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Guida, alcol e circolazione consapevole

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Guida, alcol e circolazione consapevole


di Claudio De Luca


Questa rubrica ha trattato bene spesso l'argomento. Ora è il caso di esemplificarne i contenuti, supportandoli con alcune sentenze illuminanti per fattispecie diversificate.


PRIMO CASO. Alza il gomito (tasso alcolemico rilevato di 2,20 g/l) e viene trovato sulla pubblica via, privo di conoscenza al posto di guida della propria auto e con il motore acceso. Il Tribunale di Torino ha assolto l'imputato - per insussistenza del fatto - dal reato di guida in istato di ebbrezza. Ma il Pm è ricorso per Cassazione ed ha sostenuto che la sosta (e la fermata) dell'auto, conseguente al movimento della stessa, rappresenta una fase statica della circolazione; pertanto, nel caso in esame, la fattispecie contravvenzionale contestata ricorreva. La Corte di Cassazione (sentenza n. 5404 del 2012) ha affermato che il reato di guida in istato di ebbrezza (art. 186 Cds) diviene concreto con "la prova della deliberata movimentazione del veicolo in area pubblica". Tale prova può essere assunta "non solo allorchè la persona sia sorpresa nell'atto di condurre un veicolo, ma anche nei casi in cui essa si trovi, a bordo di un veicolo in sosta, nelle condizioni di ripartire, ad onta delle alterate condizioni psicofisiche". Più precisamente, la Corte, richiamando un precedente orientamento di legittimità (sentenza n. 10.476 del 2010), ha sottolineato che "ai fini del reato di guida in stato di ebbrezza, rientra nella nozione di guida la condotta di chi si trovi all'interno del veicolo quando sia accertato che egli abbia, in precedenza, deliberatamente movimentato il mezzo in area pubblica o quantomeno destinata ad uso pubblico". Perciò ha annullato la sentenza, rinviando gli atti al Tribunale di Torino che, attenendosi al principio di diritto enunciato, dovrà anche accertare la posizione e lo stato dell'autovettura, il luogo ove la stessa si trovava nonchè le ragioni di quell'anomala (ed in apparenza ingiustificata) presenza sul posto.


SECONDO CASO. Va ritirata la patente a chi sia stato rinvenuto, in istato di ebrezza, alla guida di un ciclomotore. E non rileva che, per la guida di quel veicolo, non sia richiesto il permesso di guida. Infatti, la Corte di Cassazione (sentenza n. 32.439 del 2012) ha chiarito che il principio in base a cui (Sezioni unite della stessa Corte) le sanzioni accessorie non si applicano alle infrazioni commesse quando si sia alla guida di un mezzo che non richieda la patente, non è cogente quando si guida un veicolo che richieda una "abilitazione", com'è nel caso del "cinquantino". Ed il principio sancito dalle Sezioni unite resta valido pure per altri veicoli, come le biciclette. Come si legge nella parte motiva della sentenza, "nel caso di guida in stato di ebbrezza di un ciclomotore da parte di un soggetto munito di patente di guida, tale titolo abilitativo ha un'idoneità assorbente rispetto al certificato di idoneità, con l'ulteriore conseguenza che la sanzione amministrativa accessoria alla sospensione della patente di guida, prevista quale sanzione amministrativa obbligatoria anche in caso di sentenza di patteggiamento, deve necessariamente avere ad oggetto la patente di guida, in quanto titolo che abilita il soggetto anche alla guida del ciclomotore." In questo modo la Suprema corte ha respinto il ricorso del conducente di un ciclomotore sorpreso alla guida mentre era "alticcio". Nel ricorso quest'ultimo aveva contestato la sospensione del documento di abilitazione alla guida, decisa dal Tribunale di Sant'Angelo dei Lombardi, sulla base del rilievo che il reato era stato commesso utilizzando un veicolo per la cui conduzione non è prevista la patente. Tra l'altro la Corte ha fatto notare che "i requisiti fisici e psichici richiesti per la guida dei ciclomotori sono gli stessi prescritti per la patente di categoria A, ivi compresa quella speciale". Se ne desume che il certificato di idoneità per la guida di ciclomotori è un vero e proprio titolo di abilitazione alla guida, del tutto assimilabile alla patente di guida.


TERZO CASO. La Corte di Cassazione (sentenza n. 28.388 del 2012) ha accolto il ricorso di un automobilista condannato dai Giudici di merito per guida in istato di ebbrezza (ex art. 186 Cds). Esaminando la vicenda, la Corte ha fatto notare che la prova della responsabilità dell'imputato, desunta dalle risultanze dell'alcoltest, non aveva tenuto conto dell'assunzione di farmaci da parte di quest'ultimo, costretto a fare uso di medicinali a causa di una patologia cronica. I risultati, alterati al momento dell'effettuazione del test da uno sbalzo metabolico, conseguente proprio all'assunzione di tali specifici, non erano stati supportati da una valutazione di circostanze pertinenti e rilevanti. Infatti non è sufficiente richiedere il deposito della documentazione che attesta la regolarità dell'etilometro. La Suprema Corte ha fatto anche notare che i Giudici di merito hanno sempre l'obbligo di valutare ogni circostanza rilevante ai fini della decisione. L'imputato era stato condannato a versare l'importo di una sanzione sia in primo grado sia dopo il giudizio d'appello; e, per questo, si era rivolto alla Suprema Corte facendo notare che l'esito positivo dell'alcoltest era dovuto esclusivamente al fatto di essere costretto ad assumere da tempo alcune medicine per la cura di una malattia cronica. Dette specialità avevano influenzato il risultato dell'alcoltest il cui esito non poteva essere riconditto ad uno stato di ebrezza.


ULTIMO CASO. Giro di vite per chi si mette alla guida dell'auto in istato di ebbrezza. Secondo una sentenza della Cassazione (la n. 11.373 del 2011) le assicurazioni potranno rivalersi sul conducente ubriaco nel caso in cui questi abbia provocato un incidente con danni. Lo consente una clausola contrattuale che prevede la copertura assicurativa solo in caso di circolazione stradale, anche di una persona diversa dall'assicurato, in uno stato cosciente, non alterato dall'uso di alcool o di sostanze stupefacenti. La Corte di Cassazione si è pronunciata in tali termini con riferimento alla vicenda del padre di un giovane postosi alla guida, dopo di avere assunto dell'alcol, causando un sinistro. La clausola contrattuale prevedeva la rivalsa della Compagnia in caso di guida in istato di ebbrezza; perciò questa aveva chiesto al genitore di essere risarcita per una somma di 3 miliardi di lire, dal momento che aveva dovuto somministrare un ristoro per il sinistro causato dal figlio. La difesa di parte aveva definito tale clausola vessatoria, dal momento che determinava un forte squilibrio fra i diritti ed i doveri delle parti in caso di comportamenti colposi posti in essere da persone diverse dall'assicurato. Perciò il contraente aveva impugnato la sentenza in Cassazione e questo Collegio gli aveva dato ancora torto respingendo il ricorso e stabilendo che le clausole previste dall'assicurazione non possono considerarsi vessatorie poichè escludevano che il conducente dell'auto potesse guidare in istato di alterazione. Per ciò stesso limitavano semplicemente il rischio assicurato ad una circolazione stradale "consapevole".


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)