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Il "sacro limite" del bere moderato

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Il sacro limite
 

Biagio Tinghino, Presidente della Società Italiana di Tabaccologia, Responsabile III UO Territoriale Dipartimento Dipendenze, ASL di Monza e Brianza, su Alcol: bugie e verità, di Gianni Testino.


Nei contesti internazionali, recentemente, si sta sviluppando una linea di pensiero che punta a definire le strategie per eradicare l’epidemia del tabagismo. L’idea stessa di utilizzare termini in genere legati alle malattie infettive (“eradicazione”, “epidemia”) permette di comprendere che è stata compiuta una svolta culturale importante, quantomeno nella classe medica. Il fatto che non può esistere un “uso moderato” e non nocivo di tabacco sta entrando lentamente nella percezione degli operatori sanitari e probabilmente – in un futuro che possiamo già scorgere – anche nel bagaglio di credenze della gente comune.


Se pensiamo, invece, all’alcol, questo obiettivo non sembra essere affatto a portata di mano come spiega Gianni Testino nel suo libro Alcol: bugie e verità. Nell’opinione dell’uomo della strada, probabilmente, l’unico problema è costituito dallo stato di ubriachezza, in questo rinforzato continuamente dalle notizie di incidenti stradali e delle stragi del fine settimana. Seppure l’inasprimento delle sanzioni per chi guida sotto l’effetto dell’alcol sembra aver portato a una maggiore consapevolezza teorica rispetto a questo rischio specifico, non si può dire altrettanto per il consumo tra i giovani e per tutta quella fascia grigia di uso che comunque incide sulla salute delle persone. La questione è che l’alcol non fa danni solo il sabato sera, ma anche nei giorni feriali. In campo alcologico, il gap tra conoscenze scientifiche e stile di vita è ancora enorme.


Sappiamo bene che per modificare il sistema di informazioni, falsi miti, abitudini e comportamenti di un popolo non basta certamente una generazione; ma è ora di creare una rete di alleanze e di sforzi integrati, almeno all’interno della comunità scientifica, per far sentire il peso delle evidenze ai mass media e, da lì, ai cittadini che invece sono oggetto di una martellante e pervasiva controinformazione. Allo stato attuale da parte dello Stato non viene percepita alcuna dissonanza cognitiva tra il promuovere il mercato dell’alcol e l’investire centinaia di milioni di euro nella cura delle patologie-alcol correlate. E nella stessa coscienza medica si riscontra raramente una chiara consapevolezza del ruolo che ha l’etanolo nel seminare malattie e sofferenza.


Non è un mistero che diverse opinioni dei “curanti” risentono della cultura del tempo e di luoghi comuni. Questo è ancor più vero se parliamo di stili di vita, una materia il cui insegnamento viene tenuto troppo spesso lontano dalle università e affidato alla buona volontà dei singoli. È così che molte prescrizioni dietetiche si limitano al “mangiare in bianco”, l’approccio al tabagismo si limita alla riduzione delle sigarette (“non più di cinque al giorno”), l’uso dell’alcol alla “moderazione” (termine che non significa nulla). L’ipertensione arteriosa, sin dal suo insorgere, viene precocemente curata coi farmaci (“mezza pillolina appena”), l’osteoporosi con costosissime iniezioni. Stiamo parlando di ambiti in cui, spesso, il primo sforzo dovrebbe invece essere volto a promuovere un cambiamento intrinseco dei comportamenti e delle abitudini. Ma evidentemente è più facile prescrivere che motivare al cambiamento.


Il primo ostacolo ai processi di trasformazione dei sistemi sociali (in questo caso pensiamo all’ambito della salute e della cura) è frequentemente costituito dalla credenze degli opinion leader, degli esperti e degli operatori. Per troppo tempo sono stati evidenziati i risultati di alcuni studi che mostravano un effetto protettivo del vino sull’apparato cardiovascolare. E molti professionisti si sono accodati acriticamente al sentire comune, dimenticando di confrontare i danni che gli stessi dosaggi ritenuti protettivi esercitano su altri organi o di evidenziare l’incremento di rischio oncologico correlato. Tutto ciò è favorito dal fatto che le lobby della produzione viti-vinicola sono fortissime e costituiscono un asse portante dell’economia del nostro paese.


La discussione sull’uso moderato di alcol a tavola sembra costituire un sacro limite (e anche un alibi) che nessuno osa varcare, per il timore di essere criticati ed etichettati come proibizionisti. È ovvio che stiamo parlando di un ambito in cui la scelta e la libertà del singolo deve essere rispettata. Ci mancherebbe. Ma sul piano del confronto scientifico, che per fortuna costituisce un altro ambito di libertà, non sarebbe bizzarro chiedersi che fortuna avrebbero i vini se fossero privati dell’etanolo. E chi consumerebbe etanolo se esso non avesse effetti psicotropi. Così come bisognerebbe dire chiaramente che non esiste una via metabolica “normale” dell’etanolo, perché la biochimica ci insegna che ogni milligrammo di alcol costringe i sistemi enzimatici epatici a uno sforzo.


Sempre facendo riferimento a quella riserva di libera espressione che il pensiero scientifico ci garantisce, mi sono personalmente convinto che il radicamento del consumo di alcol nell’umanità probabilmente risponde a poche, semplici e drammatiche spiegazioni. La prima di queste è l’effetto che l’etanolo ha sul cervello. La seconda è costituita dai grandi interessi economici che vi ruotano attorno. La terza – forte e banale allo stesso tempo – è che “è sempre stato così”.


La forza di questi tre argomenti è tale che non possiamo aspettarci grandi cambiamenti se attendiamo che essi siano sanciti dall’alto. È la cultura che promuove e fornisce legittimità ai cambiamenti. La legislazione si limita a registrarli. Per questo i nostri sforzi dovrebbero essere orientati a modificare per prima la cultura e il nostro bagaglio di credenze sociali.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.pensiero.it/catalogo/recensioni.asp?page=pagine_aperte_606_tinghino


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)