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L'alcol e gli anziani: una panoramica

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Alcol e anziani


Negli anziani il consumo dannoso di alcol può non essere riconosciuto facilmente perché si tende a confondere i segni di un'assunzione dannosa con i sintomi generici dell'invecchiamento.
Anche i medici di base non sempre sono sufficientemente sensibilizzati a porre la necessaria attenzione nel cogliere i segnali legati agli effetti dell'alcol nelle persone over 65 anni, sebbene questa fascia di popolazione risulti ad elevata vulnerabilità rispetto all'alcol.


Con l'età, infatti, la sensibilità agli effetti dell'alcol aumenta in conseguenza del mutamento fisiologico e metabolico dell'organismo. A partire dai 50 anni circa la quantità d'acqua presente nell'organismo diminuisce e l'alcol viene dunque diluito in una quantità minore di liquido. Questo significa che, a parità di alcol ingerito, il tasso alcolemico risulta più elevato e gli effetti sono più marcati.


A questo fenomeno si aggiunge inoltre il ridotto funzionamento di alcuni organi come il fegato e i reni, che non riescono più a svolgere pienamente la funzione di inattivare l'azione tossica dell'alcol e permetterne l'eliminazione dall'organismo.
Si deve anche considerare che le persone anziane soffrono spesso di problemi di equilibrio, dovuti all'indebolimento della muscolatura, nonché di una ridotta mobilità. Il consumo di alcol può quindi aggravare la situazione, facilitando le cadute e le fratture.


A tutto ciò si deve aggiungere che l'alcol interferisce con l'uso dei farmaci che le persone anziane nella maggioranza dei casi assumono quotidianamente.


Pertanto, in età avanzata, anche un consumo moderato di alcol può causare problemi di salute.


Le Linee Guida dell'INRAN (Istituto Nazionale per la Ricerca sugli Alimenti e la Nutrizione), in accordo con le indicazioni dell'OMS, consigliano agli anziani di non superare il limite di 12 g di alcol al giorno, pari ad 1 Unità Alcolica (330 ml di birra, 125 ml di vino o 40 ml di un superalcolico) senza distinzioni tra uomini e donne.


In letteratura c'è un generale consenso, tra i vari autori, nel dividere gli alcolisti anziani in due principali sottogruppi sulla base dell'epoca in cui si presume sia iniziato l'abuso alcolico.


Earlyonset drinkers sono chiamati coloro che hanno iniziato a bere in modo inadeguato nell'età giovanile-adulta e che ciononostante sono riusciti a raggiungere un'età avanzata, evitando il rischio non trascurabile della mortalità prematura correlata all'alcol.


Lateonset drinkers sono definiti coloro che iniziano a bere in modo inadeguato quando sono già in età avanzata.
Quest'ultimo gruppo è definito come "bevitori tardivi" o anche "bevitori reattivi" perchè eccedono in risposta a fattori disturbanti dell'adattamento alla realtà esistenziale tipici dell'età.


In modo piuttosto approssimativo possiamo affermare che i due terzi degli alcolisti anziani, secondo i dati della letteratura, appartengono al primo tipo, mentre soltanto un terzo è inquadrabile nel secondo tipo, quello degli anziani che sono diventati alcolisti in età avanzata.


È questa però una minoranza importante all'interno della popolazione generale di alcolisti anziani, e merita una speciale attenzione da parte degli operatori sociosanitari perchè si presta a tutta una serie di considerazioni psicosociali e geragogiche di grande interesse pratico. È vero peraltro che ricercatori e medici si trovano oggi d'accordo sulla necessità di una maggiore conoscenza riguardo a tale problema e sull'esigenza urgente di individuare dei modelli specifici che definiscano meglio l'alcolismo della terza età, anche in considerazione che il progressivo invecchiamento della popolazione porterà ad un incremento anche di questo fenomeno.


(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)