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News di Alcologia

Il disturbo da attacchi di panico: fenomenologia

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Il Disturbo da Attacchi di Panico (DAP)

 

di Salvatore Di Salvo

 

 

Il Disturbo da Attacchi di Panico colpisce prevalentemente l'età giovanile e i più recenti studi

epidemiologici mettono in evidenza il fatto che ne è interessato il 33% dei giovani d'età compresa

tra i 18 e i 25 anni, nel senso che un giovane su tre di questa fascia incontra uno dei multiformi

aspetti della sintomatologia DAP.

 

Sintomi del DAP

Il Disturbo da Attacchi di Panico è caratterizzato dal ripetersi di stati díansia acuti ad insorgenza

improvvisa e di breve durata. Gli episodi acuti sono accompagnati da sintomi neurovegetativi,

psicosensoriali e comportamentali di frequenza ed intensità variabili per cui si presentano quadri

clinici tra loro molto diversificati. E' in ogni modo possibile individuare alcuni aspetti fondamentali

comuni a tutti gli attacchi di panico:

 

- i sintomi compaiono in maniera improvvisa e drammatica;

- la crisi è vissuta con un senso penoso díimpotenza, di paura, di mancanza di controllo;

- la durata della crisi Ë breve: in genere pochi secondi o minuti;

- alla crisi acuta segue un periodo prolungato, anche di molte ore, in cui sono presenti sensazioni di

testa confusa, marcato stato di spossatezza, sensazioni di sbandamento, vertigini.

 

Gli attacchi spesso si manifestano a ciel sereno, nel senso che, al momento dellíattacco, non è

presente una situazione in grado di costituire motivo d'ansia per il paziente e anzi, spesso, si tratta

di situazioni routinarie: passeggiando per strada, guidando l'auto, al cinema, facendo acquisti al

supermercato. Talora il primo episodio si manifesta in situazioni drammatiche della vita del

paziente, come gravi incidenti o morti improvvise di persone care.

 

Può anche manifestarsi in concomitanza con líassunzione di sostanze stupefacenti, in particolare

 marijuana, cocaina, amfetamine.

 

In oltre il 50% dei casi sia la prima crisi sia quelle successive, si manifestano durante il sonno,

determinando un risveglio angosciato.

 

I sintomi psichici

dellíattacco sono tipicamente rappresentati da paura, terrore, sensazione di morte

imminente, timore di perdere il controllo delle proprie idee (impazzire) o delle proprie azioni. A ciò

si associano sintomi neurovegetativi quali palpitazioni, dolore toracico, dispnea, sensazione di

soffocamento, vertigini, vampate di calore, brividi di freddo, tremori e sudorazione profusa. In circa

un terzo dei casi si manifestano anche fenomeni psicosensoriali quali depersonalizzazione e

derealizzazione, ipersensibilit‡ agli stimoli luminosi o acustici intensi e modificazione percettiva

delle distanze.

 

Le manifestazioni comportamentali sono meno comuni e spesso la crisi passa inosservata ai presenti

poichè il soggetto cerca di nascondere le sensazioni provate. Talora però il paziente interrompe

l'attività in corso e si allontana, cercando di raggiungere in fretta un luogo sicuro.

Nelle fasi iniziali della malattia comincia a manifestarsi uno stato di paura e ansietà, ansia anticipatoria, d

eterminata dal timore che gli attacchi di panico possano ripetersi. L'ansia

anticipatoria può raggiungere un'intensità tale da essere fonte di marcata sofferenza soggettiva e da

determinare una notevole compromissione del funzionamento sociale, lavorativo e affettivo.

 

Mentre l'attacco di panico ha insorgenza improvvisa e dura pochi minuti, l'ansia anticipatoria

cresce lentamente ed ha una durata anche di molte ore.

 

Inoltre è possibile ridurla o controllarla allontanandosi dalla situazione ansiogena o cercando rassicurazioni da una persona di fiducia.

L'attacco di panico, invece, quando comincia non può più essere bloccato: si comporta quindi come una reazione del tipo tutto o nulla e sfugge

ad ogni controllo quando il meccanismo è innescato.

Nel 20% dei casi si viene a manifestare un'elaborazione ipocondriaca: i pazienti temono o sono

convinti díessere affetti da una malattia fisica e chiedono ripetutamente líintervento del medico

internista o di altri specialisti: frequenti sono le richieste díintervento al Pronto Soccorso. Le

preoccupazioni ipocondriache riguardano in genere il timore di una grave malattia cardiaca, come

líinfarto, o la paura di una morte improvvisa per ictus cerebrale.

Nei 2/3 dei casi si vengono a strutturare le condotte dí evitamento, conseguenti al fatto che i pazienti associano

gli attacchi di panico a situazioni o luoghi specifici. Evitando di restare soli, di

allontanarsi da casa, di recarsi in luoghi affollati, di usare mezzi pubblici, ecc., gli attacchi di panico

diventano meno frequenti e più tollerabili.

Si parla di agorafobia quando le limitazioni imposte dall'evitamento interferiscono con attività importanti

della vita di tutti i giorni.

 

I pazienti agorafobici evitano piazze, luoghi affollati, ponti, tunnel, ascensori, autostrade, treni, autobus e molte altre

 situazioni nelle quali puòrisultare difficile fuggire o ricevere aiuto nel caso di una crisi improvvisa. Alcuni diventano

completamente incapaci di uscire soli da casa o possono farlo solo in compagnia di una persona rassicurante nella quale ripongono particolare fiducia.

 

Le condotte agorafobiche sono determinate sia dallíevitamento di situazioni specifiche nelle quali il

paziente teme di avere un attacco di panico, sia dalla ricerca di elementi rassicuranti.

I modi più frequenti mediante i quali è ricercata la rassicurazione sono: possibilità di tornare

velocemente a casa, presenza di una persona di fiducia, sedersi vicino alle uscite, parlare tra sé

I pazienti agorafobici possono continuare ad avere attacchi di panico per anni, anche se la loro

frequenza di solito si riduce con il progredire delle condotte díevitamento. Tipicamente l'agorafobia assume

un andamento cronico, provoca notevoli limitazioni dellíautonomia personale ed è vissuta come una condizione

 inabilitante e fastidiosa della quale sembra impossibile liberarsi.

 

Un terzo di coloro che soffre dí agorafobia va facilmente incontro a demoralizzazione secondaria: i pazienti si

sentono depressi, in colpa, sfiduciati per l'impossibilità di condurre una vita normale.

 

Possibili evoluzioni del DAP

 

Il decorso del DAP è molto variabile.

In alcuni casi gli attacchi di panico si presentano in forma sporadica nella giovinezza o

nell'adolescenza e scompaiono nell'età adulta, non compromettendo in maniera rilevante

l'adattamento sociale. Raramente richiedono l'intervento del medico.

 

Nel 30% dei casi assumono un andamento fasico, con periodi di remissione alternati a periodi di

riacutizzazione. Negli intervalli il quadro è spesso asintomatico. Nelle fasi invece di riacutizzazione sono

presenti l'ansia anticipatoria e la ricerca di rassicurazioni.

 

Nel 20% dei casi i pazienti sviluppano una ricerca compulsiva di rassicurazioni da parte dei medici

ed assumono alcune caratteristiche proprie del disturbo ipocondriaco. In tali casi orientano

primariamente l'attenzione sul proprio corpo, sviluppando la convinzione di essere portatori di una

malattia organica non compresa dai medici.

Nel 10% dei casi gli attacchi di panico sono seguiti dalla comparsa dí evitamento di situazioni

sociali, centrata sul timore di avere una crisi in pubblico. Il disturbo non è mai generalizzato a tutte

le situazioni sociali, ma si presenta di solito limitato a prestazione in pubblico quali il parlare o

mangiare.

 

L'evoluzione più comune del DAP (70%) Ë rappresentata dall'instaurarsi di condotte dí evitamento

agorafobiche, con lo sviluppo dei tipici comportamenti descritti nel paragrafo precedente. Alcuni

pazienti presentano una storia di attacchi di panico sporadici, seguiti rapidamente da agorafobia

grave ed invalidante che si protrae per molti anni, in assenza di crisi acute.

 

Un terzo dei pazienti presenta, inizialmente durante la crisi, ma in seguito anche nelle fasi

intercritiche, sentimenti di irrealtà, con sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione.

In un terzo dei pazienti si ha la sovrapposizione di una sintomatologia depressiva caratterizzata da

umore depresso, disinteresse per le normali attività giornaliere, sentimenti dí inadeguatezza ed

inutilità.

A differenza dei pazienti con disturbi primari del tono dell'umore gli agorafobici non

hanno disturbi del sonno nè della sfera alimentare e sessuale e, all'interno del loro ambiente, hanno

molteplici interessi e conducono attività dalle quali possono trarre piacere e soddisfazione.

 

Vissuti soggettivi del disturbo

Focalizzando l'attenzione sul vissuto soggettivo del disturbo, è possibile evidenziare alcuni stati

emotivi presenti nella quasi totalità del campione esaminato.

 

Vissuto del primo attacco

Il soggetto è spesso in grado di citare ora, giorno, mese e anno del primo attacco, ricordato con

precisione e descritto in maniera vivida e con ricchezza di particolari. Il vissuto ad esso associato è

descritto come il passaggio ad un'altra dimensione e le frasi che sottolineano questa situazione sono

del tipo: da quel momento la mia vita è cambiata: dopo quella crisi non sono stato più lo stesso.

Il vissuto è quindi di un radicale cambiamento della propria esistenza, che ora ha dei limiti imposti

dalle condotte díevitamento, peraltro intese come necessarie per contrastare il timore/terrore che

gli attacchi possano ripresentarsi.

 

E spesso radicata l'associazione tra il primo attacco e la situazione in cui esso si è manifestato: se,

ad esempio, si è verificato in un locale pubblico, il soggetto ne evita accuratamente la frequenza; se

è avvenuto durante la guida, evita di guidare; se è avvenuto a seguito dell'assunzione di sostanze

stupefacenti, teme che esse abbiano determinato un danno irreparabile alle strutture cerebrali e

attribuisce a ciò il ripetersi delle crisi anche dopo la loro completa sospensione.

 

Vissuto di disorientamento

Nonostante i tentativi di comprensione, prevale líimpossibilità di dare alle crisi una spiegazione

causale valida e plausibile. Ciò determina un vissuto di incomprensibilità e le crisi appaiono

inspiegabili, con conseguente vissuto di disorientamento. La maggior parte dei soggetti del

campione esaminato ha alla spalle una storia di numerosi accertamenti medici con esito negativo,

oltre che di svariate diagnosi attribuite ai loro disturbi dai vari specialisti cui si sono rivolti.

I più frequentemente consultati sono i cardiologi, per i timori della presenza di un presunto disturbo

cardiaco, gli otorinolaringoiatri, per la presenza dei sintomi vertiginosi e i gastroenterologi, per la

frequente presenza di problemi colitici. I fallimenti terapeutici dei vari consulti specialistici rinforzano

inoltre un sentimento di sfiducia nella possibilità di guarigione.

 

Vissuto di vergogna

Il vissuto di vergogna è strettamente legato alla paura di perdere il controllo delle proprie idee (cioè

di impazzire) ed il controllo delle proprie azioni (di compiere cioè gesti di tipo autolesivo o lesivo

nei confronti di altri). Da ciò deriva il timore di essere considerati anormali o matti.

.Vissuto di rabbia/rassegnazione

In alcuni soggetti prevale la rabbia per un disturbo che manifesta la sua presenza attraverso i

sintomi, ma che appare inafferrabile sia dal punto di vista diagnostico sia da quello terapeutico. In

altri prevalgono vissuti di rassegnazione attraverso líadattamento ad uno stile di vita condizionato

dalle condotte díevitamento e quindi nettamente inferiore alle potenzialità soggettive.

Nei soggetti del campione osservato, pur essendo presenti rabbia, rassegnazione e sfiducia, rimane

attivo, e la loro richiesta di consulto ne è testimonianza, un atteggiamento di ricerca finalizzato a

dare un nome al disturbo e a ricercare un modo per curarlo.

 

Particolarmente avida è la ricerca dí informazioni a carattere scientifico, con la frequente richiesta díindicazioni

di testi specifici sull'argomento del DAP.

 

Atteggiamento di parenti, amici e conoscenti

Nella stragrande maggioranza dei casi (90%) i soggetti del campione, díet‡ compresa tra i 18 e i 25

anni, parlano con i genitori del proprio disturbo e dei limiti che esso impone. L'atteggiamento dei

familiari Ë inizialmente di comprensione e compartecipazione allo stato di sofferenza. Con il

passare dei mesi e con il susseguirsi degli esami diagnostici negativi e degli inutili consulti

specialistici, anche i familiari vengono però presi da un senso di sconforto e sfiducia. In alcuni casi

diventano aggressivi ed assumono un atteggiamento colpevolizzante. L'ambito familiare è

comunque quello i cui avviene primariamente la ricerca di supporto e solo il 10% di soggetti,

quando ovviamente la sintomatologia non è particolarmente grave, cerca di gestire in modo solitario

il proprio problema.

Diverso è invece il discorso rispetto all'ambito sociale. In questo caso solo il 20% dei soggetti del

campione esaminato ne parla con amici o compagni di università o di lavoro. Alla base di ciò è la

presenza del vissuto di vergogna di cui si è parlato in precedenza, assieme alla convinzione che il

disturbo di cui soffrono, già misterioso per loro stessi e per i vari medici consultati, non può essere

compreso dagli altri. Si viene così a determinare la convinzione che il parlarne non sarebbe dí alcun

aiuto e servirebbe solo ad essere etichettati come matti

 

Ipotesi interpretative delle cause

Una delle caratteristiche degli Attacchi di Panico è la loro apparente inderivabilità, nel senso che

non è possibile individuare una spiegazione comprensibile che motivi in maniera chiara la loro origine.

Di fatto la via della logica e della razionalità si mostra poco percorribile per

líinterpretazione delle crisi ed è invece necessario seguire la via psicologica.

Quando un qualche nodo conflittuale e problematico si colloca, allíinterno della nostra struttura

psichica, nella dimensione inconscia ed è quindi escluso dalla coscienza, esprime la sua presenza

per via sintomatologica, dando cioè origine a sintomi, che sono l'espressione del fatto che la

persona è portatrice di un disagio psicologico e di uno stato di malessere.

 

E' in questa prospettiva che va collocata la lettura dell'origine degli Attacchi di Panico. Essi vanno

quindi interpretati come líespressione di uno stato di malessere psicologico di cui il soggetto non è

consapevole e che esprime la sua presenza producendo sintomi.

 

Terapia

Il primo momento terapeutico consiste nellíindicare al paziente che i sintomi da lui presentati sono

ben identificabili e riferibili ad uníentit‡ clinica nota, per la quale esistono terapie efficaci. E' quindi

primariamente importante che il paziente riceva informazioni sul proprio disturbo e che gli venga

comunicata esplicitamente la diagnosi, la sua natura ed il suo decorso. Ciò ha lo scopo di favorire

l'accettazione del farmaco e di ridurre l'ansia anticipatoria, che si attenua nel momento in cui si

sente curato da un medico competente.

 

Dal punto di vista farmacologico, il DAP risponde bene alla terapia con antidepressivi del gruppo

SSRI (Inibitori Specifici della Ricaptazione della Serotonina), in particolare la paroxetina, in

associazione con un ansiolitico ad emivita breve, come l'alprazolam. Di solito le crisi acute si

riducono nettamente come intensit‡ e frequenza nel giro di 4/6 settimane. Nei due/tre mesi

successivi si riducono, a volte fino a scomparire del tutto, líansia anticipatoria e le condotte

díevitamento agorafobiche.

La terapia farmacologica è quindi in grado di controllare la sintomatologia clinica del DAP. Va però

sottolineato il fatto che essa agisce solo ed esclusivamente sui sintomi e non sulle cause che li

hanno determinati.

 

Dal punto di vista psicologico il DAP è da interpretare come l'espressione, attraverso i sintomi, di

problematiche di cui il soggetto non è consapevole e che si manifestano attraverso le crisi. Su tali

problematiche psicologiche i farmaci non hanno alcun effetto: esse devono invece essere indagate e

portate alla coscienza utilizzando lo strumento psicologico, attraverso un lavoro di ricerca

psicoterapeutica.

Il trattamento del DAP deve quindi essere effettuato attraverso una terapia di tipo combinato,

farmacologica per la cura dei sintomi e psicologica (psicoterapia) per la cura delle cause, al fine di

evitare che i sintomi ricompaiano quando viene interrotta la terapia farmacologica.

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