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Il fumo di sigarette aumenta la vulnerabilità alle malattie: i dati di una ricerca

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Fumatori più vulnerabili alle malattie
Secondo una recente ricerca condotta da un team di studiosi della Ohio State University il fumo uccide i batteri "buoni" del cavo orale e

favorisce l'inserimento degli agenti patogeni.
Andrea Centini

Sui danni provocati alla salute dal fumo si è detto praticamente di tutto ed è acclarato che questa diffusa e scorretta

pratica non fa bene al nostro organismo e a quello delle persone vicine.
I dati, che sembrano non interessare 11 milioni di fumatori italiani (21% della popolazione) e le persone che "decidono", parlano da soli: in

Italia muoiono ogni anno 90 mila persone per malattie correlate al vizio del tabacco di cui 1.000 per il fumo passivo, 1/3 delle morti per

cancro è correlato al fumo ed ogni 6-7 decessi ve n'è uno provocato da questo fattore. Si stima che nel 2030 ogni anno moriranno nel mondo 10 milioni di persone per il fumo -oggi sono 4 milioni- e le già ingentissime spese per farmaci e cure saliranno a cifre folli. Se si considera che la prima sigaretta arriva in età sempre più precoci ed in taluni casi è associata all'uso di alcol e/o droghe, ci troviamo innanzi ad un fenomeno sociale estremamente preoccupante che non è mai troppo pubblicizzato.
Nuovi dati interessanti relativi ai danni provocati dal fumo sono emersi da una recente ricerca condotta da studiosi della Ohio State

University, coordinati dal professor Kumar Purnima docente di Paradontologia presso l'istituto americano. Nel nostro cavo orale, sin dalle

prime ore dopo la nascita, prolifera un cosiddetto biofilm -una pellicola- di batteri sani con il quale conviviamo per il resto della vita.
Nella bocca in salute di un non fumatore l'ecosistema batterico è perfettamente in equilibrio con l'organismo, ma in un fumatore esso è molto

più disordinato ed è suscettibile all‘invasione di agenti patogeni, che proliferano più velocemente di quando aggrediscono un biofilm sano.

"La bocca del fumatore espelle i batteri buoni e favorisce l'inserimento di quelli cattivi", ha sottolineato il professor Purnima ai margini

di una conferenza. "Se facciamo il paragone dell'ecosistema batterico presente nel biofilm con un prato -prosegue il docente- quello di un

non fumatore è verde e lussureggiante, quello di un fumatore è caotico, pieno di erbacce e piante morenti".
I ricercatori hanno sottoposto 30 volontari (15 fumatori sani e 15 non fumatori sani) ad una pulizia professionale del cavo orale ed

esaminato la ricrescita dell'ecosistema batterico, attraverso il prelievo di tamponi gengivali ad uno, quattro e sette giorni dalla pulizia.

In poco tempo nella bocca dei non fumatori si è ricostituito un ecosistema stabile composto da poche specie batteriche utili e floride,

inoltre si è evidenziato un basso tasso di citochine, molecole proteiche prodotte dall'organismo per combattere le infezioni (il biofilm non

veniva interpretato come una minaccia dal sistema immunitario). Al contrario, nella bocca dei fumatori non solo le comunità batteriche

impiegavano più tempo per stabilizzarsi, ma quando lo facevano erano ricche di agenti patogeni -responsabili di varie malattie del cavo

orale- e venivano prodotti alti livelli di citochine. Il dato più interessante emerso dai tamponi è quello che il sistema immunitario dei

fumatori non solo tentava di aggredire i numerosi agenti patogeni, ma anche i batteri utili che si trovano nei biofilm sani.
Secondo il professor Purnima questo dato dovrebbe spingere i dentisti ad utilizzare pulizie professionali più incisive e ad hoc per i

fumatori, oltre che suggerire ai propri pazienti di smetterla col fumo e di accompagnarli nel difficoltoso processo, "cosa che purtroppo

molto spesso non avviene", indica il ricercatore. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Infection and Immunity e sottolinea

l'ennesimo dato negativo legato al vizio del fumo. Perché non smettere finché si è in tempo?
Secondo una ricerca statistica italiana chi fuma sino ai 75 anni ha il 16% di probabilità in più di morire per cancro ai polmoni, chi smette

a 60 anni l'8% e chi smette a 40 il 4%. Dati proporzionali che dovrebbero far riflettere sulla necessità di proseguire nella dannosissima

pratica.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)