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I PDTI (protocolli diagnostico-terapeutici integrati) nelle dipendenze patologiche: il parere di Gianpaolo Guelfi

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I PDTI NELLE DIPENDENZE PATOLOGICHE
Integrazione e multidisciplinarità fra SerT e PDTI

GIANPAOLO GUELFI
Psichiatra, già Direttore del SERT AUSL 3 "Genovese"


Nel chiedermi a nome della redazione di ‘Dal Fare al Dire’ il presente contributo, Augusto Consoli scriveva che avrebbe dovuto vertere su “… come i percorsi di cura e le strategie terapeutiche, per essere realmente efficaci, devono essere integrate e multidisciplinari e non dominate da un sapere o da una disciplina che soverchi o neghi l’importanza delle altre. … Una visione eccessivamente medicalizzata o viceversa una soltanto psicosociale, che non veda a sua volta i risvolti sanitari della dipendenza, non sono utili, anzi sono spesso nocive.” Quasi tre lustri da quando ho lasciato il servizio attivo nel SERT non hanno tolto attualità al tema, anzi ne hanno esaltato l’ambivalenza, rafforzandone l’importanza, pur sottolineandone la mancata risoluzione. E pour cause, direi, visto che il mutamento delle caratteristiche del campo (nuove dipendenze, nuove sostanze di abuso e nuovi pattern di consumo), e la progressiva crisi del settore (tagli, ottuse politiche di spending review, legislazioni dissennate), hanno tolto energie e hanno portato a concentrare le risorse sulla sopravvivenza dei servizi anziché sulla qualità del loro intervento, contribuendo se mai fosse possibile ad aumentare anziché a dissipare la confusione, di compiti, di ruoli, di prospettive.


La distribuzione delle competenze all’interno di servizi che ritualmente venivano definiti multimodali integrati, in un modello che vede la dipendenza come un fenomeno bio-psico-sociale, non è certo una novità, anche se un approfondimento delle ragioni che la giustificano non è forse stato condotto innanzi esaustivamente. A me sembra che l’ampliamento del campo delle dipendenze e dei comportamenti di abuso sia un’occasione per aiutare nella riflessione sulla vexata quastio delle relazioni tra discipline coinvolte nel campo. In effetti, la dimensione medica di patologie come l’eroinismo o il cocainismo, evidente e in qualche modo esasperata dalle conseguenze sanitarie che ne derivano, non può far velo sulla dimensione psicologica (perché una persona sviluppa tali comportamenti e un’altra no?) e sociale (perché in ambienti diversi ci sono diverse prevalenze e diverse caratteristiche delle patologie?).


Una visione di tali fenomeni come bio-psico-sociali è talmente evidente che non vederne applicate le conseguenze stupirebbe un visitatore da Marte. Ma noi terrestri sappiamo che l’evidenza scientifica non è l’unico (né spesso il principale) determinante degli apparati volti a contrastare un fenomeno. Sappiamo che il peso delle lobby, nei servizi ma anche negli ambienti di governo, è determinante e fa premio spesso sul buon senso e sulla logica. Da qui, nel sistema italiano, i direttori di SERT esperti in Igiene, in Medicina Legale, con tutto ciò che ne consegue. Ma più in generale l’arbitrarietà e la soggettività nell’equilibrio tra le professioni e quindi nella declinazione locale dell’integrazione. Esemplare in tal senso l’interessantissimo articolo di parecchi anni fa che esaminava i diversi programmi terapeutici nei SERT piemontesi, evidenziando una forbice estrema tra cure mediche e non-mediche non motivata da altro che dalle scelte soggettive dei gruppi dirigenti nei singoli servizi. In una sola regione, e neanche la più arretrata d’Italia.


L’avvento delle nuove dipendenze, a partire da quella oggi dilagante del gioco d’azzardo, ha chiaramente spiazzato l’egemonia medica nel trattamento, visto che non c’è una sostanza in ballo, e che premesse e conseguenze biologiche, se pure esistono, non sono certo dominanti. Largo alla psicologia, dunque, o forse no. I “nuovi comportamenti d’abuso”, le “nuove droghe”, i “nuovi pattern di abuso di vecchie droghe” (o vecchissime, come l’alcool) hanno aperto nuovi campi problematici, generatori potenziali di chiarimento ma anche di nuova confusione. Le premesse di tali comportamenti sono complesse, comprendendo aspetti generazionali e sociali, con livelli preoccupanti di diffusione, sicuramente dimensioni psicologiche, portano conseguenze mediche e sociali, aprono scenari difficili da decifrare. Un altro elemento di complicazione è stato quello della comorbilità psichiatrica, una nebulosa che non è stata ancora capita del tutto anche se molto esplorata, e che per un verso complica di più il problema in quanto va a sovrapporsi ad un altro campo disciplinare proverbialmente controverso e confuso, ed esso stesso in cerca di una sua definizione rispetto al resto dalla medicina, quello della psichiatria. E sono proprio gli attributi di questa disciplina che testimoniano la sua interdisciplinarità (o se preferiamo, la sua confusa natura e incerta collocazione): psichiatria sociale, psichiatria dinamica, psichiatria biologica, psico-farmacologia …Tutto questo va a finire nel calderone dei problemi di committenza, identità, organizzazione ed efficacia del lavoro dei SERT.


(...omissis...)


Fonte: Dal Fare al Dire, 3/2013


copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.publieditweb.it/paginephp/Dal_fare_al_dire/Pagine/NEWS.htm


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)