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I meccanismi delle dipendenze: processi emotivi, cognitivi, neurobiologici (prima parte)

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I meccanismi delle dipendenze (prima parte)

 


I pazienti in terapia hanno spesso la convinzione che la dipendenza di cui ostinatamente soffrono, abbia magari una qualche origine misteriosa, faccia parte di un lato oscuro della propria personalità e sia perciò insondabile


I circuiti emozionali di base

Troppo spesso noi abbiamo un atteggiamento passivo che ci fa dipendere dagli stimoli esterni. Il nostro cervello, e quindi la nostra mente, è invece in grado di modificarsi non solo attraverso le esperienze esterne, ma anche grazie al contatto quotidiano con le proprie emozioni interne.
Inoltre, la presunta oggettività del reale viene messa in discussione dal fatto che noi vediamo le cose come attraverso degli occhiali deformanti, ed è proprio questo "filtro" a farci percepire la realtà in un'ottica orientata molto spesso verso la negatività.

Tuttavia le nostre esperienze potrebbero essere riprogrammate, indirizzando consapevolmente la nostra attività cognitiva ed emotiva in linea con i modelli neurali di cui tutti disponiamo sin dalla nascita, per sottrarci così all'insoddisfazione cronica ed al male di vivere.

Dobbiamo pertanto porre attenzione sul fatto che noi abbiamo due sistemi distinti nel nostro cervello: uno per le sensazioni positive, il sistema del piacere; l'altro deputato per quelle negative, il sistema del dolore, del dispiacere. Potremmo dire, semplificando, due sistemi che ci portano, l'uno ad apprezzare ciò che di buono e gratificante vi è nella nostra esistenza, e l'altro a sperimentare emotivamente gli squilibri e le contrarietà che ci accompagnano nella stessa.

Il sistema della gratificazione positiva, a livello sottocorticale, si origina nella regione del prosencefalo basale, in prossimità delle proiezioni ascendenti del sistema dopaminergico mesolimbico, e si dirige attraverso l'ipotalamo (area preottica) e l'amigdala verso la stazione finale del GPA ventrale (grigio periacqueduttale), punto in cui si dovrebbero originare le sensazioni di piacere, governate dal neuromodulatore endorfina.

Il sistema avversivo delle emozioni negative ha nel nucleo mediale dell'amigdala (probabilmente di destra), la struttura chiave per stati d'animo quali la rabbia, l'aggressività, il rancore; mentre l'ansia, la paura, le fobie si collocano nei nuclei centrale e laterale della stessa. Da questi, il tutto si proietta all'ipotalamo con le sue connessioni poi verso il circuito dello stress e verso il GPA dorsale in cui si originerebbero tali emozioni.

Dal punto di vista chimico, è il sistema dinorfinico del GPA dorsale a governare le emozioni negative.
Nel giro anteriore del cingolo, inoltre, che si connette con alcune delle strutture citate, risiederebbe il cuore del sistema dell'angoscia da separazione, del lutto, della perdita o minaccia di perdita, che può indurre stati di panico e portare in seguito a manifestazioni gravi di depressione. Il giro anteriore del cingolo si attiva anche in tutte le situazioni di dubbio e conflittualità da cui siamo continuamente afflitti.


Lateralizzazione emisferica cognitivo-emotiva

Altri studi sull'argomento hanno ormai acclarato da tempo che una più elevata attività generale a livello della corteccia frontale sinistra sottintende ad una maggiore disponibilità verso sentimenti positivi, mentre una prevalente attività corticale a livello frontale destro evidenzierebbe una emozionalità orientata in senso negativo.

Ciò suggerisce che nel nostro cervello esistono due modalità distinte per affrontare in modo vantaggioso e congruente la realtà. La diversa distribuzione delle sensazioni gradevoli e sgradevoli nei due emisferi rifletterebbe allora la presenza di modalità cognitive differenti, cioè di sistemi differenti di elaborazione predisposti a destra per affrontare gli aspetti avversivi delle nostre esperienze, in particolare le novità, l'ignoto, ciò che ci fa quindi sovente paura, che ci pone in afflizione quando non riusciamo a dominare certe situazioni per cui ci sentiamo impotenti. La parte sinistra sarebbe invece più abile nell'elaborare e analizzare, sistematizzare, gli aspetti delle nostre esperienze quando queste si fanno maggiormente familiari, quando ormai risultano acquisite e categorizzabili. Quest'attività di categorizzazione, di appropriazione, ci rende soddisfatti, ci rassicura.

In situazioni sperimentali, analizzate con la PET, in cui i soggetti dovevano affrontare compiti nuovi si vede come inizialmente sia la corteccia prefrontale destra ad attivarsi. Man mano che i soggetti prendevano poi confidenza con il compito questa attività si spostava progressivamente a sinistra. Un tale aumento è tanto più marcato quanto più la situazione sperimentale proponeva ai soggetti di affrontare compiti difficoltosi. Al contrario, quando il compito era riconducibile a nozioni già acquisite, l'emisfero destro risultava meno attivo, in quanto meno impegnato rispetto al sinistro.

Equilibri precari emozionali

Sono degni di interesse anche certi studi effettuati su individui che in seguito a traumi o ictus hanno completamente perso la funzionalità, ad es., della corteccia prefrontale destra. Queste persone, dopo l'incidente, cambiano letteralmente carattere, non percepiscono la negatività, vivono in uno stato di permanente allegria (quasi sempre fuori luogo), ignorano perfino la propria malattia. Lo stesso dicasi quando ad essere colpito è il lobo prefrontale opposto, per cui ci si trova a vivere improvvisamente in uno stato di completa ed immutabile infelicità.

Tutto questo ci fa riflettere e suggerisce che se un sistema del piacere o del dispiacere viene per qualche motivo iperattivato, esso acquisisce una sorta di autonomia rispetto alla realtà. Ciò significa che nel nostro cervello se viene drasticamente rotto l'equilibrio tra i due sistemi contrapposti, si può essere felici o infelici in pianta stabile. Ma questa non è evidentemente una situazione invidiabile, perché perdendo il senso della realtà finiamo per vedere tutto rosa o tutto grigio. Avviene un po' come può accadere , in qualche raro caso, a chi ha perso, ad es., la sensibilità al dolore. In poco tempo si autodistrugge.

La buona funzionalità dei sistemi del piacere e del dispiacere è legata ad un loro reciproco equilibrio. Sentimenti positivi e negativi si susseguono e contrappogono, si mescolano durante la giornata, scandiscono la moteplicità e la varietà degli eventi che ci coinvolgono.

Eppure non è difficile osservare quanti vivano in una condizione permanentemente orientata verso la negatività, la sofferenza, anche se tali individui si possano considerare per certi aspetti normali. Questo perché siamo abituati a sottolineare gli eventi negativi dell'esistenza, i nostri presunti malanni, mentre ignoriamo quasi del tutto ciò che è positivo, a meno che non ci appaia come qualcosa di straordinario. Ma facendo così, inconsapevolmente giorno dopo giorno rinforziamo i circuiti del dispiacere nel nostro cervello, creando i presupposti per futuri eventuali comportamenti disadattativi.

Quando il nostro cervello è oberato dall'afflizione, dall'insoddisfazione cronica, cessa di funzionare come "il centro tranquillo e riflessivo di un mondo ordinato".


Emozioni negative e alterazione del sistema noradrenergico

Come si può arrivare a tutto ciò? Abbiamo visto che l'attività protratta di rinforzo inconscio delle emozioni negative, mentre quasi si ignorano o minimizzano quelle positive, a meno che non siano ritenute particolarmente esaltanti, ci rende sempre più propensi e pronti a reagire alle contrarietà della vita in modo distruttivo. Intanto, i circuiti dell'amigdala regolanti le emozioni negative, si rinforzano e si fanno maggiormente sensibili.

Ma non c'è solo questo. A livello cerebrale, nella corteccia, si verificano dei cambiamenti indotti da una deplezione funzionale del locus coeruleus, il centro sottocorticale da cui si dipartono due o tre mila fibre noradrenergiche che con le loro ramificazioni innervano tutta la corteccia, specialmente nella sua metà destra a livello prefrontale. Questo nucleo, che si trova nel tronco cerebrale, se iperattivato e sollecitato da continue situazioni di stress, conflitti, emozioni negative, si squilibra, non è più in grado di attivarsi come dovrebbe. Esso funziona come uno stabilizzatore dell'attività corticale e quindi dei nostri stati mentali. Infatti, la noradrenalina è un modulatore corticale con funzione inibitoria, tiene cioè a freno l'azione eccitatoria del glutammato (che il principale neurotrasmettitore eccitatorio della corteccia).

In un cervello ben equilibrato, la noradrenalina contiene nei giusti limiti il sistema del glutammato. Ciò significa che l'individuo ha il giusto livello di eccitazione ed è così in grado di affrontare le contrarietà in modo adattativo, reagendo agli stimoli adeguatamente, senza farsi travolgere dall'ansia o da impulsi aggressivi. Se invece con il tempo il nucleo del locus coeruleus viene, per così dire, ad essere "spremuto"in modo tale da non essere più in grado di svolgere la sua azione regolatrice, ecco che si sono create le premesse per ingigantire ulteriormente una reattività emozionale già predisposta in senso negativo e distruttivo. Il circuito del malessere si espande di rimando anche nella nostra mente.

Ma non è solo il locus coeruleus ad essere implicato in questo meccanismo, in quanto esso è a sua volta modulato, oltre che dalla acetilcolina, anche dalla serotonina. Una delle ramificazioni del sistema serotonin ergico, originantesi dai nuclei del rafe, termina i suoi assoni proprio sul locus coeruleus con azione eccitatoria-inibitoria. Ciò significa, ad es., che quando quest'ultimo è sottotono, il sistema serotoninergico si dà da fare per stimolarlo. E' tanto importante il ruolo stabilizzatore del locus coeruleus che, come si vede, la natura ha provveduto ad accoppiarlo ad un altro sistema modulatore allo scopo di regolarlo per farlo mantenere in equilibrio ed impedire così eccessive alterazioni in un senso o nell'altro. Ma purtroppo, c'è anche il rovescio della medaglia. L'alterazione del primo, infatti, a lungo andare si ripercuote inevitabilmente sul secondo, così anche il sistema serotoninergico si può a sua volta scompensare precipitando in una condizione di deficit.

Le conseguenze di un deficit di serotonina sono arcinote, e cioè aggressività, irritazione, impulsività. Ecco perché si sente spesso dire in giro che la serotonina sarebbe la molecola del "buon umore". Ciò non è però del tutto corretto, sia perché i modulatori in genere, non sono una sorta di sostanze "magiche", sia per il fatto che la serotonina non rappresenta altro che un anello di una catena che vede tra le sue maglie altre molecole modulatrici quali innanzitutto la dopamina , la noradrenalina e le endorfine.
Se dunque l'azione inibitoria modulatrice della noradrenalina viene meno e si consolida con il tempo, la corteccia diventerà allora rumorosa, ipersensibile agli stress, alle contrarietà, andrà in confusione.


Inibizione e maturazione

Vale la pena di spendere, a questo punto, qualche parola sul concetto di "inibizione", in quanto esso pare avere un ruolo fondamentale sia per lo sviluppo cerebrale sia per garantire una corretta evoluzione e maturazione della nostra personalità, basti pensare che lo sviluppo del cervello, dopo la nascita, si basa non su di un aumento di neuroni e connessioni sinaptiche bensì su di una loro diminuizione. Ad, es., se un neurone all'inizio ha diecimila sinapsi, ne avrà poi in seguito solo un migliaio o duemila. Il processo di sviluppo e maturazione cerebrale si gioca tutto su di un'attività di potatura, cioè di selezione di alcuni circuiti che diventano preminenti a scapito di altri che a poco a poco scompaiono di scena.

I circuiti corticali, come abbiamo visto, vengono per così dire mantenuti "freddi"dal basso, dai centri modulatori del tronco encefalico noradrenergici e dopaminergici. Dall'alto, dall'azione coordinatrice e programmatrice della corteccia prefrontale che rappresenta, dal punto di vista evolutivo, l'acquisizione più recente del sistema nervoso. Essa era necessaria in quanto la corteccia ha un'organizzazione differente rispetto alle più antiche strutture sottocorticali quali il talamo, l'ipotalamo, i gangli della base, ecc. Non è composta da nuclei distinti relativamente indipendenti, ma è programmata in modo che le varie aree siano fortemente connesse tra di loro. C'era quindi bisogno di un centro ordinatore, che tenesse a freno e coordinasse l'attività di tali aree.
La corteccia prefrontale è, si può dire, il direttore d'orchestra del cervello, senza di essa l'intera struttura tenderebbe a collassare. Ed è quello che succede, ad es., in seguito a gravi traumi che la colpiscono. (vedi anche il cosidetto morbo di Alzheimer, in cui è la prima struttura a deteriorarsi). Il soggetto cambia completamente carattere, è come una nave senza timone, non perde del tutto le sue funzioni di base ma non sa come gestirle razionalmente. In particolare la corteccia prefrontale (area orbito-frontale) è deputata ad inibire le emozioni negative agendo sull'amigdala che come abbiamo visto rappresenta uno degli snodi fondamentali nel circuito del dispiacere.

Spesso la gente è convinta, ed è anche purtroppo una certa psicologia, che sfogare le emozioni negative faccia bene alla salute. C'è dietro un modello della mente di stampo ottocentesco, come se il nostro cervello fosse simile ad una pentola a pressione la quale, perché non esploda, deve far uscire ogni tanto un po' di vapore. In realtà, più piangiamo e più ci disperiamo, più sfoghiamo la rabbia e più diventiamo aggressivi, più agiamo compulsivamente e più diventiamo ossessivi. E' come gettare benzina sul fuoco.

Dovremmo invece non dare più attenzione del dovuto alle emozioni negative. Reprimerle semmai o contenerle sin dal loro primo insorgere, per impedire che debordino e diventino incontrollabili. Così, forse, saremo in grado di gestirle in modo più adattativo. Una tale capacità e padronanza in molti probabilmente non è stata mai acquisita sin da quando, ad es., da piccoli siamo stati invece incoraggiati in maniera sconsiderata da parte dei nostri genitori a sfogare le nostre rabbie, i nostri pianti capricciosi e ricattatori, i nostri impulsi ancora immaturi. E' difficile governare quello che non si è mai appreso, poiché i circuiti prefrontali deputati non sono stati convenientemente rinforzati quando erano più facilmente e naturalmente disponibili. In seguito dovremo impiegare uno sforzo maggiore, tuttavia la buona notizia è che, però, c'è sempre tempo per acquisire quello che non abbiamo appreso al momento giusto, basta che non ci facciano difetto costanza e volontà.

Abbiamo visto che il deficit di noradrenalina, ma anche di dopamina cui accenneremo poi, ha come conseguenza nella corteccia di ridurne il grado di inibizione. (L'inibizione non significa blocco, arresto, ma modulazione frenante di un sistema che altrimenti finirebbe per sovraeccitarsi). Una corteccia sovraeccitata produce un eccesso di conduzione nervosa scoordinata che a livello mentale si traduce in un senso di confusione, caos, una difficoltà a concentrarsi, a mantenere l'attenzione, a selezionare gli stimoli pertinenti da quelli che non lo sono.

Emotivamente poi vi è, irritabilità, impulsività, un senso generalizzato di sofferenza che corrisponde, a livello fisico, al dolore.

Un'altra importante struttura su cui si riverbera la modulazione inibitoria della corteccia prefrontale è rappresentata dal nucleo caudato. Questo fa parte dei gangli della base, che era la stazione operativa finale prima che ad un certo punto dell'evoluzione comparisse la corteccia. Gangli della base e talamo sono i precursori funzionali della corteccia, rispettivamente nelle sue porzioni anteriore e posteriore. L'evoluzione ha portato però livelli di integrazione superiori rispetto a quelli con cui operavano gangli della base e talamo.

La corteccia prefrontale consente un'operatività ampia basata su contesti di larghe dimensioni.Se si pensa, programma, immagina, in vista del futuro, tenendo anche conto di tanti fattori contemporaneamente, non siamo più pesantemente condizionati dall'immediato. Ma se la corteccia prefrontale si ipoattiva la sua azione modulatoria viene meno ed il nucleo caudato ritorna, in una certa misura, ad essere dominante. E' come se, nonostante la nostra dotazione superiore, regredissimo a stadi evolutivi precedenti. E l'operatività del nucleo caudato sembra tendere verso comportamenti estremizzati opposti. Da un lato verso la coazione a ripetere, all'ossessività compulsiva, dall'altro all'iperesplorazione, all'iperdipendenza dagli stimoli, alla ricerca coatta del nuovo.del diverso, del rischio trasgressivo.

E con ciò, abbiamo aperto le porte e spianato la strada verso il variegato tunnel delle dipendenze.


Il sistema gustativo: un modello di dipendenza di attualità

Passiamo ora ad esaminare come i circuiti del piacere e del dispiacere si coniughino, per es., ad un bisogno primario quale è il cibo, tra l'altro fra i più indagati anche a livello cerebrale, il circuito gustativo parte dai vari sensori distribuiti nella lingua che si raggruppano in più di centomila fibre riunite in tre nervi cranici (il settimo, il nono e il decimo), che sfociano in un'area chiamata nucleo del fascicolo solitario. Da questo si diparte un circuito, che possiamo chiamare circuito gustativo cognitivo, che poi si dirige verso la corteccia dell'insula (un'area infossata tra il lobo frontale e quello temporale). Un altro circuito, che possiamo definire gustativo affettivo, raggiunge invece le aree dell'ipotalamo e dell'amigdala.

Come si vede, nel cervello aspetti cognitivi ed emotivi sono distinti ma anche strettamente collegati da un punto di vista funzionale. I sistemi del piacere e del dispiacere, di cui abbiamo parlato in precedenza, sono intimamente collegati ai circuiti cognitivi da cui dipendono. Non esiste emozione senza cognizione, anche se spesso non ne siamo consapevoli, questo perché il sistema cognitivo lavora per lo più al di sotto della soglia della coscienza.

Così, ad es., per sentire il piacere del cibo occorre un circuito cognitivo (aree di proiezione corticale), uno emotivo (amigdala, grigio periacqueduttale governato dagli oppiacei), ma non basta. Ci vogliono pure dei sistemi di integrazione superiori in zone della corteccia prefrontale. Questa è infatti l'area che ha più collegamenti con tutte le altre parti del cervello (sia a livello corticale che sottocorticale), altrimenti non sarebbe in grado di dirigerle e gestirle in maniera efficace.Senza questo ulteriore processo di integrazione la sensazione gustativa perderebbe di significato, di interesse. In parte lo abbiamo sperimentato tutti. Quando mangiamo distrattamente, spostando la nostra attenzione verso qualcos'altro, magari in fretta, non riusciamo ad apprezzare il cibo che assume una tonalità neutra in quanto viene a mancare in parte , ed a ridursi , l'influenza della corteccia prefrontale con i suoi processi interpretativi di ordine superiore.

Chi soffre poi di attacchi di compulsività ciclica riguardo al cibo, è difficile pensare che ne possa trarre piacere. C'è da chiedersi se questa sia propriamente un'esperienza positiva o piuttosto un'ambigua esperienza negativa di cui alcune persone non possono , loro malgrado , fare a meno.

La dubbia positività di un'ingestione compulsiva di cibo viene ulteriormente messa in discussione dal fatto che vi è un altro sistema parallelo da prendere in considerazione. Si tratta di quello veicolante i messaggi viscerali provenienti dal nervo vago che confluiscono proprio (anche se in maniera distinta) sul nucleo del fascicolo solitario. E' interessante una tale vicinanza spaziale tra il sistema esterocettivo dei sapori con quello enterocettivo che veicola i messaggi sensoriali provenienti dal tubo digerente. Anche quest'ultimo proietta sull'insula ed ha ulteriori collegamenti con l'amigdala, ci informa quindi sullo stato di benessere o malessere rispetto ai nostri organi interni. Un eccesso di cibo è evidente che ne altererà il funzionamento in senso negativo con l'attivazione finale del sistema dinorfinico del GPA.

Nella corteccia prefrontale (area orbito-frontale posteriore) esistono due centri paralleli che sembrano veicolare l'uno il valore affettivo positivo, gratificante del cibo, e l'altro quello negativo repulsivo. Quando ingeriamo un alimento, in quanto affamati ed attratti da esso, se ne attiva il primo localizzato in una zona mediana. Quando invece cominciamo ad essere sazi si attiva il secondo localizzato in una parte più laterale, sempre dell'area orbito-frontale posteriore. Questi centri sembrano inoltre essere specifici per alimento. Ciò spiegherebbe perché quando siamo sazi e però vogliamo continuare a mangiare, si tenda a passare da un alimento ad un altro in modo da disattivare e riattivare il sistema ora descritto.

Tirando le fila, da quanto sinora discusso, ci viene da fare un ulteriore riflessione, e cioè che sembra difficile poter fare una distinzione tra "fame fisica"e "fame emotiva", come si sente spesso affermare, per il semplice motivo che anche la cosidetta fame fisica è connotata emotivamente. Non è che siamo affamati e mangiamo perché vi è solo un deficit di nutrienti. Senza emozione, la cognizione(in questo caso della fame) verrebbe ad essere paralizzata. D'altronde, inversamente, senza cognizione l'emozione è cieca.

I meccanismi regolatori neurochimici agenti sull'ipotalamo (la centralina che regola l'omeostasi interna), per quanto riguarda il cibo, sono svariati sia di tipo attivatorio che inibitorio. A livello centrale sono inibitori la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. A livello periferico, la leptina la colecistochinina la bombesina, la somatostatina. Sono attivatori, centralmente, gli oppiacei endogeni che ci stimolano ad ingerire in particolare grassi e proteine mentre, perifericamente, la grelina. Il neuropeptide Y e l'insulina ci fanno propendere verso il consumo di carboidrati. Da quanto riassunto, risulta che un deficit cronico di serotonina, noradrenalina e dopamina favorisce l'attrazione verso il cibo, la sua appetibilità. In particolare, un deficit di serotonina appare sintomatico in coloro che soffrono di dipendenza dal cibo, e tra l'altro, appare come denominatore comune in tutti coloro che soccombono rispetto ad altri generi di dipendenza. Tutti sono dominati dal demone dell'impulsività.

Fonti bibliografiche:

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Goldberg Elkhonon, La sinfonia del cervello, Adriano Salani Editore, Milano, 2010
Holley André, Il cervello goloso, Bollati Boringhieri, Torino, 2009
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Le Doux Joseph, Il sé sinaptico, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2002
Mundo Emanuela, Neuroscienze per la psicologia clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2009
Ratey John J., Johnson Catherine, Le sindromi ombra, Longanesi&C., Milano, 2000
Solms Mark, Turnbull Oliver, Il cervello e il mondo interno, Raffaello Cortina Editore, 2004


Dott. Fernando Gallorini
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(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)