gioco d’azzardo; ne è eccessivamente assorbito (per esempio, ha persistenti pensieri di rievocare esperienze passate, di soppesare o programmare l’azzardo successivo, di pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare); spesso gioca quando si sente a disagio (indifeso, colpevole, ansioso, depresso); dopo aver perso al gioco, molte volte torna un altro giorno per rifarsi (rincorre le perdite); mente per occultare l’entità del proprio coinvolgimento; ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro, oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d’azzardo.


È quindi paragonabile a una dipendenza?

Certo, ma con una differenza rispetto alla dipendenza da sostanze come tabacco o alcol, che provocano alterazioni psicotrope: in questo caso c’è una dipendenza da comportamento. In molti casi inoltre i soggetti presentano comorbilità, cioè chi gioca d’azzardo è anche soggetto al vizio del fumo o del bere.


Come si attiva questo comportamento vizioso?

Nella testa di tutti noi ci sono due circuiti coinvolti nelle dinamiche relative alla modulazione comportamentale: il drive, che si attiva con le sensazioni di piacere (per esempio gustando un cibo prelibato) e il controller, che si trova nella corteccia prefrontale e che ci dice se un’azione innescata dal drive è corretta oppure no in termini di condotta sociale e personale. Nelle persone vulnerabili il gioco diventa lo strumento per avere appagamento: c’è l’eccitazione della vincita, ma anche un effetto sedativo (mentre si gioca ci si dimentica dei problemi che più ci affliggono) e in alcuni casi, per esempio chi vive in solitudine, anche una gratificazione dovuta alla socializzazione (il giocatore patologico non è emarginato come il tossicodipendente, anzi è accettato nel contesto sociale). Tutti questi fattori, uniti agli stimoli che subentrano mentre si gioca, come tintinnii e luci colorate, rinforzano la continuazione del comportamento: il drive diventa sempre più potente e il controller sempre meno efficace. Si arriva cioè a un comportamento compulsivo fuori controllo. Non solo. A quel punto nell’individuo affetto da GAP si manifesta anche una distorsione cognitiva: nella mente del giocatore incallito persiste l’errato pregiudizio che la vittoria sia a portata di mano; se il soggetto ha perso quattro volte di seguito è assolutamente e fermamente convinto che la quinta sia la volta buona, al contrario di ciò che ragionevolmente affermano le leggi della statistica. L’alterata capacità di inibire risposte automatiche accelera il decorso della dipendenza aggravando le problematiche comportamentali.


Ecco, quali sono i soggetti più a rischio?

Quelli con una certa vulnerabilità: adolescenti che non hanno ancora la corteccia prefrontale completamente formata o all’opposto pensionati che si sentono soli e che sperimentano un vuoto sociale. Per quanto riguarda il genere, i dati ci dicono che il 67% dei giocatori d’azzardo è rappresentato da uomini. Giovani maschi e donne di una certa età sono le fasce più a rischio. Ma anche chi si avvicina al gioco perché ha bisogno di denaro. Includerei anche quei soggetti che, per la distorsione culturale e sociale che propaganda il fascino della ricchezza, inseguono l’illusione della vincita che cambierà loro la vita. Questo è grossomodo l’identikit del “gambler”.


Quali sono quindi le caratteristiche di un giocatore d’azzardo dipendente?

Esistono tre tipologie di giocatori patologici e questa classificazione è molto importante perché consente di trattare il problema con approcci differenti a seconda del tipo. Alex Blaszczynki, dell’Università di Sydney, li ha divisi in tre categorie: il giocatore condizionato dal comportamento che è quindi assuefatto; i soggetti vulnerabili sul piano emotivo, che hanno la tendenza ad assumere rischi e non sopportano la noia; infine chi oltre alle precedenti caratteristiche associa anche comportamenti alterati con un’estrema tendenza all’impulsività.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.panorama.it/scienza/salute/gioco-dazzardo-ecco-come-e-perche-puo-diventare-patologico/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)