Il vino non tira più come una volta, cantine piene di invenduto
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Mentre scoprono che il rosso, oltre a far bene all'eros femminile, ha proprietà antinfiammatorie e che la vendemmia 2009 potrebbe essere memorabile, inventano quella diavoleria del vino dealcolato, brevettato con il placet dell'Ue. Mentre i vip si divertono a elencare le loro bottiglie preferite, il consumo nei ristoranti cala a picco per effetto degli etilometri.
Così se i nuovi vigneti nascono come fossero funghi, l'export ha invece un tracollo e i consumi interni si contraggono. Insomma, fa parlare di sé il mondo del vino, fino a dieci anni fa capace di evocare un'alternativa tangibile e, soprattutto, mediterranea alla new economy. La recessione colpisce i consumi, l'euro forte restringe i mercati, l'antagonismo di Sud Africa, Nuova Zelanda e Cile riscrive i codici della concorrenza. Le banche nel frattempo riducono i crediti e i produttori, soprattutto quelli più piccoli, si scoprono inguaiati. Ironia della sorte, ciò accade proprio nel momento in cui il prodotto italico si raffina, perdendo gradi etilici e concentrazione in nome di quell'eleganza sempre invidiata ai cugini francesi.
Ma l'onda lunga della crisi non bada alle tendenze. La sua forza, se in caso, è accentuata dai codici, dal giro di vite verso chi è sorpreso a guidare sotto l'effetto di alcol. La normativa è già draconiana, benché più mite rispetto ad altri paesi europei, e al vaglio del Governo c'è un ulteriore aggravamento delle sanzioni. «Ma questa è una mossa culturale balorda - commenta Michele Satta, storico produttore di Bolgheri - Il legislatore che fa? Succede qualche incidente e toglie il vino, dimenticando che con uno o due bicchieri a tavola non si causano sinistri. Così facendo, si criminalizza l'atto del bere senza risolvere il problema: facciano, se in caso, dei controlli più rigidi fuori dalle discoteche. Invece dimostrano solo che la ragione può fare a meno dell'esperienza».
Moreno Cardone, titolare del ristorante "L'uva e il malto" di Grosseto, ha anche un preciso riferimento temporale: «Si consuma meno vino dal momento in cui sono state inasprite le pene per guida in stato d'ebbrezza. Quando vengono a cena, molti dicono "non bevo, devo guidare". Ad astenersi sono più gli adulti dei giovani, perché più responsabilizzati». Alessandro Sarzi Amadé, della "Sarzi Amadé distribuzione", spinge ancor più sull'acceleratore: «In giro si percepisce che la capacità di spesa si è ridotta. Colpa della crisi. E i controlli con l'etilometro sono uno spauracchio che tolgono la voglia di bere vino. Va meglio nelle enoteche: la gente spende meno e si porta la bottiglia a casa, dove non c'è posto di blocco che tenga».
La crisi ha spazzato via ogni reminiscenza dell'Eldorado che fu alla fine dello scorso Millennio, quando bastava avere vigna e cantina per arricchirsi. Ma non è cosa nuova. La novità, se in caso, sta nelle scorte d'invenduto, che ora riempiono i magazzini: pensare al loro smaltimento, alle attuali condizioni di mercato, è come indovinare un terno al lotto. Il quadro è presto disegnato. L'euro forte riduce l'export negli Stati Uniti e rallenta quello verso la Gran Bretagna. Italiani e francesi competono ovunque e nell'Europa centrale e scandinava, soprattutto in Germania, i vini sudafricani, cileni e neozelandesi spuntano sempre maggiori quote di mercato grazie a prezzi imbattibili. I paesi da poco convertiti all'economia di mercato per ora deludono: i pochi, grandi ricchi possono permettersi bottiglie blasonate e costosissime. Gli altri, soprattutto nell'Est europeo, restano ancorati al modello-birra non solo per ragioni culturali, ma anche e soprattutto economiche. Il quadro recessivo non salva la Toscana, dove la produzione di vino è di centinaia di migliaia di ettolitri all'anno: alla contrazione dei consumi, fa da contraltare l'aumento dell'invenduto, con prezzi unitari tendenti al ribasso.
Chi beve abitualmente il vino, intanto, cerca d'adattarsi, destreggiandosi tra prezzi talvolta esagerati, etilometri in agguato, disponibilità economiche risicate e una certa depressione che, in tempo di crisi, stringe la gola. Se va al ristorante, non lascia nulla al caso: «La scelta, di solito, ricade su una buona bottiglia, che in listino ha un prezzo dai 20 ai 30 euro», chiosa Moreno Cardone. Della serie che una piccola spesa, uno strappo alla regola, una sobria concessione all'edonismo, rendono la vita più piacevole.