«L'ho sentito addosso, poi quel puzzo di birra. Mi diceva: stai ferma»
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BOLOGNA Chiara, stuprata da un tunisino, ha gli occhi tumefatti e il naso rotto per gli schiaffi e i pugni ricevuti. L'orco le è stato addosso fino all'ultimo, finché ha potuto, finché un poliziotto non l'ha sollevato di peso da quella ragazzina schiacciata a terra, la faccia nell'erba, il naso sanguinante, neanche la forza di piangere. «Ero paralizzata, non vedevo niente, non capivo niente, sentivo solo un odore terribile, il suo fiato addosso, l'alito che puzzava di birra...»: da ieri Chiara (la chiameremo così) ha lasciato l'ospedale Maggiore, è tornata a casa, ha raccontato agli agenti quello che ha potuto, brandelli di un incubo troppo grande, troppo feroce, per i suoi 15 anni. Ha gli occhi tumefatti e il naso rotto per gli schiaffi e i pugni ricevuti: «Mi diceva di stare buona, di non fare rumore, che non mi avrebbe fatto niente». Dalle finestre dell'appartamento in zona San Vitale, dove vive con la madre, un fratello e una sorella (il padre, separato, abita poco distante), si può scorgere la fermata del tram dove Chiara, venerdì sera, avrebbe dovuto incontrare i suoi amici. E invece ha trovato l'orco: Jamel Moamib, 33 anni, tunisino che avrebbe dovuto essere espulso dall'Italia da un pezzo o essere ancora in carcere o almeno in un centro di permanenza, dovunque, ma non lì, in quello stradone di mezza periferia: belva senza scopo, se non quello di sfregiare una vita.
Chiara è minuta, esile. Fa il primo anno delle Superiori. Ha la passione per Internet. E quando esce, è per trovarsi con il gruppo di amici nel parco vicino a casa, «troppo presto per discoteche o altre cose». L'unico che ieri ha potuto vederla è stato l'uomo che quella sera ha tentato di salvarla, che ha chiamato la polizia, anche se non è riuscito ad impedire lo stupro. È un'ex guardia giurata di 44 anni, un vicino di casa. «I genitori - ha raccontato - mi hanno dato il permesso di vederla, ma è stato davvero brutto. La ragazza è sconvolta, quasi assente. Mi è venuto spontaneo avvicinarmi, ho provato ad abbracciarla. Sa, l'ho vista crescere, per me è ancora una bambina. Ma lei si è tirata indietro con uno scatto, quasi terrorizzata, chissà quali mostri popolano la sua mente». E poi il pianto disperato del padre. Lo sguardo perso nel vuoto della mamma. La rabbia dei fratelli.
Gli amici, tra cui anche il figlio dell'ex guardia giurata, non se la sono sentita di entrare in quella casa: «Ti siamo vicini» le hanno fatto sapere. Ha bisogno di aiuto, Chiara. Ma dovrà anche trovare la forza di aiutarsi da sola. Le sequenze di quella sera sono ancora lì, a bruciarle il cervello, a svuotarle l'anima. Lei che alle 21.30 saluta la madre: «Dai, ma', non ti preoccupare, ho il cellulare, gli amici mi aspettano alla fermata». Lei che scende in strada e nota un'ombra poco distante, ma sul momento non ci fa caso. Si dirige verso la fermata e, quando si accorge che non c'è nessuno, telefona all'amica, scoprendo che l'appuntamento è saltato. «A quel punto - parole di Chiara - stavo tornando verso casa». Ed è in quel momento che si accorge che l'ombra è ancora là, in fondo alla strada. «Ho affrettato il passo, poi ho sentito dietro di me un rumore di corsa: non ho avuto il tempo di pensare e già mi era addosso». L'uomo le ha tappato la bocca con la mano. L'ha trascinata sull'altro lato della strada, tra i cespugli di un parco, dietro una rete di recinzione. «Ho provato ad urlare, lui mi ha picchiata...». L'ha schiacciata a terra. «È diventato tutto buio, il cervello non rispondeva più». Poi l'intervento dell'ex guardia giurata. L'arrivo della volante. Chiara è a casa, o forse no: «È come se fossi morta dentro».