I giovani da Woodstock alla grande solitudine
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È assai difficile spiegare ad un pubblico adulto quale sia l'essenza, lo spirito dei rave party. E' troppo facile condannare tutto e tutti, ma in fondo esiste una motivazione che ha radici solidissime, ed è la stessa che quarant'anni fa spinse alla rivolta controculturale le masse giovanili di tutto il mondo, la stessa che, a metà degli anni Ottanta, incendiò il sottoproletariato inglese che cercava un'ipotesi di rivolta contro la deriva reazionaria della Tacher: la parola magica è «libertà». Non scandalizzatevi. In fondo le masse sul pianeta Terra si sono ribellate sempre e solo per due buone ragioni: la fame e la libertà. Oggi che la panza piena ce l'hanno più o meno tutti, quello che ad un giovanotto con pochissime speranze per il futuro fa più girare gli accessori è la progressiva morsa asfissiante del controllo dello Stato. Mentre ieri morivano, in Salento ed in Molise, due ventenni travolti dai loro stessi eccessi, le rappresentanze ultras di tutt'Italia si davano convegno per contestare la «tessera del tifoso», quell'incredibile sistema di schedatura che, secondo disegni, da gennaio dovrebbe proibire a chiunque non sia sotto stretto controllo di effettuare trasferte dietro la squadra del cuore. Vietare insomma la circolazione sul territorio nazionale dei liberi cittadini. Nemmeno il fascismo si spinse mai a tanto, da un punto di vista repressivo. Il milieu nel quale maturano i rave party è in fondo lo stesso. Le forze dell'ordine cercano di controllare, per conto dello Stato, strade, piazze, locali, punti di aggregazione? Benissimo, qui invece è zona franca. Siamo tanti, uniti, abusivi in tutto e per tutto. Esagerare è l'imperativo, trasgredire oltre ogni limite, spaccare, devastare le regole. E voi non potete farci niente, perché è pericolosissimo intervenire, e voi lo sapete, lo dovete sapere. Solo che anche a vent'anni la miscela di stress fisico, mancato sonno, alcolici, droghe e ipereccitazione è difficilmente tollerabile a lungo. Quarant'anni fa, in questi stessi giorni, Woodstock segnò il punto di non ritorno per una generazione che aveva condiviso sogni, costruzione di un domani utopico ma possibile, musica. Era una generazione solidale al massimo, pronta a darsi battaglia dal punto di vista ideologico, a dividersi su idee filosoficamente speculative, a massacrarsi politicamente, ma unita in alcuni valori simbolo. Aveva davanti a sé, nel destino, un mondo stupefacente, da affrontare tutti insieme, un mondo lineare nei valori: da qui il bene di là il male, sopra il cielo sotto la terra. Coniarono slogan intramontabili, conditi dalla musica più bella degli ultimi cento anni. Uno su tutti dilagò col passaparola, dalle università colte alle periferie che ribollivano: «Défense d'interdire» gridavano a Parigi alla Sorbona, «Es prohibido prohibir» cantava con la sua voce di flauto Caetano Veloso da Bahia. E' proibito proibire c'era scritto sui muri di Milano, di Roma, di Bari. Cambiarono il mondo, quei ragazzi, dalle fondamenta, anche se la cosa comportò notevoli problemi di adattamento (è un eufemismo) sotto tutte le latitudini. Quelli che oggi si danno appuntamento nei rave (in inglese significa «delirio» più o meno), poco sapranno circa la genesi del fenomeno. Quasi in contemporanea, nella Detroit e nell'Inghilterra devastate dalla crisi della metalmeccanica, verso la fine degli anni Ottanta, i giovani dei ghetti, senza nemmeno più la speranza di un lavoro da operai, cominciarono a darsi appuntamento di notte, senza spargere troppo la voce, nei capannoni industriali dismessi. Era uno sfregio, chiaramente: voi ci affamate, noi ci rivoltiamo. Si montava l'impianto, si sparava la musica a palla, si faceva baccano e via, si spariva alle prime sirene della polizia, il vero nemico di classe, quella che arriva a riportare l'ordine costituito. House e Acid House nacquero così e dilagarono nei club più esclusivi del pianeta, diventarono cultura alternativa, creatività, con tutte le loro «pallette», gli acidi, le droghe psichedeliche, per usare un termine musicale. I rave sono illegali in Gran Bretagna dalla metà degli anni Novanta, in Francia da qualche anno. Di morti ce ne sono già stati abbastanza, su e giù per l'Europa. La musica è diventata elettronica durissima, techno a palla, hard-tek, con i bassi da spaccare il cuore perché tutto è diventato tecnicamente possibile, per potenza e capacità. Così le droghe, devastanti. Ma anche il senso di abbandono, di disperazione latente. Nell'era della comunicazione no-limits, degli sms, degli mms, delle mail, di facebook, dei blog, comunicare tra esseri umani non è mai stato così difficile, accettare le piccole quotidiane sconfitte della vita non è mai stato così duro, trovare un amico vero, un ideale, un'idea condivisa praticamente impossibile. Quelle di Woodstock erano musica, idee, emozioni, sesso, forse droghe, di sicuro una vita da vivere in un sorso col sorriso. Quelle dei rave del Duemila sono musica, idee, droghe, sesso e paure da vivere in solitudine in mezzo alla folla, sino a stordirsi, a perdere identità e dignità. Così si può persino morire mentre intorno tutti ballano, senza nemmeno chiedere aiuto, senza che a qualcuno venga voglia di vedere come stai. E' il futuro baby, e non puoi farci niente. Ma qualcuno, per favore, la smetta di limitarsi a proibire. Fate qualcosa, che è ora.