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La famiglia dell'alcolista e del tossicomane

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LA FAMIGLIA DELL'ALCOLISTA E DEL TOSSICOMANE

 

Negli studi sulla famiglia dell'alcolista e del tossicomane una posizione di rilievo è occupata dall'impostazione transazionale, che pone in risalto il ruolo svolto dalla famiglia nella genesi e nel mantenimento dell'abuso di sostanze di un suo membro (la famiglia è chiamata a svolgere un ruolo anche nella terapia).

 


La moglie dell'alcolista

 

Nella moglie vengono descritti l'atteggiamento di vittima, che lascia trasparire valenze masochistiche, e comportamenti da dominatrice sottesi da istanze sadiche.


Quattro tipi di donna, più facilmente coinvolti in una relazione con un etilista, sono delineati da Whalen:

1) The sufferer, (colei che subisce), con valenze masochistiche, che assume nel rapporto con il marito il ruolo di martire;

2) The weverer, che ha un atteggiamento ambivalente, ora di tipo materno e benevolo, ora di palese rifiuto;

3) The controller, (il controllore), una donna dominatrice che si sposa più per essere madre che moglie;

4) The punisher, (colei che punisce), in essa prevalgono le istanze di moralizzazione e punizione.


Queste connotazioni personologiche vanno viste dinamicamente; non sono precostituite all'inizio del rapporto coniugale, ma si correlano strettamente con i diversi momenti evolutivi della dipendenza alcolica (Borsetti, 1977).
In questa ottica è fuori dubbio comunque che la moglie dell'etilista sceglie il proprio partner soddisfacendo ad esigenze inconsce che vogliono che l'eccesso in potus del marito venga mantenuto.
Sono state descritte gravi crisi depressive, fobie e manifestazioni psicosomatiche, insorte in donne il cui marito aveva smesso di bere (Balley, Boggs, Futterman, Brown).


Secondo altri autori, le caratteristiche riscontrate nella moglie dell'alcolista rappresenterebbero invece il risultato di processi di adattamento (Jackson).
Lo studio delle interazioni dinamiche nell'ambito familiare ha permesso di evidenziare un numero ristretto di modelli comportamentali.
La relazione fra i due coniugi si caratterizza in generale per una mancanza di plasticità e la tendenza ad un sempre più rigido mantenimento dei ruoli (Bourne, Fox, 1973).


Il modello più frequente è quello di una moglie dominatrice, con funzioni più di madre che di moglie: il rapporto con il marito alcolista si svolge secondo modalità relazionali di tipo "figlio-madre" o "dipendenza-dominanza" (Borsetti). Il matrimonio con donne più vecchie sembra essere a tale riguardo indicativo (Duchène, 1952).
La deresponsabilizzazione, la maggiore dipendenza che ne conseguono, se da un lato soddisfano i bisogni inconsci dell'alcolista, dall'altro lo spingono sempre più a bere per placare i sensi di colpa che gli derivano dall'atteggiamento di sottomissione. Le attenzioni della moglie non vengono vissute come testimonianza di affetto, ma "di umiliazione e disprezzo" (Petrella, 1977).


Ne deriva un rapporto caratterizzato da una circolarità patologica di ribellione-sottomissione, con rinforzo reciproco dei propri atteggiamenti che difficilmente possono essere modificati (Carucci, 1975).
Gli episodi di aggressività costituiscono un estremo tentativo di cambiare la situazione, di reagire ai sensi di colpa generati dal suo bisogno di dipendenza e passività, di ribellarsi alla "cospirazione" della moglie. E' lei che ha il potere in mano ed appare orgogliosa di essere "la padrona assoluta". Nei suoi confronti l'etilista matura un "muta" ostilità (Moavero-Milanesi, 1978).


Alle aggressioni nei confronti della moglie segue ben presto il pentimento ed il ritorno alla situazione di sottomissione.
Nelle dinamiche relazionali della famiglia dell'etilista Borsetti (1977) rileva altri patterns comportamentali, però meno frequenti.
Nel tipo dipendenza-dipendenza l'etilista ricerca una compagna più debole per sentirsi lui il più forte. L'impossibilità di essere di sostegno l'un l'altro è fonte di frustrazioni.
Nel rapporto di dominanza-dominanza si configura una lotta per la "leadership", che sarebbe espressione di una non chiara identità sessuale (per il mancato rispetto dei ruoli culturali).


Nel modello autopunizione-redenzione si ritrovano istanze comportamentali di tipo sadico-masochistiche (Casselman e Solms, 1971).
L'alcolista ha bisogno di una moglie su cui proiettare i propri sensi di colpa. Lei assolve a questo compito aggredendolo, rimproverandolo, sentendosi inoltre investita del ruolo di redentrice e salvatrice.
E' stata poi descritta una modalità relazionale incentrata sul sistema della colpa in cui l'eccesso in potus del marito è generato dall'esigenza di espiazione della moglie; le limitazioni che vengono imposte alla ingestione di alcoolici rispondono ad istanze superegoiche di lui (Carta et al., 1977).
Dall'analisi delle dinamiche prevalenti che sembrano caratterizzare la relazione dell'etilista con il coniuge, è derivata la convinzione che l'avvicendamento dei ruoli costituisca un elemento importante per il mantenimento della malattia e per lo sviluppo temporale della relazione.
L'indicibile capacità di sopportazione della moglie dell'etilista sembra un'ulteriore conferma della complementarietà patologica che caratterizza la loro unione.
Il clima di prevaricazione e di intimidazione cui l'alcolista sottopone soprattutto la consorte, la richiesta di rapporti sessuali espressa in modo goffo e rozzo, i gravi disagi economici e l'isolamento sociale in cui si vede costretta tutta la famiglia, pur facendo maturare nella moglie sentimenti di ribellione e repulsione, raramente la inducono a chiedere la separazione. Certi matrimoni sembrano mantenersi proprio con il potus di uno dei coniugi (Papenek, 1974).
L'alcolista, pur sentendosi osteggiato e rifiutato, difficilmente rompe con la propria famiglia.
E' stato inoltre rilevato che la moglie sopporta di più l'abuso alcolico del coniuge che non il marito; in quest'ultimo caso (quando la moglie è alcolista) sono infatti più frequenti gli abbandoni (Fox, 1956).


Il marito dell'alcolista

Se consideriamo invece le dinamiche presenti nella famiglia dove la moglie è alcolista, la figura del marito non appare connotata in maniera soddisfacente in letteratura: spesso si rilevano scarne osservazioni riferite senza un commento (Knupfer).
Nonostante la serie di studi sull'alcolismo femminile, non sembra ancora delineato un modello corrispondente a quello relativo alle transazioni tra l'alcolista e la moglie.
Alcuni autori hanno evidenziato, nel marito della donna alcolista, una personalità di tipo "dominante", (Flintoff e Myerson) altri di tipo "passivo" (Buse et al, Reith). Questi appare, comunque, scarsamente interessato al trattamento della dipendenza della moglie (Murcia, Valcarcel, Pemberton).
Un elemento costante è che spesso, anche il marito, ha problemi legati al bere.

 

I figli dell'alcolista

La tensione esistente in famiglia e lo scompaginamento dei ruoli influiscono pesantemente sullo sviluppo della personalità dei figli. In genere non soffrono di gravi privazioni materiali dato che la madre assolve ai compiti del marito, ma sottoposti sin dalla prima infanzia a rapporti emozionali turbati, nella impossibilità di valide identificazioni e combattuti fra l'alleanza con la madre o con il padre, non tardano a manifestare un alterato sviluppo emotivo (Sarteschi e coll., 1982).
E' di frequente rilievo una personalità "passivo-aggressiva": spesso non riescono a controllare bene gli impulsi e reagiscono con collera a situazioni frustranti (Aronson, 1963) .
Il padre, nei pochi momenti in cui è presente sulla scena familiare, col suo atteggiamento brusco mette in imbarazzo i figli, che prendono a disprezzarlo e a disapprovarne la condotta.
Talora il padre considera i figli la causa del fallimento del suo matrimonio e nutre nei loro confronti un atteggiamento ostile. L'assenza del padre è avvertita: non c'è un padre ad occuparsi delle loro esigenze. La madre, nel tentativo di compensare le carenze affettive sofferte nella relazione con il marito, si aggrappa eccessivamente ai figli. Non sono infrequenti le alleanze madre-figli.

Non mancano casi in cui la madre mostra anche nei confronti dei figli, comportamenti di rifiuto. Nei figli di alcolisti ricoverati in ospedale psichiatrico, Nylander (1960) ha osservato maggiori problemi di rapporto con la madre. Con una certa frequenza sono stati riscontrati sintomi nevrotici, anomalie del comportamento, sociopatie e l'abuso di sostanze.
Wegsheider-Cruse (1976) ha delineato alcune modalità di comportamento dei figli di alcolisti:


a) l'eroe, è il figlio che sente un'enorme responsabilità nei riguardi della coppia genitoriale. Teme possa dividersi e si sacrifica provando sentimenti di colpa e risentimento.

b) il capro espiatorio o il bambino problematico. Prevale un sentimento di rabbia che, diretto in origine ai genitori si estende in seguito al mondo della scuola. Attira a sua volta l'aggressività del genitore alcolista.

c) il bambino perso di fronte all'esperienza dl rifiuto si ritira, acquisendo una notevole autonomia. Preferisce ripiegarsi su se stesso, nell'interiorità o in un mondo fantastico.

d) la mascotte è il figlio simpatico ma anche immaturo e infantile. Può alleviare la tensione ma a prezzo di una condotta che finisce per generare una bassa autostima.


Gli effetti negativi dell'alcolismo dei genitori sulla salute psichica dei figli sono stati messi in risalto da molte ricerche naturalistiche (come quelle di Colucci D'Amato e di Nylander).


Colucci D'Amato (1969), studiando una popolazione scolastica di seimila unità, in un rione di Napoli tra i più poveri, tra 154 bambini con disturbi di sicura pertinenza psichiatrica, ne ha rilevati almeno 80 con un genitore alcolizzato. In 32 fu accertata l'abitudine al bere, che in 11 casi aveva anche dato luogo ad episodi di ubriachezza.


Nylander (1969) ha condotto un'indagine su due campioni svedesi: uno di figli di padri alcoolisti (dai quattro ai dodici anni di età) e l'altro di coetanei, provenienti da famiglie normali. Le famiglie degli alcoolisti erano interessate da divorzio o separazione nel 28% rispetto al 4% delle altre. Meno significativo appariva il rilievo percentuale dei ricoveri in ospedale: il 24% dei figli degli alcoolisti contro il 19% degli altri. Tuttavia solo in 1/4 dei pazienti del primo sottogruppo erano state riscontrate alterazioni organiche, contro i 2/3 del sottogruppo di controllo. Infine, secondo il giudizio degli insegnanti, sarebbero ragazzi problematici il 48% dei figli di padri alcolisti contro il 10% degli altri.

In un recente studio di Vizziello Fava et al. (1996) su un campione di 31 bambini, tra i 6 e i 14 di età, sono emersi tratti depressivi. Sono stati rilevati inoltre disturbi di apprendimento, con la contemporanea presenza di comportamenti aggressivi ed ipercinetici (nei maschi) e espressioni somatiche (nelle femmine).

Sui figli degli alcolisti grava poi l'isolamento sociale. Spesso non è permesso loro ricevere in casa compagni di gioco, anche perchè i figli condividono "segreti di famiglia", che non devono essere traditi. La mancanza di amici può determinare una diminuzione dell'autostima (Kaplan, 1977). Lo scarso attaccamento sociale è un indicatore con alto valore predittivo per alcolismo e delinquenza (Hirschi, 1986).

 

La famiglia del tossicomane


Passando ora ad esaminare le problematiche inerenti la famiglia del tossicomane, è stato osservato come l'abuso di sostanze possa rappresentare un tentativo di comunicazione da parte di chi è "in una situazione insostenibile e sta cercando di uscirne". Il ricorso alla droga viene a costituire un problema attorno al quale si rinsalda la coesione della famiglia: gli altri membri indirizzano l'attenzione sul tossicomane, distogliendola dai propri problemi (Alexander et al., 1977). Dove c'è un capro espiatorio ci sono evidentemente persone pronte a sacrificarlo: si tratta di una chiave di lettura colpevolizzante. Sostanzialmente i familiari sono visti come i responsabili del disturbo mentale di un congiunto.

Secondo Kandel et al. l'assunzione di eroina dipende, in maniera prevalente, dalle caratteristiche della relazione genitore-adolescente.
La famiglia tipica del tossicomane è formata da un padre periferico, assente o distaccato e da una madre dominante, intensamente coinvolta, iperprotettiva e indulgente.

Non mancano osservazioni contrastanti (come quella di Alexander e Dibb, 1977, che in un campione costituito da 18 famiglie appartenenti al ceto medio di Vancouver, hanno rilevato anche nel padre l'atteggiamento di iperprotezione ed intenso coinvolgimento).


La madre

La madre, che manterrebbe un comportamento seduttivo nei confronti del figlio tossicomane (Chein, 1964) è una donna infelice, con sentimenti di ostilità verso i figli (Mason, 1958), incapace di separarsi da loro e di renderli indipendenti. In queste transazioni si rifletterebbe l'ambivalenza esperita nei riguardi dei propri genitori.


Il padre

Nella descrizione che i tossicomani fanno della famiglia il padre viene raffigurato come un uomo ben inserito, incapace di assumere posizioni di rilievo o di estendere benefici materiali o emozionali agli altri, bisognoso inoltre di simpatia, affetto e sostegno emotivo (Eldred, 1976).

Il padre occuperebbe un ruolo periferico circa nei tre quinti della famiglia d'origine di tossicomani ed etilisti (Ziegler Driscoll, 1979). Alla madre vengono delegate le responsabilità maggiori nell'educazione dei figli. Questo modello di organizzazione familiare prevale nei ceti meno abbienti (Minuchin, 1967).
Tra il genitore ipercoinvolto ed il figlio tossicomane non vi è ambivalenza, ma piuttosto un'alleanza esplicita.
Attardo (1965) ha confrontato, con esami psicodiagnostici, la relazione tra la madre e figli tossicomani, schizofrenici e normali. Nel periodo dai 5 ai 10 anni, l'autore ha osservato l'incapacità della madre dei tossicomani di modificare gli elementi simbiotici della relazione e di allentare i legami con i figli. Dagli 11 ai 16 anni tali madri appaiono fissate in questo tipo di relazione, ancor più delle madri degli schizofrenici.


Le aspettative dei genitori

Hirtsch et al. hanno valorizzato, ai fini dell'instaurarsi della tossicomania del figlio, la proiezione di desideri narcisistici della madre o, comunque, l'alto livello delle aspettative dei genitori. Il ricorso alla droga viene allora a rappresentare una rivendicazione al diritto di scegliere la propria esistenza (sia pure nella trasgressione).
D'altra parte Boszormenyi-Nagy (1965) rileva come lo stile di vita del tossicomane possa, paradossalmente, essere in linea anche con attese negative della famiglia. Sono figli ai quali i genitori, fin dalla nascita, hanno predetto il fallimento. Con un ossimoro vengono designati "leali traditori".
Considerando l'atteggiamento che la famiglia assume all'inizio della tossicofilia di un proprio membro, è di comune osservazione l'imbarazzo, il rifiuto dei genitori, che "non si accorgono" di ciò che sta accadendo sotto i loro occhi.
Nei messaggi che inviano ai figli si avverte un rimpianto, un'invidia per una vita che immaginano spensierata, edonistica.
Così nel monito "Fa' che non ti peschi a farti", l'accento è posto sul temuto coinvolgimento del genitore, senza una vera censura del ricorso alla droga.
Con il raggiungimento dell'identità tossicomanica, l'adolescente si illude di rendersi indipendente, in realtà ha sempre più bisogno del sostegno della famiglia.
Questo fenomeno viene designato da Stanton "pseudoindividuazione". Al di là di un distacco apparente, talora più esibito, il legame con la famiglia d'origine non si allenta neppure con il passare degli anni. La casa dei genitori rimane un punto importante di riferimento cui tornare periodicamente (Goldstein et al.).
Ross ha rilevato l'oscillazione del tossicomane tra l'ambiente "legato alla droga" e la famiglia. A volte il tossicomane non fornisce l'indirizzo di quest'ultima, per evitare che vengano contattati i genitori (Noone e Reddig).
Molti autori hanno sottolineato la frequenza con cui i tossicomani maschi tendono ad abitare da soli con la madre (Ellinwood et al., 1966, Chein, et al., 1974).
Un'indagine attuata con questionari anonimi presso un centro di Philadelphia ha rilevato che il 66% dei tossicomani abitava con i genitori o incontrava la madre quotidianamente, l'82% vedeva almeno un genitore una volta alla settimana. L'età media dei soggetti era di 28 anni (Stanton. 1976).


All'interno del proprio nucleo familiare, il tossicomane tende a ripetere le relazioni che intercorrono nella famiglia d'origine.
I genitori appaiono per lo più scettici in merito alla riuscita del suo matrimonio (Chein et al., 1974). La madre, in particolare, pur avendo in genere una concezione favorevole della vita coniugale, diviene ostile quando il figlio tossicomane manifesta l'intenzione di sposarsi, e cerca di fargli interrompere ogni rapporto (Mason, 1958). Con la fine dell'esperienza matrimoniale, si può realizzare il ritorno nella casa paterna.


Confronto tra le famiglie di alcolisti e tossicomani

Non sono molti in letteratura i lavori che confrontano la famiglia d'origine di tossicomani ed alcoolisti.
Per lo più gli studi sono rivolti alla famiglia di procreazione dell'alcoolista e a quella d'origine del tossicomane.
Ziegler Driscoll (1979), in un'indagine effettuata su 90 nuclei familiari, ha notato che la famiglia dei tossicomani è costituita da entrambi i genitori con maggiore frequenza rispetto a quelle dell'alcolista. L'Autrice ha rilevato queste caratteristiche, comuni ai due gruppi:

- l'alto livello di reattività di fronte al problema della dipendenza da sostanze, insieme alla scarsa consapevolezza della tossicomania del membro familiare e del ruolo che questa viene a svolgere all'interno delle dinamiche.

- una relazione di aperta dipendenza dei tossicomani più giovani dalle figure genitoriali;

- la figura paterna assente o periferica.

In un terzo delle famiglie di procreazione anche il coniuge del tossicomane e dell'alcolista presentava abuso di sostanze.

Solo 7 soggetti su 90 avevano partners senza problemi e un rapporto coniugale non disturbato.

Anche secondo una ricerca di Cancrini (1971) sono di frequente rilievo famiglie disgregate alle spalle di giovani tossicomani e/o alcoolisti. Nell'anamnesi di 142 adolescenti affetti da Abuso di Sostanze sono stati ritrovati il 37,3% di famiglie "spezzate" contro il 4,2% del campione di controllo.
Sia nelle famiglie di alcolisti che in quelle di tossicomani si rilevano un aumento dei conflitti familiari (il fattore singolo più significativo), un maggior isolamento in cui la famiglia vive, aumento dello stress per il lavoro, le malattie, i problemi economici e familiari (Kumpfer e DeMash, 1986).
In conclusione, le differenti direzioni assunte dagli studi sulla famiglia possono essere ricondotte all'età di esordio e al decorso di tossicomania ed alcoolismo, e ad elementi di carattere culturale (Di Fiorino e coll. 1984).
Riguardo all'esordio, l'alcoolismo interessa per la maggior parte giovani adulti, mentre l'uso della droga inizia in genere nell'adolescenza.

L'assunzione di sostanze ha in genere effetti rapidi e dirompenti, e pertanto coinvolge la famiglia d'origine.
Nell'alcoolismo il decorso molto più lungo fa sì che le sue conseguenze negative si manifestino in tempi dilazionati, ripercuotendosi quindi più facilmente nella famiglia di procreazione.
In merito alle implicazioni socioculturali, l'alcolismo è visto molto spesso come espressione di una imitazione di modelli comportamentali già presenti nel nucleo familiare di provenienza, mentre nella tossicomania si è colto un atteggiamento di rifiuto e di contrapposizione ai valori dei genitori.
Sono abbastanza sconfortanti questo filone di studi: per la personalità vale la vecchia critica di Minkowski: si psoat all'indietro un aprte del disturbo, nei modelli si sposta nelal famiglia...
Aspecificità del modello del capro espiatorio: applicato ad ogni disturbo. Non si capisce perchè da un padre assente debba esservi un figlio alcolista, o schizofrenico....

 

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(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)