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Giovani e alcol: storie di emozioni annegate in un bicchiere

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Giovani e alcol. Storie di emozioni annegate in un bicchiere.

Ambulanza del 118 presa d’assalto nella notte tra sabato e domenica da ragazzi che hanno bevuto un bicchiere di troppo.

È accaduto in pieno centro a Reggio Calabria al team Suem intervenuto per soccorrere una diciassettenne ubriaca.

La cronaca racconta dei sanitari che hanno cercato di prestarle assistenza, mentre gli amici cercavano di entrare dentro il mezzo di soccorso. La squadra riesce a chiudere il portellone, e i diciottenni fuori iniziano a prendere a calci e pugni il portellone sino a mettersi di fronte al mezzo impedendogli di ripartire.

Ed è soltanto l’una di notte. Alle due e mezza circa, la centrale riceve un’altra telefonata, per un altro episodio di alcolismo acuto. Ma quando l’ambulanza arriva, la paziente sta meglio e nessuno si è preoccupato di avvertire il 118. Con gravi ripercussioni per chiamate di ben altra urgenza.
Solo due ore più tardi e, intorno alle 4 del mattino, qualcuno esce fuori strada sulla tangenziale: tasso alcolemico oltre la soglia consentita.

E non è un sabato sera particolare per il servizio Suem, ma il solito weekend, con l’80 % di interventi 118 per etilismo acuto nella nostra città e soprattutto tra i giovani.

I genitori, turbati, reagiscono creando un gruppo Facebook in cui riversare le proprie ansie e magari trovare qualche soluzione. Ma quanto c’è di utile in questo, piuttosto che parlarne apertamente con i propri ragazzi? A sentire gli esperti1: «Manca la capacità di prendere posizioni scomode alla volontà dei figli. I genitori spesso ci si celano dietro alibi banali che non sono altro che giustificazioni messe in atto per paura di conoscere e prendere, doverosamente, in mano la situazione per risolvere il problema».

Eppure dietro il consumo di alcol, nei giovani ci sono delle profonde dinamiche relazionali e psicologiche.

«Oggi è difficile riuscire a esprimere emozioni, sia con le parole sia con i gesti. E questo è particolarmente evidente nelle giovani generazioni. Una forma di incomunicabilità che sta alla base dell’incapacità di riconoscere i propri sentimenti e di esternarli. È l’alexitimia, che a sua volta si correla clinicamente spesso con l’anedonia, cioè all’incapacità di provare piacere, sulla quale si innestano le nuove dipendenze. Ai giovani, oggi serve qualcosa, per esempio l’alcol, per potersi divertire. Il divertimento è sentito come dovere sociale, e cercano di fruirlo con il massimo godimento, per colmare il vuoto che vivono nella loro percezione affettiva. Per altro, bere sostanze alcoliche abbassa la nostra soglia di controllo e rende più semplici delle azioni che sobri non commetteremmo mai, o che, una volta commesse, trovano la giustificazione morale dentro di noi, nel fatto che “eravamo ubriachi”».

Una modalità di consumo dell’alcol tra i giovani che trova riscontro nei fenomeni della drunkoressia, tipicamente femminile, e nel binge drinking desorder.

Col primo, le ragazze evitano di mangiare tutto il giorno per poi ingerire cocktail alcolici la sera, evitando, così, la sovrapposizione dell’apporto calorico dell’alcol a quello del cibo.

Il secondo, invece, coincide con il consumo di alcol in gruppo e in momenti particolari come il weekend o le feste «per liberarsi delle inibizioni, fino a sfinirsi».

E non è raro che al consumo di alcol si associ quello degli stupefacenti.

«Ci sono situazioni di comorbidità, nel senso che chi beve, fuma cannabinoidi. Questo perché l’alcol alza il tono emotivo, abbassato dalla cannabis. C’è anche da aggiungere che l’alcol si associa facilmente anche alla cocaina per l’effetto opposto, per smorzare l’emotività. Del resto l’alcol è lo strumento parafarmacologico di automedicazione inconscia più utilizzato sia per i disturbi dell’umore, sia per i disturbi d’ ansia».

L’alcol, quindi, al pari della marijuana e della cocaina, genera dipendenza che necessita di essere affrontata in maniera adeguata.

«La cura c’è ed è di tipo psichiatrico e farmacologico, sicuramente supportata da una rete di servizi socio-psicologici, con una risoluzione clinica che però purtroppo non arriva a più del 10 – 20%. Ma l’analisi di come nasca una problematica sociale, spesso rimane non adeguatamente affrontata, perché le dipendenze, in quanto problema di “sistema”, sono di difficile gestione, lì dove è lo stesso sistema a non volersi mettere in gioco insieme alla persona e a non volersi assumere la responsabilità del “vuoto” generato all’interno dei propri stessi componenti».


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)