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Gioco d'azzardo: uscire dalla dipendenza con il metodo dei "12 passi"

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Il Gambling compulsivo, quando giocare diventa una droga


Di Francesca Bene


In Umbria si spendono in "azzardo legale" ben 900 milioni di euro annui, la metà di questa cifra viene inghiottita dalle slot machine
A Terni il primo gruppo umbro di auto aiuto "Giocatori anonimi"
Si pensa ad una sede anche a Perugia


L'azzardo è, per un giocatore compulsivo, quello che la droga è per un tossicodipendente. In chi non riesce a fare a meno di tentare la fortuna, fino a dilapidare interi patrimoni e a mettere a rischio la sua stessa vita, sono presenti meccanismi cerebrali, comportamentali ed emotivi simili a quelli presenti in coloro che tendono a cadere nella dipendenza da alcol o sostanze stupefacenti. Si chiama Gambling compulsivo, ossia dipendenza dal gioco.


Uno studio condotto da Christian Büchel, dell'università Krankenhaus Eppendorf di Amburgo, e pubblicato su Nature Neuroscience, è arrivato addirittura ad identificare i meccanismi fisiologici legati alle dipendenze. Secondo la ricerca, la propensione al gioco d'azzardo è associata ad una minore reattività di un'area cerebrale chiamata "nucleo striato ventrale", situato nella profondità nel cervello.


Ma le "anomalie" della natura, individuate fino a questo momento, non bastano a spiegare il problema nella sua complessità, nè tantomeno a risolverlo. E non stiamo parlando di un problema di poco conto, ma di una vera e propria piaga, sia personale che sociale. Basti pensare che nella piccola Umbria, in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, si spendono in gioco d'azzardo legale (il fenomeno reale, però, si estende oltre i confini della legalità) ben 900 milioni di euro l'anno. Mentre a livello nazionale gli italiani "investono" sulla Dea Bendata ben 90 miliardi ogni anno. Quasi la metà di questa cifra viene inghiottita dalle slot machine, mentre il resto viene investito in lotterie, gratta e vinci, lotto e giochi simili. Un ultimo dato: il numero delle "macchinette della fortuna" nella nostra regione è passato dalle 2mila 031 del 2004 alle poco meno di 6mila di quest'anno. Sintomo, questo, di una richiesta in crescita esponenziale.


Cosa si può fare?. Fatto questo breve excursus numerico, torniamo al nocciolo del problema: la malattia e gli strumenti per combatterla. In attesa che la scienza riesca ad estirpare il male alla radice, c'è chi ha trovato un metodo che mira (e straordinariamente, stando alle evidenze, ci riesce) non solo a fermare la compulsione, ma anche a "rieducare" il giocatore patologico, ovvero a sanare quelle "ferite" cognitivo-comportamentali che alimentano la dipendenza. Si tratta di "Giocatori anonimi", un'associazione di auto aiuto che utilizza lo stesso programma di recupero di Alcolisti anonimi. Come la più famosa Aa, anche Ga, oltre ai gruppi di auto aiuto per i malati, ha anche dei gruppi di supporto destinati ai familiari del malato (Gamanon). Questo perché chi convive con una persona afflitta da questa piaga, inevitabilmente si ammala a sua volta. In Umbria l'associazione, sia quella per i malati che quella per i familiari, è presente da un paio di anni a Terni (via Piana dei Greci, presso la parrocchia San Giovanni; riunioni il mercoledì alle 20; tel (366-4691211)) ed ora, visto l'alto numero di adesioni anche da fuori provincia, è in programma l'apertura di una sede dell'associazione anche a Perugia.


I 12 passi. Ma vediamo come funziona questo programma. Come spiegano gli stessi membri: «"Giocatori anonimi" è una associazione di persone che mettono in comune la loro esperienza, la forza e la speranza ritrovate, al fine di risolvere il loro problema comune e di aiutare altri a recuperarsi dal gioco compulsivo. L'unico requisito per diventarne membri è il desiderio di smettere di giocare. Non vi sono quote o tasse per partecipare alle riunioni».
La terapia di recupero di Ga si basa, come detto, sui "dodici passi" degli Alcolisti anonimi. Il primo di questi passi altro è di riconoscere di non essere più in grado di gestire il rapporto con il gioco, sia esso il poker, la slot machine, le puntate ai cavalli o altro. I "passi" successivi aiutano a rieducare il "malato", sia dal punto di vista comportamentale che da quello spirituale. L'ultimo passo, il 12esimo, prevede che il giocatore compulsivo recuperato si renda disponibile, se lo desidera, ad aiutare le persone che ancora sono nel problema e che chiedono aiuto all'associazione.Un'iniziativa importante, quindi, per combattere una tra le più temibili "nuove povertà" (psicologiche e morali, ma anche economiche visto l'effetto devastante che ha sui bilanci familiari).

 

Il libro: "Troppe vite in gioco" »
«Sono stato un giocatore patologico per 30 anni, ma da 12 anni ho smesso di giocare. Da allora ho cominciato a ricostruire la mia esistenza. Contemporaneamente anche la vita di chi mi stava vicino è migliorata.
Ma sono anche il familiare di un giocatore patologico. Conosco quindi dal di dentro quel meccanismo mostruoso che risucchia e stritola chi soffre di questo problema».


Lucio De Lellis, professionista ternano, ha scelto di uscire dall'anonimato e di mettere a disposizione di chi vive, direttamente o indirettamente, con il problema del gioco patologico, detto anche compulsive gambling, la sua esperienza. Quanto ha vissuto, prima come malato e poi come familiare di un giocatore compulsivo, lo ha messo nero su bianco in un libro dal titolo "Troppe vite in gioco - i familiari vittime sconosciute del gioco d'azzardo" (www.troppeviteingioco.com).


Nel volume, edito da Exorma, l'autore ripercorre sia il tunnel che l'ha fatto precipitare all'inferno, sia il sentiero che gli ha permesso di venirne fuori. Per De Lellis, fondamentale nel recupero è stato il supporto dei gruppi di auto aiuto Giocatori Anonimi, che egli ha conosciuto negli Stati Uniti, dove ha vissuto per anni. «Per riuscire ad affrontare il problema nella giusta ottica - spiega De Lellis - è fondamentale sradicare il convincimento secondo cui il giocatore d'azzardo sia una persona in grado di fare delle scelte. In realtà egli è del tutto privo di libertà personale, perché è schiavo della malattia». "Troppe vite in gioco", oltre a inquadrare il problema della dipendenza dal gioco in un'ottica sia personale che familiare, offre soprattutto spunti e suggerimenti pratici e concreti ai familiari di giocatori patologici su come affrontare e confrontarsi con i problemi causati dal giocatore. Il suo intento è di fornire una miglior comprensione dei meccanismi segreti del giocatore e di offrire allo stesso tempo strumenti e strategie di comportamento per aiutare il giocatore malato e per prevenire la distruzione della famiglia stessa.

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)