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Il risultato di una ricerca: anche un goccio può far male

Il risultato di una ricerca: anche un goccio può far male

La notizia è di quelle destinate a far discutere, e di certo non solo gli addetti ai lavori. Se una consolidata opinione

popolare e alcune ricerche hanno sempre accreditato l'ipotesi secondo la quale un bicchiere o un bicchiere e mezzo di vino

rosso al giorno non solo non fa male alla salute, ma addirittura farebbe bene, ora uno studio condotto dalla Sezione di

alcologia clinica del Dipartimento di medicina interna dell'Università di Parma (in collaborazione con l'istituto di Chimica

organica della facoltà di Scienze e con l'istituto di Anatomia dell'Università La Sapienza di Roma) ha dimostrato, per la

prima volta, che il punto di vista sulla questione va in realtà capovolto. E cioè: dosi anche piccole di alcol sicuramente

non fanno bene - nel senso che non hanno effetti benefici - ma anzi possono fare male.
È quanto emerge dello studio condotto da Cristiana Ghidini, 33enne ricercatrice della Sezione di alcologia, laureatasi con

lode in medicina cinque anni fa e specializzatasi l'anno scorso in medicina interna, sempre con lode. La ricerca tende a

mettere a fuoco i rischi di natura cardiovascolare e cancerogena legati all'assunzione di alcol. E proprio per consentire

alla studiosa di proseguire le ricerche, la Fondazione Cassa di Risparmio di Parma le ha assegnato una borsa di studio,

presentata ieri al Dipartimento di medicina interna dell'Ospedale Maggiore. È stato proprio nel corso della cerimonia che la

Ghidini ha illustrato i dati emersi dallo studio. «Già da alcuni mesi - ha spiegato - abbiamo iniziato a valutare non solo

gli effetti sul sistema cardiovascolare e sull'oncogenesi delle elevati dosi di alcol, ma anche del cosiddetto bere moderato.

Dai dati preliminari abbiamo visto che quegli antiossidanti presenti in piccole quantità nel vino, soprattutto nel vino

rosso, pare che in realtà non vengano nemmeno riassorbiti dall'organismo. Quindi i dati ricavati dalle osservazioni in vitro

(cioè sperimentalmente, ndr) che parlano di effetti benefici del consumo moderato di vino, non sono in realtà trasponibili

alle osservazioni in vivo (cioè effettuate direttamente sulle persone, ndr)».
L'oggetto del contendere sta quindi tutto negli antiossidanti - presenti nella buccia dell'uva rossa e solo in tracce

minimali nel vino rosso - che si riteneva avessero una funzione protettiva sull'apparato cardiovascolare. «Quella che abbiamo

condotto è la prima ricerca al mondo che dimostra invece che queste sostanze disciolte non vengono riassorbite», ha spiegato

ieri Pier Paolo Vescovi, responsabile della Sezione di alcologia. «Questi studi confermano quello che andiamo sostenendo da

sempre, e cioè che bere è un piacere che si può scegliere liberamente, purché non ci siano imbrogli. La gente deve sapere che

corre dei rischi». Mentre tutta la comunità scientifica è concorde nel dire che da un bicchiere e mezzo in su la situazione è

problematica, si è sempre discusso se una quantità inferiore potesse fare bene. «Il nostro orgoglio - ha detto Vescovi - è di

essere riusciti a dimostrare che non si può più dire che questa sostanza faccia bene».
Erano presenti ieri, fra gli altri, il prorettore dell'Università Corrado Scaravelli, il preside della facoltà di Medicina

Almerico Novarini e il vicedirettore sanitario dell'Azienda ospedaliera Carlo Vitali.