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I ragazzi, l'alcol e lo sport

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No beer, no rugby?


All'inizio dell'anno il Ministero della Salute ha pubblicato la 8^ Relazione al Parlamento su alcol e problemi correlati, passata un po' in sordina, forse perché tra le sostanze che determinano comportamenti a rischio o deviati, l'alcol gode ancora di una certa sottovaluazione.
Dalla relazione si ricava un dato che, per i genitori di adolescenti e preadolescenti, è allarmante: tra i giovani il consumo di alcol non solo resta alto, ma soprattutto si diffonde sempre di più la pratica di consumare bevande alcoliche in grande quantità in breve tempo fuori pasto (il binge drinking, nell'ultimo decennio passato dal 14,5 al 16,9 tra 14 e 17 anni).
Secondo la Relazione "la percentuale di ragazze tra 14 e 17 anni consumatrici di alcol è raddoppiata negli ultimi 15 anni". Sintomo di un mutato modello culturale.
Alcuni studi dicono che l'Europa è il continente in cui si consumano più bevande alcoliche e l'Italia è uno dei paesi con il consumo di vino più alti del mondo, sebbene negli ultimi anni sia cresciuta la diffusione della birra.
Una analisi - quella del del Ministero della Salute - che presenta un quadro inquietante sui consumi di alcolici e sui comportamenti a rischio. Il Ministero ha attivato interventi di contrasto ma la prevenzione inizia in famiglia.
Nella nota, dice il Ministro: "Dobbiamo aiutare i giovani a fronteggiare le pressioni sociali al bere in contesti significativi come la scuola, i luoghi del divertimento, della socializzazione e dello sport, e realizzare interventi di intercettazione precoce del consumo giovanile a rischio, accompagnandoli con appropriati interventi di sostegno e motivazione al cambiamento".


L'educazione critica all'uso dell'alcol non è quindi una questione che possa interessare solo la famiglia o la scuola, deve impegnare tutte le agenzie educative.
E' quindi un problema anche della "famiglia allargata" del rugby? Cioè di uno dei gruppi di riferimento significativi per i nostri ragazzi?


Non solo un problema di prestazioni.
Il problema esiste per il ragazzo in quanto atleta. L'alcol agisce negativamente sulla prestazione sportiva perchè altera alcune reazioni metaboliche dell'organismo. Tra i tanti effetti negativi possibili citiamo l'alto contenuto calorico, la riduzione della resistenza, la limitazione dell'incremento della massa muscolare, danni al sistema nervoso come peggioramento dei riflessi e del tempo di reazione, una diminuzione delle capacità coordinative.


Ai fini delle performance sportive ce ne sarebbe già abbastanza, ma c'è un secondo punto di osservazione che riguarda la salute dei ragazzi e il loro approccio alla realtà, oltre a non secondarie valutazioni etiche.
I contatti dei ragazzi con l'alcol derivano dal consumo personale - ambito di maggiore attenzione - e dalla esposizione nell'ambiente che frequentano (famiglia e comunità di riferimento). Spesso l'uso dell'alcol comincia in famiglia e si sviluppa fino a generare estremi preoccupanti: dalla mera assunzione per imitazione, per gusto o abitudine, fino alla tossicodipendenza. L'età media del primo consumo si è abbassata ed è diventato frequente l'uso regolare di alcol e l'ubriacatura sistematica.
Alcuni studiosi hanno verificato che prima avviene il contatto con l'alcol e maggiore è il rischio di un abuso nell'adolescenza (iniziare a bere prima dei 13 anni comporta un rischio di alcolismo da tre a sette volte superiore rispetto a chi inizia dopo i 17 anni).


La tolleranza sociale.
In tema di alcol naturalmente i modelli culturali ed alimentari della famiglia influenzano pesantemente le scelte dei ragazzi, anche nella scelta del momento in cui iniziare il ragazzo all'alcolico, che ancora oggi può suonare come una sorta di iniziazione all'età adulta.
Oltre all'atteggiamento dei genitori, esiste una più ampia tolleranza sociale costruita anche a suon di messaggi pubblicitari e da una certa storica tolleranza che si riflette nelle norme meno stringenti rispetto alle droghe illecite, tolleranza in parte ridottasi ma che comunque concorre ancora a minimizzare l'uso di alcol come fattore di rischio.
La prevenzione dovrebbe poggiare sulla considerazione che l'educazione alla salute è un insegnamento come altri e andrebbe introdotto a vantaggio di ragazzi e famiglie, ma anche di quelle agenzie educative che si occupano di ragazzi, come appunto quelle sportive, che non di meno dovrebbero essere interessate a promuovere il benessere fisico, psicologico e sociale dei ragazzi.
Esiste la cosiddetta "norma sociale", cioè la percezione che un ragazzo ha di quanto gli altri soggetti influenti (genitori, insegnanti, amici) pensano del fatto che egli possa o meno assumere, in questo caso specifico, sostanze alcoliche. Ma diciamo la verità: in tema di alcol la norma sociale è molto ambigua rispetto alla tutela della salute perchè è fortemente condizionata da fattori culturali ed economici.
Ecco che i programmi di prevenzione non sembrano mai abbastanza. Eppure sono particolarmente utili soprattutto per gli adolescenti, che come "pari" concorrono a stabilire le regole comportamentali del gruppo di appartenenza, anche più dei genitori in alcuni casi. I pari sono i compagni di scuola, di strada ma anche i compagni del club sportivo.


No beer, no rugby.
Ci chiedevamo all'inizio se anche lo sport, e in particolare qui ci interessa il rugby, debba porsi la domanda se interessarsi del problema.
La risposta è "certamente sì". Ed è una risposta impegnativa e anche difficile da digerire, considerato che nello sport del rugby il Terzo Tempo, pratica dagli indiscussi meriti socializzanti ed anche educativi, è un rito nel quale l'alcol non manca mai (no beer, no rugby...).
Se ripensiamo ai tanti tornei di minirugby che i nostri bambini e ragazzi frequentano durante l'anno, probabilmente non possiamo evitare di porci il problema, visto che il Terzo Tempo dei grandi in queste manifestazioni qualche messaggio attorno all'uso dell'alcol volenti o nolenti lo lancia.
Al campo gli adulti sono sempre quei genitori che a casa sul tema danno già esempio, però al campo le famiglie si fondono, ma con esse non necessariamente i loro convincimenti. Ogni genitore ha il compito anche fuori casa di preoccuparsi della educazione dei propri figli e potrà dare le proprie indicazioni su quanto accade: instaurare il dialogo con i propri figli aiuta certamente a sviluppare nel ragazzo l'autoefficacia (la convinzione di avere il controllo sugli eventi della propria vita e di poter accettare le sfide nel momento in cui si presentano), che consente un uso adeguato delle proprie capacità per mantenere uno stile di vita sano
Ma al campo emerge la dimensione sociale. In un qualsiasi Terzo Tempo i bambini non possono non notare che la birra non manca e che spesso ne scorre tanta. In sostanza il messaggio nemmeno tanto velato è che l'alcol è non solo accettato ma "ben voluto", se non un simbolo di questo ambiente. Rischia di diventare la norma sociale?
Cosa prospettare? Che l'organizzazione dei tornei dei bambini escluda le bevande alcoliche? Temo sia impossibile e anche inutile alla causa. Però, se la prevenzione non è una parola priva di concretezza, al pari di quelle relative alla sana alimentazione anche le campagne contro l'abuso degli alcolici andrebbero portate anche al campo da rugby.
Il tema è trascurato e, non nascondiamoci, tutt'altro semplice da introdurre nell'ambiente ovale.
Il dibattito (forse) è aperto.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)