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Indagine su giovani e comportamenti a rischio: in forte crescita l'abuso di farmaci

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Farmaci, i giovani schiavi del fai-da-te
Il 49% li prende dai genitori. Dilagano i tranquillanti


Chi ha trascorso l'adolescenza in tempi relativamente recenti non può non avere considerato come normale avere una compagna (o molto meno frequente un compagno) di banco che ingurgitava antinfiammatori o antidolorifici come fossero caramelle. Un lieve mal di testa: tac una bustina (rigorosamente versata sotto la lingua per non farsi vedere dalla professoressa!). Un iniziale dolore mestruale a dieci minuti dal suono della campanella: tac una pastiglia (senza nemmeno la confezione) trovata in fondo alla cartella di qualche compagna di classe. Scene di ordinaria auto-cura che non tendono a diminuire ai giorni nostri. Anzi. Tra gli adolescenti bresciani è in aumento il fenomeno dell'assunzione «fai da te» di una grande quantità di farmaci.


Superficialità, disinformazione, accessibilità ed imitazione sono i fattori principali che innescano la reazione a catena per cui un adolescente prende a cuor leggero farmaci ogni qual volta abbia un minimo disturbo psicofisico. Della pericolosa famigliarità degli adolescenti con il mondo dei medicinali (il più delle volte non prescritti dal medico) si sono accorte già da qualche tempo diverse istituzioni a livello nazionale, regionale ma anche locale.
Una recente indagine (2012) conoscitiva sul consumo di farmaci in adolescenza è stata finanziata dall'assessorato alla Famiglia, alla Persona e ai Servizi Sociali del Comune di Brescia e condotta dalla cooperativa Il Calabrone su un campione di 906 ragazzi frequentanti gli istituti secondari di II grado cittadini (Lonati, Zanardelli, Golgi, Sraffa, Fortuny, Mantegna, Moretto, Lunardi, Castelli, De Andrè, Foppa e Olivieri). A balzare agli occhi per prima cosa è sicuramente la differenza significativa di genere: sono le ragazze ad assumere farmaci con maggiore facilità. Il 63 per cento delle adolescenti intervistate ha dichiarato di avere preso medicine per il mal di testa nell'ultimo mese (il 36 per cento più di una volta) e il 62 per cento per dolori mestruali. Al primo posto tra i disturbi da «curare» anche per i maschi il mal di testa ma con percentuali inferiori (il 44 per cento).


Farmaci
Dalle risposte dei ragazzi poi la scoperta di un'altra prassi non proprio salutare e cioè l'assunzione (una o più volte nell'arco di una vita) di tranquillanti o sedativi con prescrizione medica (il 10,7 per cento delle femmine e il 7,5 per cento dei maschi). Percentuali che appaiono rilevanti, si legge sul documento, sia rispetto a una fascia di popolazione ritenuta generalmente sana, sia rispetto alla possibile interpretazione da parte dei giovani su cosa si intenda per sedativo o tranquillante. Queste ultime sono la terza sostanza psicoattiva più utilizzata dai ragazzi bresciani nell'arco della vita dopo alcol e cannabis. Ad «accompagnare» il giovane verso l'abuso di farmaci c'è anche la loro facile reperibilità (il 91-92 per cento definisce molto facile reperire medicinali per mal di testa o per il mal di stomaco). Le fonti di reperimento sono per il 49,4 per cento i genitori, per il 29,4 per cento «la ricetta medica» e per il 22,8 per cento «in casa senza chiedere».


Molto radicata inoltre tra i giovani è la percezione della forte diffusione dei farmaci tra amici e genitori. Pensare che «se tutti usano farmaci senza grandi precauzioni e assistenza medica, significa che non sono pericolosi quindi posso utilizzarli autonomamente anche io» è ciò che aziona il meccanismo dell'abuso. La ricerca ha infine evidenziato una correlazione tra l'assunzione di medicinali e l'uso di alcol e sostanze illegali. In particolare bere alcol e fare binge drinking (bere compulsivo eccessivo in un'unica occasione) sembrano correlati all'utilizzo di farmaci per sintomi di malessere fisico mentre il consumo di droga (marijuana, cocaina ed ecstasy) e il binge drinking sembrano essere in relazione con l'uso di farmaci per sintomi di malessere psicologico.


Silvia Ghilardi


«Prendono di tutto per essere al top»
«Abusare di medicine è come drogarsi»
Massimo Ruggeri della cooperativa Il Calabrone


Non dice quanti sono. Non dice chi sono. Massimo Ruggeri, responsabile prevenzione e politiche giovanili della cooperativa il Calabrone, sospira. Dice solo che i suoi ragazzi, quelli che si fanno di farmaci, «sono parecchi». Contarli non basta. Non basta nemmeno leggere articoli, consultare grafici, discutere del fenomeno. Bisogna andare oltre. Nelle scuole. «Ascoltare». Questa parola, ascoltare, Ruggeri la dice una, due, tante volte che non si riesce più a contarle. «Abbiamo promosso questa ricerca proprio per ascoltare i nostri ragazzi. Fare domande. Trovare risposte». Una è questa. «La droga è una moda. Muta con gli anni». Già. Anni Ottanta. «L'epoca degli oppiacei. Eroina. Per placare l'ansia, dimenticare chissà cosa, obnubilare la coscienza, non sentire la pressione». Anni Novanta. Era di moda il look grunge o, nei salotti che contano, il minimal chic. Dice Ruggeri che in quei salotti «ci si voleva divertire. Con cocaina e anfetamine». Adesso che non si ascoltano più i Nirvana e mancano i soldi per pagare il pusher, invece, le droghe non sono più in voga. «Meglio i farmaci. Basta aprire il cassetto dei medicinali di casa e scegliere. Xanax, ossicodone, hydrocodone. Antidolorifici, tranquillanti, sedativi». I greci li chiamavano farmacon . Cura, certo, ma anche veleno. Ci sarà stato un perché.

 

«Abusare di farmaci è come drogarsi» dice Ruggeri. Poi cita una parola, anzi un dogma: «Essere al top. Una fissazione, per i ragazzi. Viviamo in una società prestazionale, che non perdona nulla. I farmaci servono a questo: essere all'altezza, sedare il nervosismo, l'insonnia, il mal di testa. Non funziona, ovvio». Poi c'è l'alcol. Il trend più seguito è il binge drinking . Si scolano più di cinque bicchieri in pochi minuti. «In un mese lo fanno il 29% delle femmine e il 41% dei maschi». La domanda, a questo punto, è scontata. Cosa fare? La risposta, ancora una volta è quella. «Ascoltare. Capire come stiano cambiando i costumi, cosa patiscono i ragazzi. Dobbiamo farci un esame di coscienza. Tutti. Le famiglie, i medici, la scuola. I genitori capiscano che talvolta un'emicrania sottende un malessere diverso, psicologico, che non può certo essere curato da una pastiglia. I ragazzi ne assumono una, poi un'altra e un'altra ancora. Anche quando non hanno l'emicrania».


C'è una sola, grande, differenza tra farmaci e droghe. I farmaci sono legali. Le droghe no. «Questo è il problema. La percezione è diversa. Si pensa alle medicine come a qualcosa di benefico, a una cura. Non ci si rende conto della loro pericolosità. Pensi che il consumo di sedativi e tranquillanti è terzo dopo quello di alcol e cannabis. Un fenomeno fuori controllo». Negli Stati Uniti lo chiamano Pharmageddon . «Vero. I farmaci da prescrizione stanno annichilendo anche gli americani. Ma il vulnus non è insanabile. Possiamo sconfiggerlo. Basta affrontare l'argomento con tutti, famiglie incluse. La questione va approfondita come fosse un tema culturale. Perché lo è». Si spieghi meglio. «Vanno ripensata l'etimologia di parole come fatica, malattia, frustrazione. Soprattutto, si deve intervenire su quelli che noi chiamiamo i fattori protettivi: la capacità di risolvere drammi che a un adolescente possono apparire insanabili. È fondamentale insegnare a chiedere aiuto, non abbandonare i genitori, spesso disorientati e vulnerabili. Educare. Penso a incontri nelle scuole, ad esempio». Giusto. Ma servono soldi. Ci sono? Una risata. «Per lo Stato la prevenzione non esiste. Ci occupiamo solo dell'emergenza. Un atteggiamento suicida. Però ci sono parecchie persone che hanno voglia di darsi da fare». Come lui.


Alessandra Troncana


L'altra faccia del vuoto


Autocura: di che cosa? Che cosa cerca esattamente un adolescente nella pastiglia che allevia il dolore fisico o quello emozionale o tutti e due come nel caso dei mal di testa, di stomaco, dolori mestruali citati dall'inchiesta? Non certo una semplice analgesia, per ottenere la quale sarebbe più semplice chiedere e seguire adeguatamente le prescrizioni di un medico. Verissimo: superficialità, disinformazione, accessibilità e imitazione favoriscono il malcostume. Ma all'origine c'è anche dell'altro - in adolescenza e, come mostrano casistiche ormai numerose, anche prima -. L'incapacità di elaborare un disagio, di fermarsi un attimo ad ascoltare un malessere, di compiere, cioè, il primo passo per identificarlo, iniziare a digerirlo, da soli o con un aiuto, e quindi scioglierlo più o meno gradatamente. È facile, purtroppo, il riscontro nei più giovani di una sorta di patologia dell'istante, per cui tutto deve essere risolto immediatamente, senza appelli, senza errori. Illusoriamente, perdendo il senso della realtà. Un meccanismo di certo figlio di difficoltà di crescita individuali, ma anche della frenesia collettiva che impedisce alla famiglia di tramandare la calma, quella dentro, la tranquillità di base che permette al piccolo di costruire la fiducia in sé. Per curarsi davvero occorre avere la sensazione profonda di essere in grado: di esistere, quindi di trasformare - emozioni, pensieri, comportamenti, la pillola come l'emotività. Spesso gli abusi di farmaci, droga, alcol, cibo non sono altro che l'altra faccia della medaglia del vuoto e della noia di cui frequentemente gli adolescenti parlano. Dietro alle quali ci sono tanta sfiducia e tanto scoraggiamento. Se non li si aiuta ad imparare a guardarsi dentro, per loro non restano altro che pillole che fanno incantesimi: l'illusione della cura e della felicità per un effimero istante.


ROMANA CARUSO


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)