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News di Alcologia

Giovani, alcol e coca: una «normalità»

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Tradiscono la discoteca per il bar. Charmet: gli abusi per divertirsi, per disinibirsi. Rischi sottovalutati

Il Corriere della Sera 30 giugno 2009

Ci dev'essere una spiegazio­ne. Di quelle che un sociologo non basta. Per dirci come mai i giovani per trovarsi, adesso, vanno al bar e una volta, inve­ce, sceglievano la discoteca. Lo scrive l'Osservatorio della Provincia. Lo riprende l'Am­brosianeum nel suo Rapporto sulla città, presentato ieri. Il 54% preferisce i tavolini, solo il 14% la pista da ballo. In mez­zo ci sono le case degli amici, piazze, parchi e cinema. Li chiamano luoghi di aggrega­zione. Posti dove incontrarsi e socializzare. Spazi per veder­si. Magari guardarsi e basta. Bere, fumare senza dire nien­te. Niente d'interessante, co­munque. Chissà, forse siamo nell'epoca della società stati­ca, nonostante la chiamino movida, dopo l'era di quella dinamica, che aveva la disco come simbolo per eccellenza. E allora anche la fine pre­matura di Michael Jackson si­gnifica qualcosa di più. Il bar come negli anni Cinquanta e Sessanta. Tornare indietro per andare avanti. O, piutto­sto, il problema è tutto qui: non sapere quale strada sce­gliere. Il rito dell'happy hour si allarga. E fagocita anche gli adolescenti alla prima vera birra.
Perché il problema è tut­to qui: «Stare con gli altri», o meglio come ricorda don Gi­no Rigoldi, «imparare a stare con gli altri». Lui, che è un sa­cerdote, indica l'esperienza degli oratori, ramificati sul territorio, ma sempre meno capaci di intercettare gli adole­scenti (raccolgono l'11% tra i luoghi di aggregazione). E non se la passano meglio i centri sociali, frequentati solo dal 6%. Forse è segno del di­simpegno politico e sociale. Dalla ricerca sono esclusi i luoghi di aggregazione virtua­le. Quelli che sostituiscono gli incontri face to face e sono in crescita esponenziale. Ci si trova su Internet, si chatta, ci si iscrive a Facebook. E c'è an­che il cyberbullismo. Si mo­strano i muscoli in Rete, si de­nigra una persona, la si esclu­de dal proprio gruppo. E c'è tutta una nuova tipologia di linguaggio per spiegare cosa avviene nei rapporti «malati» che avvengono in rete. C'è il flaming, i litigi su In­ternet, nei quali si usa un lin­guaggio volgare, la denigra­tion, che non ha bisogno di traduzione, è la diffusione di pettegolezzi in rete per mette­re in cattiva luce un'altra per­sona. L'outing, pubblicazione di immagini compromettenti, il trickery, il mettere in rete in­formazione false e ridicole, l'exclusion, l'emarginazione, l'harrassment, cioè l'invio ri­petuto di messaggi offensivi.
Ma anche quando si parte dal computer si finisce, prima o poi, per incontrarsi davvero. Appunto al bar. Gli orari spo­stati sempre più in là. Più ra­gazzi che ragazze. E dietro l'angolo il rischio della tra­sgressione che è sempre me­no proibita. Con le denunce dei genitori che si vedono tor­nare a casa la figlia con l'aria di chi ha bevuto qualcosa che non doveva. L'alcol e le dro­ghe. «Prese così, perché è nor­male farlo - racconta Gusta­vo Charmet -. Non contro qualcuno o per sfuggire da qualcosa. E neanche per farsi accettare dal gruppo». E allo­ra perché? «Perché così va il mondo, ti rispondono come se chiedessi la cosa più ovvia, perché è "normale". Prendo­no la coca per divertirsi, per disinibirsi un po' di più. Tan­to, poi, ti dicono, smetto quando voglio». E anche l'abuso di alcol nasce dalla stessa superficialità e sottova­lutazione dei rischi. «Bevono per sentirsi più disinvolti», spiega don Rigoldi. Senza ne­anche più il gusto del proibi­to di provare lo sballo.