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Il rapporto tra professionisti e Auto-Mutuo.Aiuto

Il rapporto tra professionisti e Auto-Mutuo.Aiuto

 

IL RAPPORTO TRA PROFESSIONISTI E AUTO-MUTUO-AIUTO

 

 

dr.ssa Francesca Oliva – dr. Mauro Croce

 

Il facilitatore risorsa per il gruppo

 

Uno dei nodi teorici e applicativi centrali nell’auto-mutuo-aiuto riguarda il

possibile ruolo di un professionista.

Nel dibattito e nella pratica dell’auto-mutuo-aiuto ci si chiede infatti se il professionista (intendendo una persona con una competenza e una formazione specifica:

operatore sociale, psicologo, ecc. – e talvolta con un ruolo specifico – operatore di un servizio, di una comunità, di una associazione, ecc.) sia una presenza utile, necessaria oppure dannosa o inutile. Se si definiscono infatti, con Richardson e Goodman, i gruppi di auto-mutuo-aiuto come «gruppi di persone che sentono di avere un problema comune (relativo a una preoccupazione medica, sociale o

comportamentale) e che si sono uniti per fare qualcosa per risolverlo» , risulta evidente come elementi fondanti e qualificanti un gruppo di auto-mutuo-aiuto siano la presenza e la condivisione tra pari di un problema in comune (di qualsiasi natura esso sia) e la convinzione che insieme, utilizzando la forza, l’esperienza, l’intimità, si possa fare qualcosa per risolverlo, per modificarlo, per meglio sopportarlo. Alla luce di queste premesse è evidente come non esistano diagnosi o

soluzioni predeterminate, ma sia necessario l’apporto personale di tutti sia per delimitare il problema che per cercare di risolverlo. Il gruppo e i singoli svolgono quindi un ruolo unico e fondamentale nel fare emergere le risorse personali, le diverse esperienze, nel favorire la modificazione costante e progressiva di situazioni, vissuti, relazioni e stili di vita, superando la semplice epistemologia di lettura e di soluzione lineare salute/malattia, devianza/normalità. In questo contesto è evidente come assume valore la dimensione del potere e quindi la distribuzione della leadership: nessuno dei singoli membri è da solo in grado di possedere tutte le abilità necessarie per un’efficace gestione della leadership. Essa quindi viene condivisa, sia attraverso una periodica rotazione, come avviene, ad esempio, tra gli alcolisti anonimi, sia attraverso una suddivisione di compiti in base alle competenze e disponibilità dei membri, sia ancora affidando la conduzione del gruppo a una persona che si ritiene essere in una fase avanzata del proprio problema, alla quale viene affidato il gruppo (come avviene, ad esempio, in alcune comunità per tossicodipendenti, dove gli elementi fondanti la legittimazione della leadership sono sia la maggiore competenza e sicurezza sia l’essersi confrontato e confrontarsi sul problema su una base di esperienza personale diretta).

 

 

Due modelli a confronto

 

Da queste brevi osservazioni risultano già abbastanza evidenti le principali

differenze tra l’approccio del professionista tradizionale e l’approccio dell’auto-mutuo-aiuto

 

 

APPROCCIO DELL'AUTO MUTUO AIUTO

 

APROCCIO DEL PROFESSIONISTA TRADIZIONALE

Chi ha il problema è una persona portatrice di risorse

Si enfatizzano le risorse, la salute, il sentirsi bene

Enfasi sulla fiducia, la volontà e l’autocontrollo

 

Si enfatizzano i sentimenti ed effetti concreti e immediati

 

Tendenza all’estemporaneità e alla spontaneità

 

Il cambiamento è dell'individuo in un contesto

 

Si costruiscono strategie basate sulla storia dei singoli

Chi ha il problema è un paziente o un utente

 

Si enfatizzano la malattia, la mancanza

 

Enfasi sull’eziologia e sull’

insight

Si enfatizzano conoscenza, teoria, struttura

 

 

Tendenza alla procedura standardizzata

 

Il cambiamento è individuale

 

L’appartenenza ad una comunità conta relativamente

 

 

Nella maggior parte degli interventi professionali la lettura del problema e la

soluzione avvengono in chiave individuale, tuttalpiù di contesto familiare mentre

nei gruppi di auto-mutuo-aiuto la lettura del problema e la soluzione avvengono

in chiave collettiva e di partecipazione

 

. Questi «banali» presupposti potrebbero far pensare che non possa esistere alcuna possibilità di interazione e di collaborazione tra mondo delle professioni socio-sanitarie e mondo dell’auto-mutuo-aiuto, individuando solo scenari di rapporti di tipo conflittuale o di reciproca indifferenza. Se analizziamo il rapporto tra queste due componenti, ci possiamo rendere

conto di una realtà complessa, dialettica che alterna diffidenza e scetticismo a collaborazione e reciproco interesse e apprezzamento. Le aree di azione sono infatti sovente vicine se non sovrapposte, indicando interventi di volta in volta complementari o alternativi a quelli tradizionalmente offerti.

 

Le ricerche che hanno tentato di esplorare il ruolo effettivo dei professionisti

nell’avvio e nella gestione dei gruppi hanno tuttavia dato risultati non concordanti. Traunstein e Steinman e Gussow e Tracy , ad esempio indicano come nella stragrande maggioranza dei casi siano state le persone direttamente coinvolte a promuovere i gruppi. Anche Romeder

sembrerebbe rinforzare tale convinzione, notando come su cento gruppi di auto-aiuto in Canada, l’80% dei gruppi in campo familiare e l’87% di quelli nati su problemi di salute erano stati avviati da un non professionista, mentre nel restante dei casi veniva riferita una collaborazione

con un professionista. Questi dati sono in opposizione con altri studi, quali quello di Borman , dove viene evidenziato il ruolo chiave del professionista nell’avviare il gruppo o nella sua partecipazione al gruppo stesso.

Un ruolo chiave al professionista viene inoltre attribuito da Vattano e Gartner e Riessman

 

. Vattano riconosce la funzione importante nella fase d’avvio del gruppo da parte del professionista, per la sua specifica e unica competenza come catalizzatore e facilitatore. Gartner e Riessman, invece, pur contemplando il ruolo del professionista quale catalizzatore, anche se con modelli diversi che cambiano a seconda dei gruppi e delle situazioni, evidenziano però, quando il gruppo

comincia ad avviarsi, la necessità di un cambiamento nel suo ruolo, in modo da

favorire l’autonomia, l’indipendenza e il potere del gruppo. Sempre secondo gli

stessi autori (i quali peraltro sottolineano come le loro osservazioni siano riferibili

non solo ai professionisti, ma a tutti i non addetti ai lavori e ai leader

del gruppo)

solo attraverso l’abbandono del ruolo di leader da parte del professionista o la non

fossilizzazione di una sola persona in questo ruolo, il gruppo potrà avere successo

e come tale diventare un’autentica unità di mutuo-aiuto.

 

Le esperienze europee, ad esempio quelle realizzate dai centri di sostegno per

il self-help in Belgio e Gran Bretagna, sembrerebbero indicare questa direzione.

Una fase importante riguarda l’avvio, dove la tendenza sembrerebbe quella di

offrire solo informazioni se e quando richieste, lasciando libera la possibilità di

richiedere interventi più direttivi.

 

 

Ostacoli e facilitazioni

 

Un nodo centrale riguarda l’atteggiamento del professionista e il suo modo di

porsi rispetto alle esperienze di auto-aiuto, poiché esistono posizioni che possono

favorire la collaborazione, a dispetto di altre che possono invece non favorirla. In

questa chiave possiamo provare a individuare due ordini di atteggiamenti.

 

 

Atteggiamenti facilitanti

Atteggiamenti ostacolanti

Apprezzare persone che si danno da fare

per risolvere propri problemi

 

Accettare il fatto che le persone conoscono

il problema che stanno affrontando

 

Riconoscere che i professionisti non hanno

lo stesso coinvolgimento delle persone

direttamente coinvolte

 

Apprezzare l’opportunità che il gruppo

dà ai propri membri

Paura che questo approccio non «migliori»

le persone ma le faccia peggiorare

 

Sfiducia nelle capacità dei singoli di assumersi la responsabilità della risoluzione

 

Paura che il proprio ruolo

venga messo in crisi

 

Paura di perdere clienti

 

Timore di un «controllo» sull’operato

dei servizi

 

 

 

 

 

Molto semplicemente, un operatore positivamente disposto verso l’auto-aiuto dovrebbe accettare di condividere parte della sua competenza ai membri del gruppo. È il processo che Gartner e Riessman descrivono nella pratica come passaggio dal ruolo di catalizzatore a quello di membro-risorsa: il passaggio avviene, di solito, dopo che è emersa una leadership all’interno del gruppo e che molte delle funzioni espletate dal professionista sono state assunte anche da uno o più membri del gruppo.

Nel ruolo di consulente il professionista interviene solo su esplicita richiesta, offrendo eventuale sostegno sotto forma di suggerimenti lavorando più sui processi che sui contenuti e sulle decisioni, che sono comunque una responsabilità del gruppo. Gli autori evidenziano che in molti casi questa funzione è stata svolta da membri o fondatori di altri gruppi con una esperienza di vecchia data alle spalle: la differenza è che un membro «esperto» è leader e membro nello stesso tempo,

ed è quindi legittimato anche a lavorare sul piano dei contenuti del problema e

delle sue soluzioni.

 

Al di là dell’atteggiamento e della predisposizione personale dell’operatore, legati inevitabilmente alla sua formazione e all’approccio epistemologico scelto, un nodo di fondo della posizione del professionista riguarda il (ri)conoscimento della realtà dell’auto-aiuto e dei suoi concetti chiave nella loro totalità. È questa conoscenza che dovrebbe permettere al professionista di chiarire il proprio pensiero sia rispetto al ruolo che si prefigura, sia rispetto all’auto-aiuto stesso e ai processi

da esso attivati. Ci riferiamo in particolare al principio dell’helper e al processo di empowerment

che i gruppi attivano. È il gruppo eventualmente a svolgere un’azione «terapeutica», e non la presenza di un (presunto) terapeuta.

 

Quali sono i compiti del professionista?

 

 

Una questione di fondo per il dibattito e le prospettive in Italia dell’auto-aiuto, riguarda il ruolo e le possibili interazioni tra gli operatori del servizio pubblico e i gruppi. Sembra che le collaborazioni tra servizi e auto-aiuto siano avvenute in prima battuta più sulla base di un «volontarismo personalistico» di alcuni operatori più fiduciosi o più «innamorati» dell’auto-aiuto, che sulla base di un effettivo riconoscimento dell’auto-aiuto come risorsa da parte del pubblico. Considerare il

mondo dell’auto-aiuto non semplicemente come una soluzione naïve o un fenomeno marginale/residuale dell’assistenza sociale e sanitaria, ma riconoscere ai diversi gruppi una dignità terapeutica attribuendo loro quindi un ruolo centrale, sembra essere stato il passaggio fondamentale per far sì che anche in Italia si affermassero forme di sostegno e di coordinamento dei gruppi AMA più organizzate e visibili.

 

Sulla scorta delle numerose esperienze di sostegno pubblico (o misto pubblico e privato) dell’auto-aiuto nei paesi europei e anglosassoni, anche in Italia sono sorte iniziative di supporto alle attività e diffusione delle realtà dei gruppi AMA

 

. Centri di sostegno nazionali o locali, finanziati sia dal pubblico che da fondazioni private o associazioni di volontariato, che offrono aiuti sia direttamente ai gruppi e ai loro membri, che ai professionisti coinvolti o che vogliono entrare in contatto con l’auto-aiuto. In particolare si occupano di: raccogliere e gestire «banche dati» sui gruppi esistenti; offrire materiale bibliografico e di consultazione sull’auto-aiuto; svolgere direttamente o promuovere ricerche sui gruppi; organizzare incontri, dibattiti, conferenze sull’auto-aiuto e tra gruppi; offrire consulenza e supporto;

organizzare interventi di formazione per gruppi e professionisti.

 

 

Tre atteggiamenti fondamentali

 

 

Ci sembra in linea generale che in Italia il rapporto tra professionisti e gruppi AMA possa essere riassunto in tre atteggiamenti fondamentali.

 

• Collaborazione e fiducia

. Il professionista crede nell’utilità e nel ruolo dei Gruppi AMA e collabora a vari livelli: dalla semplice offerta di informazioni ai propri utenti, all’invio ai gruppi, all’assunzione di un ruolo attivo come facilitatore.

 

• Scetticismo e diffidenza

. Il professionista vede l’azione dei gruppi AMA come azione non professionale contrapposta alla propria azione, ritiene che i gruppi generino nei propri pazienti perdita di autonomia e dipendenza psicologica, che il cambiamento indotto nei pazienti dalla partecipazione ai gruppi sia troppo

superficiale.

 

• Opportunismo

. L’apparente fiducia nei gruppi del professionista porta a una sua partecipazione attiva come promotore e facilitatore, ma nella realtà il rapporto con il gruppo ed il ruolo agito al suo interno collocano il professionista nella tradizionale posizione asimmetrica «professionista–paziente», sottraendo al gruppo la sua funzione di integrazione e di completamento della azione professionale

tradizionale.

 

 

 

 


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.slosrl.it/documenti/OlivaCroce.pdf

(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)