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Gli adolescenti e la dipendenza da internet: conversazione con lo psichiatra Federico Tonioni

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Generazione Sparatutto. Gli adolescenti e le relazioni web-mediate
Conversazione con Federico Tonioni, psichiatra e responsabile del primo ambulatorio dipendenze da Internet presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma
By Cinzia Del Manso


Te l’avranno chiesto in molti: come vi é venuta in mente l’idea di un ambulatorio per la dipendenza da internet?
Mi occupo da sempre di dipendenze, soprattutto di giovani tossici. Alcuni anni fa io e i miei colleghi abbiamo cominciato a notare che molti degli adolescenti in trattamento da noi erano distaccati dalla realtà in modo diverso dal consueto. Non si trattava della solita distanza fisiologica che si riempie con un conflitto generazionale, fondamentale per crescere. Quella distanza non era un conflitto, era un’assenza, un vuoto… Una cosa nuova. Dato che tanti di quei ragazzi passavano ore e ore online, abbiamo pensato che il web fosse un argomento da approfondire. Non Internet però, bensì le relazioni mediate dal web.


Quando avete iniziato gli studi si parlava già di psicopatologie da web…
Sì, certo. L’invenzione del termine Internet Addiction Disorder da parte di Ivan Goldberg risale al 1995 e, poco dopo, Kimberly Young, ha classificato la dipendenza in cinque categorie: ciber sex, relazioni dei social network, gaming online, gioco d’azzardo e information overload… la dipendenza degli ossessivi del web, quelli che cercano continuamente informazioni sul web senza farsene niente. Noi siamo partiti da questa classificazione ma l’abbiamo completamente stravolta, perché abbiamo avuto un’esperienza molto diversa da quella di Kimberly. Il focus dei nostri studi era sul gap generazionale e sulla divisione nativi e immigrati, ovvero tra persone che non hanno conosciuto un prima del computer -come gli adolescenti attuali, nati in piena era digitale- e quelli come me, che hanno conosciuto anche un prima del telefonino e del computer.


Prima era meglio?
Non meglio, diverso. Le variabili spazio-temporali erano altre. Innanzitutto, va detto che l’era digitale è frutto di un’evoluzione più che di una rivoluzione, nel senso che si è instaurata silenziosamente, in modo quasi naturale. Fosse stata una rivoluzione, avrebbe fatto rumore e ce ne saremmo accorti. Invece l’era digitale si è formata senza che noi immigrati ce ne rendessimo conto e i nativi, che ci sono cresciuti in mezzo, hanno vissuto le relazioni con il mondo in modo nuovo. Perché, per esempio, il tempo digitale è un tempo più intenso. Permette di fare tante cose contemporaneamente in modo quasi sovrapposto. La simultaneità però ha i suoi limiti: è stato provato scientificamente che il cosiddetto multitasking non aumenta la concentrazione ma la distraibilità, tant’è che i nativi digitali hanno un altro profilo cognitivo rispetto alle generazioni precedenti. Tutto ciò è documentato e approfondito nel libro che ho pubblicato recentemente, Psicopatologia web-mediata, dipendenza da internet e nuovi fenomeni dissociativi.


Questa nuova dimensione temporale che effetto fa?
Il tempo più intenso azzera le attese. Se c’è una cosa che non riusciamo a sopportare nel web è aspettare. Un’interruzione improvvisa della linea ci agita subito, ci rende più impazienti del solito. Bisogna stare attenti, perché quando si decrementa la nostra capacità di attesa, diventiamo tutti un po’ compulsivi.
La capacità di attesa non è acquisita geneticamente, è una conquista di noi esseri umani. Si instaura nell’infanzia, quando passiamo dal bisogno al desiderio. Un bambino di due/sei mesi, non può attendere una poppata, se non disperandosi, perché ha bisogno di quella poppata; un bambino di tre anni può scegliere il gusto di un gelato perché desidera un gelato. Il desiderio prevede capacità di attesa, il bisogno no.


E la relazione spaziale in che modo è cambiata?
Grazie alla portabilità dei supporti digitali, Il luogo delle relazioni web-mediate è senza luogo. Dovunque noi siamo, possiamo contattare gli amici, la famiglia, chiunque. Questa possibilità però inficia la capacità di stare da soli, che è anch’essa una conquista, proprio come l’attesa. Nelle relazioni web-mediate sono moltiplicati i contatti ma si sono svuotati di contenuto. Per forza, non è che abbiamo sempre così tante cose da dire!
Le nuove variabili spazio-temporali hanno mutato di conseguenza anche le coordinate della realtà e del mondo.


La mutazione riguarda più i nativi che gli immigrati?
Sì, tieni presente che la mente si forma nelle sue fondamenta in un periodo antico della nostra vita, che va dai zero ai cinque/sei anni, in dialettica con il mondo esterno.
I bambini di oggi quando interagiscono con il mondo, per formare le basi della mente, si mettono in rapporto con un oggetto mondo diverso, da quello mio e tuo, che siamo immigrati digitali. Cambiando il modo di vivere il mondo, di fatto, cambia anche la rappresentazione del mondo. La cosa importante da dire però è che se una cosa è diversa da noi non significa che sia patologica. Dal mio punto di vista, la diagnosi di dipendenze da Internet può essere applicabile agli immigrati ma non ai nativi.


Cosa intendi per dipendenza da Internet?
Per l’esperienza che ho avuto nel nostro ambulatorio, intendo dipendenza di persone adulte da cyber sex e da gioco d’azzardo online. Sono contesti poco interattivi, soprattutto dove non si investe nella relazione con l’altro.
Per quanto riguarda i giovani, è tutta un’altra storia. Dato che sono in continua evoluzione, non è corretto usare la parola “dipendenza” con loro. Indipendentemente da cosa gli adolescenti scelgano e da cosa facciano, con il passare degli anni si trasformano, cambiano. Ciò non significa che non ce ne prendiamo cura ma lo facciamo senza la direttrice della diagnosi, che è più un’esigenza degli addetti ai lavori che dei pazienti.


Chi sono gli adolescenti che frequentano l’ambulatorio che dirigi?
Sono giovani dai 12 ai 22 anni, frequentano i gaming online, soprattutto i giochi “sparatutto”, e i social network. Frequentare vuol dire che stanno 18 ore al giorno a sparare. Sparano e basta. Hanno smesso di andare a scuola, non escono più da casa.


Quali sono gli effetti collaterali delle loro relazioni digitali?
Una fra tutte: su Internet ci si può guardare, ci si può parlare, ci si può ascoltare ma non ci si può toccare. Esistono dei livelli di comunicazione molto più profondi della comunicazione verbale. Livelli che parlano attraverso il corpo, attraverso la postura e che si attivano esclusivamente se si è a portata di contatto fisico. Dal vivo si può balbettare e arrossire sul web no. Due adolescenti che parlano di argomenti sensibili via computer non diventano rossi neanche se gli dai fuoco! Sai che vuol dire il rossore per un adolescente? Mettersi a nudo. Io posso dire a una persona “ti amo” e posso esprimere un sentimento ma posso anche mentire nel dirlo, perché l’ho deciso io… Ma se sono davanti a te e arrossisco, ti ho già detto tutto e mi metto a nudo. Gli adolescenti che si mettono a nudo è possibile che non riescano a sopportarlo. Un rossore alla nostra età ci può imbarazzare, ci possiamo anche ridere su ma se capita a un adolescente, non riesce a contenere l’emozione. I giovani si giocano l’identità in un confronto tra pari: le relazioni orizzontali, che riguardano il gruppo di appartenenza, contano di più di quelle verticali, limitate ai genitori. La comunicazione web-mediata per i teenager è di vitale importanza e le brutte figure non le vogliono fare!
Il problema delle relazioni web-mediate è l’incapacità di tollerare le emozioni. Tanti adolescenti si rivolgono al nostro ambulatorio per questo.


Altri problemi?
Le relazioni online aumentano l’aggressività, connesso a ciò c’è il massacro del cyberbullismo, e aumentano anche i comportamenti potenzialmente sessuali.
La situazione tipica è dirsi di tutto online –perché se il corpo è lontano riesco a tenere sotto controllo l’emotività– però poi, quando ci si vede dal vivo, le cose vanno molto diversamente. Spesso gli incontri sono una delusione totale. Però non è colpa di Internet, l’ho sempre detto. Il problema, secondo me, sono gli schermi digitali, che oggi sono tutti portatili e interattivi.


Che vuoi dire?
Intendo che lo schermo digitale ti intrattiene, ti permette di interagire ma non è vivo, soprattutto non è a portata di contatto fisico. Prendiamo i cartoni animati di oggi: parlano con i bambini e gli chiedono, per esempio, di cantare insieme a loro. I bambini parlano e cantano con lo schermo. Sai quanto tempo ci stanno davanti alla tv? Te li dimentichi! Tanti genitori mi dicono compiaciuti: “Dottore, mio figlio quando sta di fronte al computer non lo vedo e non lo sento”. Cosa vuol dire? Che non lo pensa. Il bambino sparisce, e con lui scompare la possibilità di fare in modo che ci sia il rispecchiamento emotivo con gli occhi di un genitore, o della babysitter, comunque di uno sguardo vivo. Quando c’è il rispecchiamento emotivo, non finisce mai per tutta la vita, perché lo sguardo di un genitore ti determina l’umore anche ora, a me e a te, e sarà sempre così.
I bambini hanno bisogno di essere visti, considerati, perché il rispecchiamento emotivo avviene quando ci si guarda negli occhi e si pensa la stessa cosa. La disponibilità di sguardi che c’è tra un bimbo e uno screen digitale interattivo produce qualcosa di simile a un’emozione ma non è un’emozione, perché non c’è il corpo. La tachicardia, quel bimbo, non può sentirla, però risponde: le sue sono come emozioni abortite, che lo trattengono lì tanto tempo. Allora mi chiedo: la generazione dei nativi quanto ha rispecchiato le emozioni come qualcosa di interattivo ma di non-vivo? Perché non è vivo il cartone animato che ti fa cantare!
Siamo di fronte a una generazione emotivamente diversa, un po’ deficitaria per alcuni versi, ma non posso tacciare di patologico qualcosa di nuovo, che ancora non si conosce… siamo in transizione e ci saranno ancora molti cambiamenti. Comunque dove c’è dolore mentale, è sempre necessario intervenire.


Che tipo di dolore?
Soffrono di solitudine. Tanti ragazzini che vengono all’ambulatorio non riescono a incontrarsi, non reggono le relazioni dal vivo, e tanti sono vittime di cyberbullismo.
Inoltre, disinvestono da qualsiasi discorso legato al corpo: non fanno sport, non c’è movimento che li invogli, hanno tutti lo stesso fisico, e tendono al ritiro sociale.
Tutti i miei pazienti fanno giochi “sparatutto” e hanno una rabbia in corpo così grande che se gli togli Internet ti aggrediscono. Ho conosciuto genitori presi a calci dai figli dopo che gli avevano vietato l’uso del computer. Quei ragazzini hanno una rabbia rimossa, e soprattutto realizzano attraverso Internet l’unica relazione possibile, altro che dipendenza!


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.cowinning.it/conversazioni/generazione-sparatutto-gli-adolescenti-dipendenze-da-internet/


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)