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Il dibattito sulla pericolosità dell'alcol: intervista al prof. Emanuele Scafato

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L'impatto sociale dell'alcol è maggiore di quello delle droghe "L'alcol è la sostanza psicoattiva più diffusa e le nuove

modalità del bere lo hanno assimilato ad una droga-ponte".
Hanno riacceso il dibattito nella comunità scientifica i risultati pubblicati su Lancet secondo cui l'alcol è, tra le droghe,

quella che determina il maggior danno sociale.
Dichiarazioni da parte di scienziati che reputano un'assurdità tali affermazioni e altri che invece si dichiarano persuasi

della validità dei risultati presentati da David Nutt.
Tra questi ultimi quelle della Società Italiana di Alcologia (SIA) e del suo Presidente , il professor Emanuele Scafato a cui

abbiamo rivolto alcune domande.

Quale è la riflessione che la Società Italiana di Alcologia pone sui dati pubblicati?
Numerose osservazioni e gli stessi dati italiani rilevano che il modello culturale legato all'uso di sostanze psicoattive è

oggi fortemente caratterizzato da un comportamento che privilegia un utilizzo preliminare, spesso rituale o comunque

ricreazionale dell'alcol. Il consumo rischioso o dannoso di bevande alcoliche, il binge drinking caratterizzato da un

iniziale uso euforizzante e disinibente di modeste quantità che spianano la strada, per l'abbassamento della percezione del

rischio, all'abuso di alcol, favorisce il "traghettamento" verso l'uso di droghe illegali, con fenomeni di sostituzione e

integrazione delle diverse sostanze che sono utilizzate secondo ben consolidati fenomeni di poliassunzione.
Le valutazioni di David Nutt non stupiscono gli addetti ai lavori; consolidate evidenze scientifiche mostrano, infatti, che

l'alcol rappresenta oggi per molti una gateway drug, ovvero la "droga ponte" che facilita e favorisce il consumo di droghe

illegali di sempre maggior riscontro nei contesti ricreazionali e di aggregazione giovanile.
La teoria del gateway drug, basata sul concetto di escalation dell'uso di sostanze è un'evidenza ben confermata in numerosi

Paesi del mondo, inclusa l'Italia ribadendo l'assoluta indispensabilità e importanza di interventi di prevenzione che

riguardino tutti i tipi di sostanze psicoattive e in grado di determinare dipendenza non escludendo l'alcol.

Quindi, secondo lei Emanuele Scafato, in qualità di Presidente SIA, anche il bere in modo moderato è a rischio di gateway?

Quali sono le soglie di rischio?
I limiti oltre i quali la comunità scientifica considera a rischio il consumo alcolico sono oggettivamente bassi: 1 bicchiere

al giorno di qualunque bevanda alcolica (contenuto medio 12 grammi di alcol) per donne, anziani ultra65enni e giovani dai 16

ai 20 anni circa, 2 bicchieri per i maschi; sotto i 15 anni qualunque consumo, pur minimo è considerato a rischio.
Il consumo rischioso di alcol, che in Italia caratterizza oltre 9 milioni di persone, interessa nel mondo tutte le fasce

d'età, inclusi gli adolescenti, ed è associato a una serie di conseguenze a breve e a lungo termine. A questo riguardo,

l'alcol alla guida rappresenta la prima causa di morte tra i giovani e non sempre a seguito di massicce ingestioni di alcol.

Non ci vuole molto a capire che basta interpretare male una sola volta il bere per ritrovarsi esposti, anche in presenza di

moderate quantità di alcol, a rischi esponenziali non trascurabili e che hanno sollecitato, ad esempio, il livello zero di

alcol alla guida per quanti hanno meno di 21 anni.
Perché allora alcuni si dichiarano stupiti e contrariati dalle "assurdità" dello studio di Nutt ?
Emanuele Scafato: Tutte le opinioni si rispettano anche se non si condividono ma devono comunque sempre essere supportate nel

merito scientifico, sostanziate da evidenze coerenti di pari peso e da elementi scientifici e di giudizio che non mirano solo

a contestare ma a motivare tali contestazioni per poter convincere.
Se si ritiene che ci siano grossolani errori metodologici in uno studio è uso e consuetudine scrivere, motivando, all'autore

chiedendo eventuali controrepliche ben consapevoli che Lancet non è solita offrire spazi alle "assurdità".
Riguardo al merito delle contestazioni c'è da rilevare che se si sceglie di citare le evidenze dell'effetto di protezione di

un bicchiere di alcolico sulla mortalità coronarica o sul diabete, su cui c'è consenso e non si discute da anni, si ha anche

l'onere di completare l'informazione, come ribadisce l'OMS. La considerazione è che allo stesso livello si rileva un

aumentato rischio per 60 patologie e 12 tipi di cancro, motivo per il quale non è considerato cauto a livello di popolazione

incoraggiare neppure la moderazione che in questo caso verrebbe proposta come improbabile soluzione ideale della prevenzione

e della promozione della salute attuata attraverso l'uso di una sostanza comunque psicoattiva, tossica, cancerogena.
In Italia, come in Europa e nel resto del mondo, è molto bassa la percezione del rischio legato al consumo rischioso di alcol

rispetto a quello delle droghe: questo il tema dominante dell'articolo di David Nutt .
Secondo l'autore, le attuali iniziative e azioni di prevenzione non sono adeguate né coerenti e l'attenzione degli

investimenti pubblici è sbilanciata sulle droghe illegali, nonostante l'alcol abbia un impatto sociale di gran lunga più

evidente, oggi ben documentato a integrazione dei dati pubblicati da Nutt due anni fa sull'impatto sanitario sul danno e sul

rischio alcol correlato.
La chiave di lettura finale fornita dai dati è che la ridefinizione delle politiche di prevenzione dovrebbe tener conto della

bassa percezione sociale e individuale del bere piuttosto che alla valutazione del pericolo dell'uso di droghe, e dovrebbe

contribuire a ridefinire le prospettive dei ruoli della prevenzione, dell'identificazione e della gestione dei problemi

connessi all'uso di alcol e droghe.

Dunque oltre al danno fisico, anche quello sociale non è certo da trascurare?
Negli adolescenti, il consumo di alcol (e non solo quello rischioso) è associato a numerosi comportamenti a rischio come

attività sessuale precoce, assenze scolastiche ingiustificate e riduzione delle prestazioni scolastiche, violenza, bullismo e

possesso di armi.
Inoltre, il consumo di alcol interferisce con il normale sviluppo cognitivo, emotivo e delle competenze sociali degli

adolescenti: l'abuso è legato a una serie di disordini psichiatrici e al fenomeno della delinquenza giovanile. Inoltre,

coloro che iniziano a bere prima dei 15 anni di età hanno un rischio 4 volte maggiore di sviluppare alcol-dipendenza in età

adulta rispetto a coloro che posticipano il consumo di bevande alcoliche all'età di 21 anni.
Negli adulti, oltre all'impatto delle patologie in termini di malattia, disabilità e mortalità prematura, risulta sotto

stimato ma imponente il peso di condizioni sociali individuali attribuibili all'alcol in misura maggiore che per le droghe e

determinanti la riduzione del reddito, la perdita del lavoro, la riduzione delle prestazioni lavorative, problemi con la

giustizia per disturbi della quiete o dell'ordine pubblico, problematiche o perdite affettive, familiari, separazioni solo

per citarne alcuni.
Ma gli effetti negativi si estendono alla collettività e anche in questo caso l'alcol ha il sopravvento sulle droghe in

termini di impatto relativamente a incidenti stradali, domestici, lavorativi, atti criminali come rapine, aggressioni alle

forze dell'ordine, furti, violenze, danni alle cose e all'ambiente, maltrattamenti ai minori o al coniuge.
Il lavoro di Nutt conclude che si tratta di fatti ordinari, di comune esperienza quotidiana, di cui non sempre si ha

consapevolezza, collegati più al consumo rischioso di alcol che a quello di droghe.
Interrompere la spirale che conduce dal consumo rischioso per la salute a quello della dipendenza, favorita dalla assunzione

di alcol come sostanza "ponte", è evidente dai dati trasmessi sia dal ministero della Salute nella Relazione annuale al

Parlamento (legge 125/2001), sia dalla Relazione annuale del dipartimento delle Politiche Antidroga.
Entrambi concordano sul fatto che l'alcol sia la sostanza psicoattiva più diffusa e disponibile nella società e che il suo

basso costo sia favorito dalle promozioni al bere. Il consumo di alcol, infatti, costituisce una pericolosa e oramai

consolidata esperienza nei luoghi di aggregazione giovanile con rischi evidenti non solo in termini di salute dell'individuo,

ma anche di sicurezza per la collettività.

Professor Emanuele Scafato, cosa si può fare per diminuire l'impatto dell'alcol su salute e società?
Intercettare precocemente stili impropri di consumo alcolico e comportamenti a rischio è la strategia che a livello

internazionale europeo e nazionale è scientificamente dimostrato avere il più basso costo e la massima efficacia. Dalle

evidenze sinora riportate emerge urgente la necessità di:
- un'azione cardine rivolta alla identificazione precoce del rischio e del danno; - intercettare i giovani e gli adolescenti

che possono giovarsi di interventi di formazione, sensibilizzazione, informazione;
- incrementare la consapevolezza;
apportare interventi brevi nelle forme e nelle modalità attualmente validate e adottate a livello internazionale.
Interventi di popolazione che richiedono i finanziamenti di cui l'alcol da anni non dispone nella ricerca, nella

programmazione e nella prevenzione e che, alla luce delle evidenze scientifiche, si qualificano come investimenti di breve,

media e lunga durata, il cui valore aggiunto si estende oltre l'individuo e ricomprende l'intera società.