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In ogni ospedale "sentinelle" antiabuso di alcol: il ruolo del "referente alcologico di reparto"

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In ogni ospedale «sentinelle» antiabuso di alcol
Il ricovero può diventare occasione per intercettare i casi «a rischio». Referenti in reparto per intercettare le dipendenze


di Ruggiero Corcella


Può sembrare un paradosso: le persone ricoverate in ospedale con anche problemi legati all’alcol, sia in fase iniziale che conclamata, sfuggono in gran parte alle maglie della rete dei Servizi di alcologia. E il problema non riguarda soltanto gli ospedali. Anche i medici di medicina generale e gli altri operatori sanitari non hanno l’abitudine di indagare sul consumo di alcol dei loro assistiti. Lo ribadisce la Relazione 2013 del ministero della Salute al Parlamento, sulla base dei dati del Sistema di sorveglianza «Passi» coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.


Nel 2012, fra le persone intervistate nell’ambito di «Passi» che si erano recate dal medico nei 12 mesi precedenti l’indagine, solo il 14,6% ha dichiarato di aver ricevuto domande sulle proprie abitudini di consumo alcolico da parte del medico o di un operatore sanitario (16% nel 2011). Tra queste persone solo il 6,4% dei consumatori a maggior rischio ha ricevuto il consiglio di ridurre i propri consumi (6% nel 2011). Per favorire l’accesso dei pazienti a percorsi di diagnosi e cura e per realizzare un’attività di counselling e di informazione anche per le famiglie, in tutta la provincia di Trento e all’ospedale Careggi di Firenze (unici esempi in Italia) è stata introdotta la figura del Referente alcologico di reparto, di solito un infermiere formato in modo specifico.

 

Il Trentino caposcuola
In Trentino, che ha fatto da caposcuola, sono partiti alla fine degli Anni 90 dalla scoperta che il 17% dei ricoverati risultava positivo all’alcol, con punte superiori al 30% nei reparti di medicina, nelle chirurgie e ortopedie maschili. Di questo 17%, solo nel 20% dei casi veniva fatta diagnosi di problemi alcol correlati di qualche tipo.
Perché? «Per sottovalutazione o non attenta raccolta delle storia medica nelle persone con problemi di alcol, che, come sappiamo, di solito tendono a negare anche il non negabile - spiega Roberto Pancheri, direttore del Servizio di alcologia e dipartimento dipendenze dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento -. Ci sono domande chiave da fare, bisogna andare a correlare l’anamnesi con alcuni esami e a volte occorre anche sentire i familiari, cosa che non viene quasi mai fatta. Per i problemi alcol correlati, il servizio pubblico applicava la politica della “porta girevole”: una persona entrava in ospedale per una gastrite alcolica, le davano gli antiacidi o gli antiulcera e usciva senza che nessuno le parlasse del suo bere. Poi, magari, quella persona finiva in chirurgia per una pancreatite o un politrauma».

 

La scheda sullo stile di vita
La soluzione è stata di proporre a tutti i pazienti che entrano in ospedale una scheda sullo stile di vita. In mezzo alle tante domande, sono «camuffate» anche quelle che funzionano da «spia» di una situazione a rischio. In questo caso, il paziente è segnalato al Referente alcologico di reparto (per il suo lavoro extra orario riceve un gettone di 300-400 euro l’anno) che fa con lui un colloquio, cosiddetto «breve», allo scopo di indirizzarlo ai Servizi di alcologia o ai gruppi di auto mutuo-aiuto. Il progetto, operativo dal 2002, ha incontrato difficoltà e resistenze all’interno dei reparti. «All’inizio ci hanno visto come marziani - dice Pancheri -. Poi abbiamo spiegato che, se fossimo riusciti a fare diagnosi in più, avremmo risparmiato livelli indicibili di sofferenza alle persone. Su questo, ci sono venuti incontro tutti».


I risultati? Grazie ai primi colloqui con il Referente, ben il 42% dei pazienti adesso è inviato ai Servizi di alcologia. «Sembra una cifra bassa, - sottolinea Pancheri - ma in realtà non lo è, anche perché comunque abbiamo aperto uno spiraglio in situazioni familiari in cui, forse, fino a quel momento non si pensava neanche ad affrontare il problema». Nel progetto dell’ospedale di Careggi, invece, la figura del Referente di reparto non è altrettanto sistematizzata e finora il personale interessato aderisce su base volontaria. «Stiamo anche lavorando in modo diverso dal Trentino - dice il professor Valentino Patussi, responsabile del Centro alcologico regionale di Careggi -. Un paio di settimane fa, l’azienda ha realizzato un regolamento interno molto avanzato: tutto il complesso ospedaliero è “alcol free”, cioè dentro le mura di Careggi non si può bere, non si possono consumare alcolici, nè possono esser venduti negli spazi aziendali.


(...omissis...)


copia integrale del testo si può trovare al seguente link:
http://www.corriere.it/salute/14_maggio_26/ogni-ospedale-sentinelle-antiabuso-alcol-31348cbe-e4b7-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)