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Il giornalista, esperto di dipendenze, Johann Hari, propone un diverso modello politico e culturale per affrontare le dipendenze

Il giornalista, esperto di dipendenze, Johann Hari, propone un diverso modello politico e culturale per affrontare le dipendenze

Joahnn Hari: "Tutto quello che sapete sulla dipendenza è sbagliato"

Il giornalista, esperto di dipendenze, Johann Hari, propone un diverso modello politico e culturale per affrontare le dipendenze.

Tutto quello che sappiamo – o, meglio, crediamo di sapere – sulle dipendenze è sbagliato. Compresa quella dal gioco d'azzardo. E' la conclusione e il punto di partenza del suo discorso del giornalista inglese Johann Hari, sostenitore del network Ted, il quale sostiene - sulla base di anni di ricerca e di più recenti conoscenze scientifiche - che il nostro pensiero tradizionale sulla dipendenza risulterebbe fuorviante. “Non è la droga o il gioco d'azzardo che ci attira – spiega - piuttosto, si tratta di una mancanza di interazione significativa con il nostro ambiente che ci porta ad abusare di questi sostituti artificiali dell'interazione umana”.
 
Questa intuizione, secondo Hari, ha importanti implicazioni politiche oltre che sociologiche. “Invece di spendere risorse pubbliche sulla presunta riduzione delle addiction, sarebbe molto più efficace – come insegna l'esempio della politica portoghese sugli stupefacenti portoghese, spendere quei soldi per ricollegare le persone con la società”. Una seconda implicazione, naturalmente, è che il proibizionismo è essenzialmente un non-senso, secondo il giornalista.


IL DISCORSO DI HARI - “In uno dei miei primi ricordi a proposito di dipendenze, cerco di svegliare un parente senza riuscirci. Ero solo un bambino, quindi non capivo perché: ma da grande ho capito che in famiglia c'era un problema di tossicodipendenza, inclusa quella da cocaina. Ci ho pensato molto ultimamente, anche perché ricorre il centenario da quando abbiamo iniziato a bandire le droghe in America e Inghilterra per poi imporre quel divieto al resto del mondo". Inizia così, l'intervento del giornalista, che proponiamo in versione integrale.

"È il centenario di quando abbiamo preso questa decisione fatale di prendere i drogati, punirli e farli soffrire, perché credevamo che questo li avrebbe incentivati a smettere. Qualche anno fa guardavo alcuni drogati che amo e sono nella mia vita, e cercavo di capire se c'era un modo per aiutarli. Ho realizzato che c'erano moltissime domande fondamentali a cui non sapevo rispondere, tipo: qual è la causa della dipendenza? Perché continuiamo con questo approccio che sembra non funzionare? Potremmo provare qualcosa di meglio?

Ho letto un sacco sull'argomento senza trovare le risposte che cercavo, quindi ho pensato: "Ok, incontrerò persone di tutto il mondo che ci sono passate e che hanno studiato l'argomento, per parlarci, e vedere se possono insegnarmi qualcosa. All'inizio non pensavo che avrei fatto più di 50ila chilometri, ma alla fine ho incontrato un sacco di gente diversa: da uno spacciatore di crack transgender di Brownsville, a Brooklyn, a uno scienziato che ha passato molto tempo a dare allucinogeni alle manguste per vedere se apprezzavano - e pare che apprezzino, in circostanze molto specifiche - fino all'unica nazione che ha depenalizzato tutte le droghe dalla cannabis al crack: il Portogallo. Quello che ho realizzato e che mi ha sconvolto è che quasi tutto ciò che pensiamo di sapere sulla dipendenza è sbagliato, e se iniziamo ad accettare la realtà della dipendenza penso che dovremo cambiare molto più delle leggi sulle droghe. Ma iniziamo da quello che pensiamo di sapere, che io pensavo di sapere. Pensiamo a questa fila centrale. Immaginate di assumere eroina per 20 giorni, 3 volte al giorno. Alcuni sembrano più entusiasti di altri all'idea. Tranquilli, è solo un esperimento mentale. Immaginate di farlo, ok? Cosa succederebbe? Ci hanno raccontato per un secolo una storia su quello che succederebbe. Poiché nell'eroina ci sono delle sostanze chimiche che creano dipendenza, pensiamo che, prendendola per un po', il nostro corpo ne diventerà dipendente, ne avrà fisicamente bisogno e alla fine di quei 20 giorni sarete tutti eroinodipendenti, giusto? Questo è quello che pensavo.

Ho cominciato a dubitare di questa storia quando me l'hanno spiegata. Se alla fine di questo intervento venissi investito e mi rompessi un'anca, sarei portato in ospedale, dove mi darebbero un sacco di diamorfina. La diamorfina è eroina. Eroina migliore di quella che si compra per strada, perché la roba che vende uno spacciatore è contaminata. In realtà di eroina ce n'è molto poca, mentre quella roba del medico è pura. Supponiamo di assumerla per un periodo abbastanza lungo. C'è un sacco di gente qui, forse non lo sapete, ma avete assunto molta eroina. E succede anche a chiunque ci stia guardando, ovunque nel mondo. E se quello che crediamo è vero - quelle persone sono esposte a sostanze che creano dipendenza - cosa succederebbe? Dovrebbero diventare dei drogati. È stato studiato molto attentamente, e non succede: quando vostra nonna è stata operata all'anca non si è trasformata in una tossica.

Quando l'ho scoperto mi è sembrato stranissimo, l'opposto di tutto quello che mi dicevano, che credevo di sapere, non ci credevo, finché non incontrai Bruce Alexander, un professore di psicologia di Vancouver che ha fatto un esperimento incredibile e credo possa davvero aiutarci a capire la questione. Il professor Alexander mi ha spiegato che l'idea, la storia che abbiamo in testa sulla dipendenza deriva in parte da una serie di esperimenti fatti all'inizio del XX secolo. Sono esperimenti semplici, potete farli a casa stasera se vi sentite un po' sadici. Prendete un ratto, lo mettete in gabbia e gli date due bottiglie d'acqua. Una è solo acqua, l'altra è acqua addizionata con eroina o cocaina. Il ratto preferirà quasi sempre l'acqua drogata e quasi sempre si ucciderà piuttosto rapidamente. Ecco, questo è come pensiamo che funzioni. Negli anni '70 il prof. Alexander guardò questi esperimenti e notò qualcosa. E disse: 'Ah, noi mettiamo il ratto in una gabbia vuota, non ha niente da fare a parte drogarsi. Proviamo qualcosa di diverso'. Quindi costruì una gabbia che chiamò 'Rat Park' e che è sostanzialmente il paradiso dei ratti. Un sacco di formaggio, palline colorate, tantissimi tunnel. Cosa fondamentale, avevano tanti amici. Potevano fare sesso a volontà. E avevano anche le due bottiglie di acqua normale e acqua drogata. Ecco la cosa affascinante: nel Rat Park, ai ratti non piace l'acqua drogata. Non la usano quasi mai. Nessuno di loro la usa compulsivamente. Nessuno di loro va in overdose. Si va da un 100 per cento di overdose quando sono isolati a uno 0 per cento quando vivono delle vite felici e connesse.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.gioconews.it/cronache/70-generale20/45468-joahn-hari-tutto-quello-che-sapete-sulla-dipendenza-e-sbagliato#


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)