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Iss: anche gli operatori sanitari possono avere problemi di alcol e droghe

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Un medico su dieci ha problemi di alcol e droghe

 

Almeno il 10% dei professionisti in campo sanitario ha sviluppato nel corso della sua carriera un problema nell'ambito della salute mentale o dell'abuso di alcol e droghe. Lo afferma, sulla base degli studi internazionali condotti sull'argomento, Edoardo Polidori. Responsabile del Sert dell'Ausl di Forli, rilanciato oggi da DoctorNews. Un dato rilevante: un medico su dieci, infatti sarebbe vittima di tali problematiche ma ancora poco esplorato, almeno in Italia. "In Europa esiste una sola clinica specializzata in quest'ambito, in Spagna, a Barcellona" spiega Polidori, che e' in partenza proprio per la Spagna per una visita studio, insieme ai presidenti Omceo di Forli', Rimini e Ravenna. Ma si puo' parlare di categoria a rischio? "Non del tutto", precisa il medico romagnolo, "il dato non si discosta molto da quello della popolazione generale. Ma si tratta di una categoria particolare per le responsabilita' che ha verso la salute collettiva. Come puoi curare gli altri se non sei in grado di curare te stesso?", si chiede Polidori. Fondamentale dal punto di vista del responsabile del Sert romagnolo, e' il coinvolgimento degli Ordini professionali: "quando un medico non sta bene aumentano i casi di malpractice e di conflittualita' all'interno di un'equipe". Non solo, il medico e' un soggetto difficile da curare "perche' cerca di autocurarsi e perche' quando diventa paziente crea un rapporto diverso col medico di riferimento". Nel modello spagnolo per ovviare il timore dello stigma, il paziente viene identificato con uno pseudonimo e in nessun momento il suo nome e' portato a conoscenza dei curanti o di altri colleghi.


In Spagna, l'assistenza ai medici affetti da tossicodipendenze avviene in ricoveri residenziali, che durano dai 3 ai 6 mesi. L'anonimato è garantito. Il costo si aggira intorno ai 3 mila euro al mese per ciascun professionista; i finanziamenti provengono per l'80 per cento direttamente dal governo e per il restante 20 per cento dall'Ordine dei Medici. In Italia il ‘Progetto Helper‘ è, almeno sulla carta, in attesa di partire nella Regione Piemonte. "Non che il problema delle tossicodipendenze nella professione non sia sentito", conferma il presidente nazionale dell'Ordine dei Medici, Amedeo Bianco. "Il punto è che mancano i fondi. Le misure adottate al momento sono esclusivamente centrate sulla punizione degli atti più gravi e noti". Il fattore culturale, inoltre, per cui per i camici bianchi è più difficile chiedere aiuto, ritarda la diagnosi e pone la categoria ancora più a rischio. Non è un caso che, in tutto il mondo, il tasso di suicidi tra i medici è due volte superiore a quello della popolazione generale tra gli uomini, e addirittura quattro volte tra le donne. Anche nei piani di recupero dalle dipendenze "paradossalmente - osserva ancora la dottoressa Mora - i medici si ritrovano in una situazione peggiore rispetto agli altri professionisti, perché temono che essere riconosciuti nelle strutture assistenziali apposite abbia ripercussioni sulla propria carriera". Dall'esperienza spagnola è emerso che circa il 12% dei 165 mila camici bianchi almeno una volta soffre o ha sofferto di queste dipendenze. Si parla di circa ventimila professionisti - la metà dei medici alle prese con gli stessi problemi in Italia (oltre i 40 mila)-. La buona notizia è che la partecipazione ai programmi di recupero ottiene un successo superiore al 75% rispetto a quanto si ottiene con altre categorie trattate, dove il numero dei successi non supera il 50%. In Spagna, poi, il 72% dei medici che hanno usufruito del sostegno dopo 5 anni continua a esercitare la professione con un sicuro vantaggio per la società e per i pazienti. "Si tratta di persone in vista per le quali la riservatezza assoluta e' una condizione indispensabile", precisa Polidori che ci tiene a sottolineare un altro aspetto: "Bisogna abbandonare lo stereotipo secondo cui l'abuso di alcol o di sostanze e' circoscritto a individui ai margini della societa'. Purtroppo si tratta di comportamenti sempre piu' trasversali". L'idea, al ritorno dalla Spagna, e' di mettere in piedi un progetto simile in Italia, magari allargando il raggio d'azione a livello nazionale. L'obiettivo e' superare le barriere che attualmente impediscono ai professionisti sanitari di "concepirsi come pazienti".


(Fonte Istituto Superiore di Sanità)


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)