Il problema dell'alcol in Trentino è ignorato
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Siamo strani davvero noi in Trentino. Stiamo affogando nei problemi alcolcorrelati in modo inesorabile, non ci lasciamo mancare nulla in quanto a violenze nostrane, incidenti e morti, eppure pare che solo la Coop si dia da fare per arginare come può le cose. La politica è totalmente assente, occupata a commuoversi per un pullman di ragazzi che vanno ad Auschwitz. Per i problemi causati dal'alcol fa come gli struzzi pur perseverando nei foraggiamenti ai produttori di questa sostanza. E persevera pure in tale direzione promuovendo la cultura del bere attraverso farneticanti iniziative fatte passare come momenti culturali. Prendere le distanze dall'alcol deve essere un obiettivo della politica a qualunque livello e a qualunque costo. La politica deve operare delle scelte coraggiose attraverso regolamentazioni rispetto alla vendita e alla somministrazione di alcolici esclusivamente dopo i diciotto anni, aperture e chiusure anticipate dei locali notturni, intensificazione dei controlli dell'alcolemia stratificati a tutto il settore del trasporto pubblico e privato e presenti in orari diversi e in luoghi diversi (non solo discoteche e giovani ma camionisti e autobus). Ma sarebbe poco fare solo questo. Non è proibizionismo ma questo va bene solo per un risultato rapido in termini di sicurezza. Ma la comunità ha bisogno di essere sensibilizzata nelle scelte rispetto al consumo di alcolici e questo accade solo se la Provincia stessa prende le distanze da questo tipo di produzione come atto dovuto alla salute e al benessere dei cittadini e comincia a creare i presupposti per orientare diversamente il cittadino. Nemmeno i sindacati devono chiamarsi fuori da questo obiettivo ricordando i due morti al giorno sul posto di lavoro ma anche quanto si beve in ogni fabbrica, negli ospedali, sui cantieri. Difendere il lavoratore a tutti i costi spesso significa compromettere la sicurezza degli altri. Chi manderebbe il proprio figlio a scuola su un pullmino guidato da una persona che ha bevuto? O chi manterrebbe come medico di base un medico che beve in continuazione? Poi non fa chiarezza nemmeno l'uso di termini desueti e imbarazzanti. L'uso del termine «alcolisti», del termine «ubriaco» sono facilmente equivocati. È facile definire gli altri come alcolisti perché nel nostro immaginario collettivo alcolista è chi ha bevuto e strabevuto, o ha il fegato a brandelli. E per i più l'ubriaco è quello che investe qualcuno per strada, quello che violenta, nel buio delle periferie e i nostri giudizi sono sempre pesanti perché pensiamo che quella persona non sappia bere come sappiamo fare solo noi. Se invece che chiamarli ubriachi li chiamassimo consumatori di alcolici potremmo dire che con loro abbiamo in comune la stessa sostanza: l'alcol. Ed è inutile continuare a insistere solo con il bere dei giovani perché questo non è altro che un alibi dell'adulto che si sente chiamato fuori dal problema. Quanti genitori raccomandano ai figli di non bere mentre sorseggiano un bicchiere di vino o un superalcolico! Ed è un po' quello che fa la nostra politica. Mentre piange e fa discorsi patetici foraggia produzione e promozione. Vogliamo la pace e continuiamo a produrre armi e basi militari, vogliamo i giovani liberi dall'alcol e paghiamo chi lo produce arrivando a difendere chi lo somministra a loro in mille forme possibili. La Coop sta facendo fare alla politica la figura del povero pirla incapace di prendere posizione su un disastro sociale. Forse è meglio dire che è più interessata a produrre alcol che a fare promozione di salute. E questo è estremamente grave. Piangiamo pure sui morti di Auschwitz (ci mancherebbe!), ma non facciamo finta di non vedere i danni provocati dall'alcol nel nostro bel Trentino.