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News di Alcologia

Il position paper dell'Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol

Il position paper dell'Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol

Per una presa di posizione che non riduca il dibattito alcologico ai soli temi epidemiologici

a cura di Enrico Tempesta e Michele Contel
  
Da più di 25 anni l’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcol (OPGA) lavora con i ricercatori e gli operatori sul tema della conoscenza e dell’intervento relativi al consumo e all’abuso di bevande alcoliche nelle fasce giovanili. In questi anni abbiamo proposto all’attenzione del pubblico una lettura complessa e interdisciplinare del fenomeno cercando sempre di registrare le dinamiche sociali soggiacenti a comportamenti di addiction.
 
Nel documento che segue il Laboratorio Scientifico dell’Associazione ha elaborato un position paper su tre temi che è stato discusso e redatto interdisciplinarmente e diffuso ad una platea di esperti scientifici e operatori allo scopo di dialogare con un pubblico di lettori indipendenti e, al tempo stesso, profondamente coinvolti nella vicenda della ricerca e della cura nei settori delle dipendenze e specificamente di quelle connesse all’abuso di alcolici.
 
Il documento affronta tre temi: 1) la proposta di un eventuale innalzamento dell’età minima legale per l’acquisto e il consumo di bevande alcoliche dai 18 ai 25 anni; 2) la dose soglia compatibile con un consumo non a rischio o a rischio molto basso; 3) la grandezza accettabile del rischio del bere rispetto ad altri rischi.
 
L’esercizio che i membri del Laboratorio Scientifico si sono attribuiti consiste in una riflessione sulla praticabilità dei concetti dell’alcologia sociale in ambiti solitamente presidiati dall’epidemiologia medica. Ragionare in una prospettiva ampia è doveroso per il nostro lavoro. Il confronto sui tre temi che presentiamo pone problemi metodologici e di contenuto di primaria importanza e di non minore complessità. Abbiamo scelto tre temi “scomodi” per un approccio di tipo sociologico, proprio perché riteniamo che guardare oltre le inevitabili abitudini e inerzie che ogni metodo comporta significa rinnovare la sfida e accettare le provocazioni di altri approcci e modi di pensare.
 
Discutere sul valore preventivo dell’innalzamento dell’età legale vuole evidenziare le contraddizioni di una prassi comune e diffusa nel mondo occidentale. I giovani cominciano a bere precocemente, sotto i 18 anni (in media, secondo i dati ESPAD 2015 relativi a 26 Paesi, il 47% a 13 anni ha già consumato un drink). È perciò necessario interrogarsi su quali siano i mezzi più adeguati per mitigare i rischi di un approccio precoce, senza “traghettare” nel campo della dipendenza simpliciter momenti della transizione adolescenziale che non sono predittivi di conseguenze avverse. Il tema del rischio accettabile si interroga sulla questione di se e quanto la nozione di rischio può essere suscettibile di una gestione attiva di tipo soggettivo al di là delle raccomandazioni tipo che sono proprie delle linee guida in ambito sanitario. Infine, la riflessione sul bilanciamento dei diversi rischi all’interno dei comportamenti individuali e collettivi intende porre l’attenzione sul fatto che gli individui e le famiglie sono oggi assediati da messaggi di tipo ortoressico che toccano tutti i comportamenti legati all’alimentazione e in generale alla ricerca di stili di vita più controllati. Tutto ciò mentre in Italia la curva dei consumi e degli abusi di bevande alcoliche è stabilmente in discesa. E tuttavia le norme vanno nella direzione di rendere sempre più presente la preoccupazione della consapevolezza del consumatore anche con ipotesi di regolazione prescrittiva delle scelte individuali.
 
Queste evidenze, riteniamo, meritano una riflessione allargata in un momento storico che vede una risorgenza di conflitti e tensioni anche tra i ricercatori. Ci pare infatti che il tono del dibattito dominante, anche italiano, rifletta una radicalizzazione delle posizioni. Le giuste battaglie di prevenzione, crediamo, non si limitano ad acquisire per sola via di autorità una posizione “olimpica” che pretende di governare i processi a partire dal risultato atteso. È essenziale promuovere il raccordo con l’opportunità dei processi reali di investimento in salute e di moltiplicazione dei criteri dell’azione preventiva.
 
In materia di consapevolezza del bere molti passi in avanti possono essere compiuti investendo in modo ragionato su fattori persuasivi addizionali alla sola informazione scientifica sui rischi evitabili.
 
In questo spirito è con piacere che ringraziamo dell’ospitalità il comitato editoriale di MDD per averci consentito di rendere i lettori della rivista parte di questa iniziativa, già cofirmata da 60 operatori ed esperti ai quali vorremmo si aggiungessero quei lettori che ne vogliano condividere i contenuti.
 
Enrico Tempesta
 
Michele Contel
 
Tutti coloro che fossero interessati a sottoscrivere il documento possono farlo accedendo al sito www.alcol.net.
 
Per informazioni: [email protected]

 

 
 
L’alcologia sociale sulle soglie di rischio e l’età legale al bere
 
 
0. Introduzione
 
0.1 A fronte della recente intensificazione, da parte dei media, della comunicazione sui rischi per la salute derivanti dall’uso di bevande alcoliche, l’OPGA nel suo insieme e i membri del Laboratorio Scientifico ritengono di proporre all’attenzione generale alcune riflessioni critiche.
 
0.2 Questa intensificazione della comunicazione, focalizzata sull’enfasi dei fattori di rischio, si concretizza in un irrigidimento delle raccomandazioni sanitarie riguardo a questioni come: la soglia di età minima legale per il consumo di bevande alcoliche, la soglia di consumi quotidiani compatibili con un rischio di salute da parte di persone sane, l’uso di bevande alcoliche in età giovanile, le restrizioni all’accesso delle bevande, la restrizione alla comunicazione commerciale e l’adozione di politiche fiscali volte a condizionare le scelte del consumatore.
 
0.3 Le evidenze scientifiche, soprattutto in materia di fattori di rischio - dato per scontato che l’obiettivo di ridurre i rischi associati all’abuso di bevande alcoliche è pienamente condiviso - spesso non hanno come riferimento l’uomo nella sua interezza. Si configura dunque una situazione paradossale: in nome del rigore scientifico, non vengono prese in considerazione quelle variabili che - come l’ormai ampia letteratura socio-antropologica ha dimostrato - maggiormente condizionano i nostri comportamenti, come ad esempio variabili psicologiche, economiche e sociali e fattori che interessano la più ampia sfera dell’abuso, da un lato, e del comportamento di consumo alimentare, dall’altro. Riteniamo che formulare una soluzione unica valida per tutti, stante la complessità del problema, mancherebbe il bersaglio.
 
0.4 Nell’analisi del rapporto tra alcol e salute, porre l’enfasi sulla sostanza può condurre a identificare la promozione della salute con modelli solo prescrittivi di regolazione dei comportamenti, a discapito di azioni di prevenzione realizzate in base alle risorse e alle competenze delle persone e dei gruppi sociali (1).
 
 
1. L’alcol in Italia: fra dato e significato
 
1.1 In Italia, è ampio il consenso sul livello dei consumi di bevande alcoliche (2). I dati di prevalenza, sia pure di varia fonte, sono indiscutibilmente convergenti (3): una tendenza consolidata alla riduzione dei consumi a partire dagli anni Settanta. Anche gli abusi sono in riduzione, sebbene tale dato vada modulato con attenzione ai diversi periodi e ai diversi profili della popolazione.
 
1.2 Il danno alcol-correlato è un problema reale e conosciuto da tempo. Tutte le società prevedono un codice sanitario atto a contrastare e ridurre gli effetti negativi del bere. I progressi della medicina negli ultimi 150 anni hanno prodotto un grande avanzamento nella conoscenza dei danni da alcol e nella cura e/o riduzione dei gravi effetti fisici e psichici derivanti dall’abuso, dalla dipendenza e dall’uso improprio in date circostanze. Tuttavia, non si può trascurare una conoscenza non meno importante: i comportamenti del bere sono espressione di complessi assetti socioculturali maturati nel corso dei secoli. In Italia e nei Paesi del Sud Europa, in modo assai più marcato di quanto si evidenzi in altri Paesi, la cultura ha prodotto uno stile del bere contraddistinto da competenze auto-regolative di tipo collettivo. Queste si riflettono in abitudini consolidate e diffuse del bere in contesti sociali e familiari, che appaiono avere una parte rilevante nella riduzione dei consumi alcolici e dei danni alcol-correlati (4).
 
1.3 Pertanto le politiche di regolazione e controllo derivanti da evidenze scientifiche prodotte prevalentemente nei Paesi scandinavi e anglosassoni non possono essere tout court applicate a tutti gli altri Paesi e in particolare all’Italia e ai Paesi del Sud Europa. Infatti l’Italia è un caso significativamente diverso di equilibrio nella gestione del rapporto tra alcol e salute. Esistono molte ragioni di natura sociale e culturale che contribuiscono a spiegare l’anomalia italiana rispetto al profilo di altri Paesi, in quanto fortemente caratterizzata da consumi e da costi sociali decrescenti nel tempo (5). È necessario studiare e comprendere questa singolarità e continuare a diffondere con convinzione le ragioni che stanno alla base della spiegazione del fenomeno.
 
 
2. I temi critici del dibattito: l’innalzamento dell’età legale, la dose soglia di consumo, il rischio accettabile, l’efficacia delle politiche restrittive
 
2.1 La prima questione sulla quale si sta concentrando una parte dell’alcologia medica riguarda l’indicazione, proposta da alcuni alcologi, concernente l’innalzamento dell’età legale del bere dai 18 ai 25 anni (6). Si afferma che esistono fondati motivi nella ricerca scientifica più avanzata che raccomandano il ritardo nel contatto con le bevande alcoliche fino al compimento del 25 anno di età. Il fondamento scientifico di questa raccomandazione risiederebbe nella disposizione dell’etanolo ad alterare/modificare la plasticità cerebrale dell’individuo. Tale interferenza andrebbe a toccare in profondità vari meccanismi con il rischio di produrre danni neurologici rilevabili.
 
2.2 Al centro è il fenomeno del pruning, un processo di rimodellamento sinaptico cerebrale che agisce nella direzione della formazione di sinapsi inibitorie prefrontali tra i 15-20 anni e di sviluppo delle aree sotto-corticali che contribuiscono a dar forma al comportamento caratteristico dell’adolescenza: cioè il passaggio da un substrato essenzialmente emotivo ad uno più razionale e controllato. L’alcol interverrebbe quindi come fattore di alterazione dell’orientamento dello sviluppo fisiologico cerebrale (7).
 
2.3 Viene dunque ipotizzata l’idea di un bere comunque non sicuro sino all’età di 25 anni. Tuttavia, si tratterebbe di quantificare nei vari periodi della vita il peso di tale evoluzione, che è molto rapida sino ai cinque anni e presumibilmente modesta in seguito, tanto da rendere problematica l’apposizione di un cut off. Inoltre, se i meccanismi del cosiddetto rewarding sono comuni a molte altre azioni sia di tipo chimico sia comportamentale, risulterebbe necessario inibire un contatto precoce con molte altre sostanze e comportamenti associati.
 
2.4 Il limite di età può essere discusso nell’ambito di un discorso globale rivolto ai giovani circa il loro stile di vita. Sappiamo quanto vi possa essere di subdolo e ingannevole nell’uso di alcol da parte dei giovani che, attraverso la disforia e/o l’euforia alcol-indotte, possono trasformare tale sostanza in droga di iniziazione, di accompagnamento e/o di passaggio. La ridotta percezione degli stimoli negativi, in presenza di una più alta sensibilità all’effetto gratificante potrebbe contribuire alla propensione degli adolescenti ad associare più benefici e meno costi all’uso di alcol e di droghe, come anche ad altri comportamenti a rischio. Proprio in questo senso è interesse pubblico proporre ai giovani un modello di vita che non porti a considerare l’alcol una droga o un surrogato di essa.
 
2.5 La questione non riguarda l’esistenza o meno di un limite di età. Un limite di età deve essere posto purché sia chiaro che tale limite ha una valenza essenzialmente legale e convenzionale, ma non esaurisce il compito di attribuzione di senso entro il quadro dei significati sociali e culturali che anche le Istituzioni hanno il compito di promuovere. Si dovrebbe perciò soprattutto ridurre la vulnerabilità individuale “di stato” conseguente a traumi, stress, disturbi e così via. Piuttosto che vietare l’alcol sino al venticinquesimo anno, lo Stato dovrebbe porre le condizioni che favoriscano contesti educativi dove sia possibile esercitare meglio le funzioni esecutive, imparare a controllare emozioni, pulsioni e appetiti, sviluppando autonomia e responsabilità, anche tramite appositi training. Proprio perché, in virtù della neuroplasticità, il cervello diventa “quello che gli fai fare” (8). L’attuale soglia dei 18 anni ha un valore legale e convenzionale sensato, perché definisce nella maggior parte dei Paesi europei l’ingresso nella maggiore età e nelle relative responsabilità e diritti. A 18 anni si può votare e guidare un autoveicolo, si entra nella piena responsabilità giuridica e si possono esercitare la patria potestà e i diritti civili.
 
2.6 Difendere una versione giuridica e convenzionale del requisito dell’età minima legale significa anche tenere conto di alcune implicazioni socioculturali del tema alcol. L’inizio del bere è essenzialmente un’esperienza regolata sullo sfondo di un contesto culturale condiviso. Le figure familiari, i gruppi dei pari, e gli stili con cui si apprende a bere definiscono in profondità il significato e la memoria delle bevande alcoliche nelle comunità umane. La trasmissione intergenerazionale di questi significati, pur in circostanze ormai distanti rispetto alle società tradizionali, costituisce ancora in Italia una ritualità di cui le giovani generazioni beneficiano in senso protettivo.
 
2.7 Un secondo tema al centro del dibattito riguarda la definizione, nelle raccomandazioni dei comportamenti di salute, di una dose soglia di consumo di bevande alcoliche compatibile con un rischio basso o comunque accettabile, in base alla quale si individuano le popolazioni a rischio e si standardizzano gli strumenti epidemiologici.
 
2.8 Nell’ambito delle raccomandazioni contenute in documenti controllati da gran parte della comunità scientifica, si afferma che in base a recenti acquisizioni la soglia entro cui è possibile bere con rischio minimo si attesta in due unità alcoliche al giorno per i maschi ed una per le femmine (9). É bene ricordare che tale soglia è da ritenersi associata al massimo beneficio secondo la distribuzione a “J”, almeno per quanto riguarda il beneficio cardiovascolare e l’effetto sulla mortalità alcol correlata.

 
2.9 La discussione sulle soglie implica una ricaduta immediata sulla nozione di comportamento a rischio e sulla nozione di consumo a rischio (hazardous alcohol consumption), in quanto questi range sono parametrati e, in concreto, applicati a partire dalla definizione di una soglia.
 
2.10 Da parte di alcuni si dichiara senza remore l’inesistenza di soglie a rischio zero, ribadendo che non esistono evidenze scientifiche sul livello di consumo di alcol da ritenersi non rischioso perché ogni livello di consumo di alcol comporta un rischio.
 
2.11 Ci sono almeno tre interrogativi riguardo al rischio, che andrebbero ampiamente discussi:
 
(i) il rischio può essere mitigato ma non del tutto eliminato?
 
(ii) la nozione di rischio è sempre relativa?
 
(iii) in rapporto ai comportamenti di cui ci stiamo occupando la nozione di rischio deve tenere conto del cosiddetto “rischio deliberativo”, categoria che copre quegli aspetti del rischio che dipendono dalla libertà delle persone e dal bilanciamento individuale dei costi e benefici di una situazione data (come avviene anche per il rischio ambientale, alimentare, automobilistico, etc.)?
 
2.12 Orientare le scelte di salute pubblica verso un obiettivo di eliminazione completa del rischio o di totale assenza di malattia, senza considerare la dimensione sociale della salute, significa perciò affrontare solo parzialmente il problema e rinunciare ad una considerazione dell’uomo come animale sociale ma solo “come somma grossolana dei suoi organi”.
 
2.13 Un terzo punto riguarda la grandezza accettabile del rischio del bere rispetto ad altri rischi.
 
2.14 Si fa strada l’assunto che la potenzialità tossica di una sostanza condizioni in modo drastico il ruolo che essa esercita sull’equilibrio Habitat-Soma-Psiche. Jurgen Rehm sostiene che nel mondo occidentale la società abbia un concezione severa del rischio per esposizioni non cercate (aria, acqua, ambiente) e abbia una concezione molto più indulgente per il rischio derivante da esposizioni “volontarie” quali il bere.
 
2.15 È noto che ogni persona ha una sua individualità biologica che porta a gestire in modo strettamente personale la predisposizione a metabolizzare l’etanolo: le concentrazioni alcolemiche di ogni individuo a fronte della stessa quantità di alcol non sono mai le stesse. Peraltro, come è noto, l’alcol non segue una relazione lineare tra dose e risposta.
 
2.16 Gli studi epidemiologici circa uso/abuso di alcol e malattia e/o mortalità globale, riportano una finestra di consumo che può far parte di uno stile di vita sano. Infatti, di fronte ai cosiddetti effetti tossici (10) derivanti dall’abuso quali:
 
- maggiore esposizione all’insorgenza di alcuni tumori (in particolare: esofago, faringe, laringe e mammella); - danni gastrointestinali ed epatici e a carico di altri apparati quali cuore, polmone e rene;
 
- labilità emotiva;
 
- vari impairment neurocognitivi legati alla progressiva atrofia cerebrale; - e, non meno grave, lo sviluppo della dipendenza alcolica
 
non si possono non menzionare, in un’ottica di bilanciamento, i ben noti effetti cosiddetti “benefici” sulla salute (11), derivanti dall’uso delle bevande alcoliche in quantità moderate fra i quali:
 
- miglioramento di quelli che sono i fattori di rischio metabolici correlati a CVD (cardiovascular diseases), inclusa la riduzione del rischio di morbilità e mortalità per CHD (coronary heart disease);
 
- miglioramento del profilo lipidico (incrementa in maniera dose-dipendente i livelli di HDL-c e Apo-AI ma senza alterare il livelli di LDL-c);
 
- sensibilità all’insulina e riduzione del rischio di diabete mellito di tipo II;
 
- riduzione del rischio di ictus ed eventi ischemici e riduzione del rischio di PAD (peripheral artery disease); - riduzione del rischio di demenza e miglioramento delle funzioni cognitive rispetto ai non bevitori.
 
Il problema da porsi è sapere quando e quanto bere, e poter scegliere, nella consapevolezza di tutte le conseguenze derivanti dall’uso e dall’abuso di bevande alcoliche.

(...omissis...)

copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.federserd.it/index.cfm/Per-una-presa-di-posizione-che-non-riduca-il-dibattito-alcologico-ai-soli-temi-epidemiologici/?fuseaction=skdnovita&id=52

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)