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Il rito "borghese" dello Spritz: tutti abbiamo da riflettere

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Lo spritz? Iniziamo a dire che è da perdenti


Non è tanto, non è solo una questione "giovanile": quello del bicchiere rosso in mano, in compagnia di amici ben vestiti, è ormai un rito borghese che interessa tutte le classi d'età.
E l'uso e l'abuso dell'alcol non è neanche, prima di tutto, una causa di allarme sociale perché correlato agli episodi di violenza registrati in questi giorni. L'aggressione dei giorni scorsi a Gabriele Sinopoli, a Mestre, è un caso estremo, difficile persino da collegare con la normalità delle chiacchiere e degli spritz. E' diventato comunque la molla per dare voce al fastidio verso alcuni templi del bere in compagnia - vuoi per gli schiamazzi, vuoi per il traffico, vuoi per la sporcizia che può associarsi in questi casi - e solo marginalmente, grazie soprattutto agli assessori veneziani Sandro Simionato e Gianfranco Bettin, si è tramutato in spunto per una profonda riflessione sul ruolo che ha l'alcol nella vita di tante persone.


Si sa che l'alcol è una sostanza che l'Organizzazione mondiale della Sanità classifica fra le droghe. Il suo uso fuori dai pasti, anche se non crea subito e automaticamente dipendenza (alcolismo), può essere ricercato per i suoi effetti sull'umore, sulla capacità di essere più spigliati e per la sensazione di stordimento che provoca. Non è quindi dipendenza fisica, ma certamente psicologica, quando non si riesce più a svolgere le normali attività sociali - conoscere persone, colloquiare, corteggiare, confidarsi... - senza l'aiuto di un bicchiere in mano.


Una vita libera dalle droghe è una vita veramente piena, soddisfacente, reale; anche se richiede più fatica, richiede la capacità di mettersi in gioco con le proprie debolezze, i propri difetti. Anche se a volte si subiscono delle sconfitte: ma si sa anche che non è affidandosi ad aiuti chimici esterni che si diventa più uomini, più donne, che si rimane se stessi.
E' per questo che occorre smascherare alcuni stereotipi, ribaltare i criteri di giudizio, prima di tutto in noi, per essere poi credibili anche con i nostri figli, i nostri scolari, i ragazzi che seguiamo in parrocchia o nel mondo sportivo. Occorre dire che chi beve - perdonate il linguaggio giovanile, ma non ci sono sinonimi altrettanto intensi - è uno sfigato.


Se dunque i comuni possono far bene a rendere amministrativamente difficile la vita ai locali che si arricchiscono anche incentivando l'uso dell'alcol tra i giovani, a chi ha responsabilità educative spetta un lavoro più difficile, basato sulle ragioni e sulla costruzione di nuovi modelli culturali. Va ripensato il nostro modo di avviare all'uso dell'alcol i più giovani, il nostro modo amichevole e furbesco di trattare di quella sostanza o di accostarci ad essa. Vanno ripensati, anche nelle parrocchie, gli "spritz hour" che prendono piede; e la prassi di coronare con l'«aperitivo» ogni nostro incontro. Altrimenti è inutile parlare. «Il resto - sono parole di Bettin - sono chiacchiere ipocrite».


Paolo Fusco
Tratto da GENTE VENETA, n.33/2012


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)