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La prevenzione e gli adolescenti. Il counseling come strumento d'aiuto

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La prevenzione e gli adolescenti. Il counseling come strumento d’aiuto

 

di Rita Danesi

 

 

L’assunzione di sostanze illegali o legali, ma dannose per la salute e i comportamenti rischiosi, possono rappresentare una sfida nei confronti della vita quotidiana in cui l’adolescente si sente schiacciato da una serie di prescrizioni, norme, richieste e vincoli che sembrerebbero prescindere dalle aspirazioni e dalle esigenze individuali. Tali esperienze “proibite”, inoltre, possono anche dargli l’illusione di avere l’opportunità di assumere anche ruoli completamente opposti da quelli quotidiani.

 

L’attrazione dei giovani per la ricerca di esperienze nuove o spericolate, può essere anche influenzata dal tipo di personalità, dalla differenza di genere e dal ruolo delle influenze culturali che possono incrementare o meno tali atteggiamenti (Murberg e Bru, 2004). Diventa così di fondamentale importanza fornire agli adolescenti strumenti validi perché possano essere in grado di fronteggiare, nel miglior modo possibile, i loro compiti di sviluppo, mediante un supporto mirato che punti sulle classi di stressor più rilevanti, attraverso la prevenzione.

 

Ad Ottawa, il 12 novembre 1986, si riunì il primo Congresso Internazionale sulla Promozione alla Salute. I rappresentanti dei paesi che parteciparono a questo congresso, firmarono una Carta Propositiva che consisteva in un progetto relativo alla conquista dell’”Obiettivo Salute” per tutti. In questa occasione, l’azione della promozione alla salute fu intesa come “processo che consente alle persone e alla comunità di aumentare il loro controllo sui fattori che determinino la salute e, attraverso ciò, di migliorare la loro salute”. Il Piano Sanitario Nazionale Italiano 1998-2000 intitolato “Un patto di solidarietà per la salute”, riprendendo le linee guida sottoscritte dai rappresentanti dei principali Paesi europei, riconosce al counseling un’importante azione di promozione alla salute e, questo strumento, può essere utilmente utilizzato anche nel contesto giovanile, per prevenire atteggiamenti e comportamenti rischiosi durante l’adolescenza, che possono mettere a repentaglio non solo la salute, ma anche la vita di numerosi ragazzi. Il counseling viene così riconosciuto come un’importante strumento all’interno della prevenzione dei comportamenti e degli stili di vita antisalutari e nella prevenzione di vari problemi, come quelli legati all’alimentazione, al fumo, all’alcool e può risultare una valida scelta sul piano operativo per molte delle sue caratteristiche, tra cui quella di essere un intervento breve e circoscritto nel tempo.

 

Operare con il counseling

E’ possibile operare con il counseling all’interno di vari contesti, come quello sportivo giovanile (Gansky, Ellison, Rudy, Bergert, Nelson, Kavanagh e Walsh, 2005). Ogni singolo contesto ha comunque caratteristiche sue proprie ed è per questo che richiede all’operatore, una formazione specifica, propria di ogni contesto in cui il counselor intende operare, come nel caso del counseling sessuologico. Tra l’altro, Frazier, Mortensen e Steward (2005), in una loro ricerca effettuata utilizzando proprio il counseling sessuologico hanno riscontrato che, con l’utilizzo di questo tipo di relazione d’aiuto, donne che avevano subito violenze sessuali acquisivano una maggiore ristrutturazione cognitiva, un minor ritiro sociale associato ad una minore percezione dell’angoscia e del dolore causati da questo tipo di esperienza.

 

Ogni relazione d’aiuto instaurata, richiede al professionista, quindi, una conoscenza profonda delle teorie della comunicazione funzionale e disfunzionale, un lungo percorso di addestramento metodologico e una base di competenze cliniche, oltre al possesso di qualità umane, come la genuinità, la coerenza, la disponibilità, la sensibilità, la creatività (Haverkamp, Morrow e Ponterotto, 2005; Ponterotto, 2005). La comprensione empatica, tra l’altro, è un’altra qualità umana indispensabile perché il processo di counseling possa dare i suoi frutti e consiste nel sentire il mondo personale del cliente come se fosse il mondo dell’operatore, senza mai perdere la qualità del “come se”, in modo che, chi opera attraverso il counseling, non perda il punto di vista del cliente, altrimenti sarà possibile analizzarlo e valutarlo, ma non capirlo (Burkard e Knox, 2004). E’ soltanto attraverso la comprensione del cliente che viene resa possibile l’autoesplorazione dell’individuo perché si renda abile ad una presa di decisione autonoma e insieme ad essa, originare il cambiamento. All’interno di questo tipo di relazione d’aiuto, il counselor cerca di favorire una valorizzazione maggiore delle risorse personali del cliente, cercando di promuoverne la crescita e lo sviluppo e aiutandolo a raggiungere un modo di agire più adeguato ed integrato (Moradi e Subich, 2004). Il counseling privilegia quindi, nel focus di diagnosi e di intervento, il livello interpersonale, transazionale e relazionale dell’individuo o dei sistemi di individui ed è per questo che può essere applicato anche a gruppi di persone.

 

Il counseling per gli adolescenti

Spesso, l’obiettivo principale del counseling rivolto agli adolescenti è quello di fornire degli strumenti idonei ai ragazzi, che stanno compiendo i loro compiti legati allo sviluppo, per fronteggiare eventuali difficoltà legate alla loro crescita e al loro inserimento nella realtà sociale, educativa e lavorativa, come è accaduto nella ricerca di Fouad, Smith e Zao (2002). Atteggiamenti e comportamenti a rischio sono soliti svilupparsi proprio nel periodo adolescenziale ed è per questo che l’attività preventiva dovrebbe essere instaurata prima dell’insorgenza di vero e proprio disagio e il counselig scolastico, solitamente è volto ad analizzare e prevenire anche i problemi legati ai bassi risultati scolastici in quanto, questi, potrebbero essere predittori di problemi comportamentali in generale (Newcomb, Abbott, Catalano, Hawkins, Battin-Pearson e Hill, 2002). Con i giovani è importante soprattutto l’aspetto comunicativo della relazione e secondo il Department of Education and Science (1988), il counseling rivolto agli adolescenti può essere distinto in:

 

informale, che consiste soprattutto nell’ascolto e nell’eventuale orientamento;

formale, che si occupa di sostenere i giovani durante la realizzazione dei loro compiti evolutivi;

psicoterapeutico, che opera di fronte a veri e propri disagi.

 

Il counseling rivolto agli adolescenti può operare a livello sanitario, socio-ambientale e psicologico. Nell’ambito della prevenzione degli atteggiamenti e dei comportamenti a rischio, solitamente il professionista opera attraverso il counseling psicologico di tipo formale che si esplica attraverso la successione di attività così riassumibili:

 

valutazione della richiesta nell’ottica della prevenzione;

breve assessment, che comprende l’utilizzo di test e questionari;

valutazione delle risorse interiori, delle credenze, delle resistenze, delle strategie di copyng;

potenziamento dei fattori protettivi, del ragazzo e dell’ambiente in cui vive;

valutazione della qualità delle relazioni interpersonali con la famiglia, con il gruppo dei pari;

favorire l’espressione delle emozioni;

favorire un supporto psico-emotivo;

favorire la riduzione dell’ansia;

favorire la messa in atto di strategie e di comportamenti adattivi (Lightsey e Hulsey, 2002; Newcomb et al., 2002).

 

Nel counseling con gli adolescenti, la competenza comunicativa, l’ascolto e l’empatia, sembrerebbero acquisire una valenza maggiore, rispetto a ciò che accade con gli adulti, pur rimanendo la base di un processo comunicativo efficace. Il necessario, con i giovani, sembrerebbe divenire l’indispensabile e il lavoro sulle resistenze, originate dall’impulsività propria del periodo adolescenziale, più presente (Lightsey et al., 2002; Rosenberger e Hayes, 2002). L’attività di counseling di gruppo, rivolta agli adolescenti, effettuata nel contesto scolastico o in un consultorio, tra l’altro, può rappresentare un importante completamento al counseling individuale in quanto, integrandosi, è possibile che i ragazzi manifestino una maggiore espressione dei diversi aspetti di sé.

 

Un’altra forma di counseling, che attrae molto i giovani, è quello telefonico che, tra l’altro, sta assumendo un’importanza sempre maggiore. Attraverso questo tipo di colloquio, i ragazzi hanno la possibilità di avere risposte puramente informative, ma può configurarsi anche come un vero e proprio colloquio volto alla relazione d’aiuto, non molto diverso, nella sua dinamica, da un colloquio face to face. Inoltre, il counseling telefonico, può costituire il primo contatto, l’aggancio con l’operatore, a cui può far seguito un successivo rapporto diretto (Kitamura, 1990; Reese, Conoley e Brossart, 2002). La dinamica mentale di un adolescente non sempre è di facile accesso e i frequenti conflitti e resistenze messe in atto dai ragazzi, all’interno del colloquio di counseling, possono mettere a dura prova l’operatore e anche il counseling telefonico potrebbe risentire di queste dinamiche. Tra l’altro, operare con questo strumento, che presenta caratteristiche e peculiarità sue proprie, non è così semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Alcuni adolescenti, comunque, timidi di fronte ad un adulto, potrebbero sentirsi a loro agio e protetti, con questo tipo di strumento, in quanto l’operatore non sa con chi sta parlando e la loro identità, almeno per un certo periodo di tempo, potrebbe rimanere celata (Edwards, 2005). La difficoltà principale, legata all’utilizzo del counseling telefonico, sembrerebbe essere quella di non avere a disposizione la comunicazione non verbale legata alla mimica del volto, dello sguardo, del comportamento spaziale, del comportamento motorio-gestuale e dell’aspetto esteriore. Il saper ascoltare, quindi, nel counseling telefonico, potrebbe portare ad una maggiore concentrazione sull’incongruenza di ciò che viene comunicato verbalmente, l’attenzione sembrerebbe maggiormente focalizzata sulle parole dette e sul sistema vocale, come il volume, il tono, il ritmo, i silenzi, non avendo il normale rapporto face to face a disposizione.

 

Il compito fondamentale dell’operatore, quando viene a contatto con l’adolescente, qualsiasi sia la modalità è, comunque, quello di fornire risposte valide per aiutarlo a compiere i compiti legati allo sviluppo, in modo da prevenire comportamenti antisalutari che possano compromettere la sua crescita futura.

 

La prevenzione in adolescenza

Una parte importante del counseling, soprattutto quella che è rivolta ai giovani uomini e alle giovani donne, è quella legata alla prevenzione del disagio e alla promozione del benessere. Questo tipo di attività preventive vengono attuate soprattutto nei contesti scolastici. La scuola, svolgendo il suo ruolo di agenzia educativa con finalità formative e preventive inserisce, tra le sue attività, la pratica del counseling scolastico. La prevenzione dei comportamenti rischiosi durante l’età evolutiva avviene all’interno di una rete d’influenze sociali, come quelle determinate dalla scuola, dalla famiglia e dai pari. L’interazione sociale, non è un processo unidirezionale, ma è un processo circolare che sprigiona emozioni, sensazioni e legami. Attraverso questo processo è possibile lo sviluppo cognitivo ed emotivo che può predisporre, il giovane individuo, ad avere comportamenti antisalutari.

 

Tra i dodici e i quindici anni molti adolescenti iniziano a sperimentare alcool, tabacco, droghe e la differenziazione di genere inizia ad intensificarsi, facendosi più netta e creando l’interesse per il sesso opposto. Il tempo speso con i propri genitori diviene sempre più ridotto per lasciar spazio al rapporto con i coetanei e l’esposizione all’uso di sostanze o la rottura delle norme da parte del gruppo di appartenenza sembrano influenzare direttamente il comportamento degli adolescenti (Werner e Silbereisen, 2003).

 

L’azione preventiva, che si caratterizza come promozione alla salute, diventa particolarmente importante durante questo periodo, poiché è proprio a partire dall’adolescenza che gran parte dei comportamenti disadattivi si costituiscono (Izard, Fine, Schultz, Mostow, Ackerman e Youngstrom, 2001).

 

Programmi di prevenzione efficaci sono rivolti all’ambito bio-psicosociale, dove la salute e la malattia sono il risultato di complesse e costanti interazioni tra fattori biologici, psicologici e sociali (Heino, Van Der Molen e Wilde, 1996; Mahoney, 2000).

 

Il compito di sostegno alla crescita è di tipo psicoeducativo con interventi mirati a rafforzare le competenze emotive e cognitive, in modo da rendere l’adolescente in grado di costruire proprie abilità (skills) che gli permettano di rielaborare i momenti di difficoltà e di prevenire i fattori di rischio (Zelazo, 2004).

 

Abilità personali, come la capacità di prendere decisioni, di risolvere i problemi, il pensiero creativo e critico, la comunicazione efficace, la capacità di relazioni interpersonali, l’autoconsapevolezza, l’empatia, la gestione delle emozioni e dello stress, vengono identificate e rafforzate in modo tale da favorire l’adattamento individuale e collettivo (Cole, Bruschi e Tamang, 2002; Murberg et al., 2004).

 

Gli interventi di prevenzione solitamente mirano al miglioramento della capacità di fronteggiamento, allo sviluppo di un ambiente sociale adeguato, alla promozione della salute fisica e mentale, anche attraverso politiche pubbliche.

 

Gli interventi preventivi dovrebbero anche mirare ad insegnare agli adolescenti a gestire lo stress, a sviluppare una flessibilità che permetta loro di accedere ad un repertorio personale di strategie, in modo tale da affrontare adeguatamente situazioni molto diverse tra loro.

 

E’ importante, a tal scopo, effettuare un’analisi dei fattori di resilience, cioè dei fattori protettivi personali e sociali che permettono di affrontare le situazioni avverse (Bryant, Schulenberg, O’Malley, Bachman e Johnston, 2003).

 

Il potenziamento delle capacità di coping e della percezione della propria autoefficacia gioca un ruolo determinante nell’induzione ad adottare comportamenti più adattivi e, in termini di locus of control, si potrebbe affermare che quanto più riteniamo di essere autori del nostro benessere tanto più faremo attenzione alla nostra salute.

 

E’ anche importante che l’adolescente rielabori una concezione del tempo personale non limitata e circoscritta alla propria esperienza di sé nel presente, ma organizzata su una più ampia prospettiva in grado di cogliere i nessi fra le diverse esperienze che via via si compiono.

 

Anche il ruolo svolto dalle credenze non è da sottovalutare perché sembrano correlate a problemi di comportamento (Bryant et al., 2003). Queste credenze potrebbero portare all’ “ipersoggettività dei sentimenti” o alla “fiaba personale”, in base alla quale l’adolescente giudica se stesso e i suoi sentimenti, speciali ed unici. Fantasie di onnipotenza e di immortalità, la percezione della propria invulnerabilità e l’ottimismo irrealistico possono condurre l’adolescente a proporsi obiettivi eccezionali, così come ad ignorare precauzioni ragionevoli.

 

Il fatto di non aver mai sperimentato conseguenze negative in relazione alle proprie esperienze può contribuire a incentivare forme di ottimismo nel consumo (Tercyak e Audrain, 2002). L’effetto del falso consenso, che è un effetto che induce i consumatori reali o potenziali ad entrare in relazione preferibilmente con soggetti che condividono le stesse credenze o condotte può portare, l’adolescente, a sovrastimare il numero dei consumatori e gli attributi di normalità e di attrattività del comportamento a rischio, rendendolo per certi aspetti più accettabile (Tercyak et al., 2002).

 

La percezione del rischio per se stessi nel consumo di fumo di sigaretta, alcool e droghe potrebbe essere sottovalutata rispetto alla percezione del rischio percepito per un amico, dimostrando il grado elevato di ottimismo irrealistico.

 

L’uso regolare di sostanze dannose per la salute potrebbe essere sentito molto rischioso riguardo alle droghe illecite, mentre quello occasionale potrebbe essere considerato meno rischioso, soprattutto per alcolici e sigarette per i quali il livello di percezione di rischiosità potrebbe diminuire con l’aumentare del coinvolgimento nel consumo (Murgraff, McDermott e Walsh, 2001).

 

Un altro indicatore di percezione del rischio è il giudizio di difficoltà a smettere le abitudini consolidate: è un luogo comune considerare molto facile smettere di fumare sigarette e di bere alcolici.

 

La percezione della diffusione aumenta in funzione dell’implicazione dei soggetti nell’uso delle sostanze (Tercyak et al., 2002).

 

Nell’intervento di prevenzione è importante far circolare le informazioni corrette e realistiche sulla composizione e sulle caratteristiche della sostanza, sui rischi connessi all’abuso e all’uso combinato dei vari prodotti e sui modi meno rischiosi di assumerle. Le informazioni dovrebbero anche comprendere altri comportamenti a rischio come il non uso di cinture di sicurezza o il non uso di anticoncezionali. Le sole informazioni non necessariamente producono una modificazione degli atteggiamenti, né guidano in modo predittivo i comportamenti concreti; non sempre i programmi di prevenzione portano ai risultati voluti, anzi, in alcuni casi, come per l’uso di marijuana, è stato riscontrato che questi programmi che cercano di prevenirne o ridurne l’uso spesso causano l’effetto contrario (Cuijpers, Jonkers, Weerdt e DeJong, 2002). Inoltre, focalizzando i messaggi preventivi sulla nocività dell’uso di certe sostanze, come per esempio il fumo di sigarette, i ragazzi potrebbero ritenere altre modalità di fumare il tabacco, come la pipa o i sigari, non nocive per la salute e dedicarsi a questo tipo di consumi (Tercyak et al., 2002).

 

La legislazione complessiva contro il crimine, contro l’uso e l’abuso di sostanze e a favore della prevenzione della salute, spesso è inadeguata e i conflitti con gli interessi economici che si riscontrano nel macro-ambiente giocano un ruolo decisivo per la formulazione delle norme che regolano tali attività (Crome, 2004). Di fronte ad una insoddisfacente legislazione legata alla prevenzione, l’analisi dei vari ambienti abitati dagli adolescenti potrebbe fornire notizie utili per aiutarli durante questo periodo della vita così particolare. Le aree in cui è possibile fare prevenzione in adolescenza sono svariate e toccano vari ambiti, talvolta molto diversi tra loro, come l’alimentazione, il fumo di sigaretta, l’assunzione di alcool e di droghe varie, la guida pericolosa, l’uso di sostanze che migliorano sia l’aspetto fisico, sia le prestazioni sportive, il sesso non protetto. Data la complessità e la diversità di questi ambiti è necessario che ogni programma preventivo tenga in considerazione la specificità di ciascuno di essi ed indaghi anche all’interno di altri fattori, come gli atteggiamenti, l’ambiente sociale, le emozioni.

 

Gli atteggiamenti

Nell’ottica della prevenzione, soprattutto applicata al periodo evolutivo, è molto importante analizzare gli atteggiamenti in quanto possono essere considerati come finestre sugli stati psicologici delle persone e, all’interno delle individualità, è possibile cercare di prevedere un determinato comportamento (Tyler e Lichtenstein, 1997).

 

Gli atteggiamenti hanno un ruolo importante nell’azione umana, forniscono le ragioni, motivano ad agire, influenzano le decisioni, i progetti e le intenzioni; sono, inoltre, parte integrante del perseguimento degli scopi e molti comportamenti hanno inizio e fine con gli atteggiamenti. Gli atteggiamenti verso il sé sono considerati equivalenti al sé, a come le persone considerano se stesse, quindi all’autoefficacia, all’autostima e all’autoconsapevolezza.

 

Sperimentare per la prima volta una sostanza o condurre la propria auto ad alta velocità è, nella maggior parte dei casi, indice di un atteggiamento favorevole nei confronti di quell’esperienza e dell’attribuzione ad essa di una funzione positiva.

 

L’atteggiamento si struttura in base alle informazioni che sono presenti nel contesto sociale, è un processo psicologico rivolto verso un qualunque oggetto sociale ed è condiviso da un numero più o meno ampio di persone (Tyler et al.,1997).

 

L’atteggiamento si forma per esperienza diretta tramite la semplice esposizione (elaborazione cognitiva dell’informazione, condizionamento classico e operante, reazioni emotive) e attraverso l’esperienza socialmente mediata da convinzioni e opinioni di altri significativi (Schreck e Fisher, 2004; Werner et al., 2003) e dai mass media (Anderson, Berkowitz, Donnerstein, Huesmann, Johnson, Linz, Malamuth e Wartella, 2003).

 

Gli atteggiamenti possono guidare il comportamento in modo diretto, distorcendo le percezioni, o indiretto, suscitando le intenzioni ad agire in un determinato modo. Il comportamento è meglio predetto quando gli atteggiamenti sono specifici, accessibili, forti, quando la loro forza è data dall’ampiezza dell’informazione posseduta (ricchezza e articolazione) e la modalità di acquisizione dell’informazione è derivata dall’esperienza diretta.

 

Gli atteggiamenti sono molto studiati soprattutto per i programmi di prevenzione scolastica e quelli che sembrano più persistenti sono la percezione dell’autostima, come concetto intrapsichico o intrapersonale e l’influenza dei pari, come concetto interpersonale (Tyler et al., 1997). La teoria del comportamento pianificato di Ajzen (1991), cui fanno riferimento Murgraff et al. (2001), prevede che l’atteggiamento vada a influenzare le intenzioni (agire in un certo modo) e che atteggiamenti e intenzioni, a loro volta, influenzino il comportamento. Sull’atteggiamento agiscono credenze e valutazioni; sulle intenzioni agiscono atteggiamenti, norme soggettive (credenze normative e accondiscendenza) e controllo comportamentale percepito (credenze di controllo) con un’influenza molto forte. Sul comportamento agiscono intenzioni e controllo comportamentale, percepito in modo più debole.

 

La teoria sottolinea come le influenze sull’individuo determinino le decisioni individuali, anche nel perseguire particolari comportamenti salutari.

 

Le credenze comportamentali sulle conseguenze del comportamento messo in atto, le credenze normative di percezione dei desideri di altri significativi e le credenze di controllo sui fattori che possono inibire o facilitare quel determinato comportamento, possono essere sfruttati per prevenire comportamenti dannosi per la salute. L’individuo può divenire sufficientemente abile a perseguire comportamenti salutari se crede che questi comportamenti portino a risultati apprezzabili, se crede che le persone per lui significative pensino che dovrebbe intraprendere quel determinato comportamento e se pensa di avere risorse necessarie e l’opportunità di mettere in atto quei comportamenti che preservino la sua salute (Murgraff et al., 2001). La teoria del comportamento pianificato è usata per spiegare un’ampia gamma di comportamenti e per verificare la predizione delle intenzioni e del comportamento. Murgraff et al. (2001) hanno applicato questa teoria per determinare se l’influenza degli atteggiamenti e delle credenze conducono all’ubriacatura occasionale, rilevando che i preddittori più forti di tale comportamento erano le credenze normative, le credenze comportamentali, gli atteggiamenti e il controllo comportamentale percepito.

 

Tutto questo porta a dire che cambiare un comportamento disadattivo è possibile, agendo sugli atteggiamenti, intervenendo, ad esempio, sulle credenze erronee sull’uso della sostanza, oppure modellando in modo appropriato le norme sociali attraverso campagne di informazione, avvisi sulla nocività dell’eventuali sostanze e attraverso feedback personalizzati (Murgraff et al., 2001).

 

I fattori di rischio e di protezione

Per poter effettuare programmi di prevenzione efficaci è necessario identificare i vari fattori di rischio e di protezione che si riscontrano nei vari comportamenti disadattivi. Una significativa porzione dei fattori di rischio e di protezione deriva dall’interazione che c’è tra gli individui e il loro ambiente sociale ed includono sia gli elementi dell’ambiente in cui il giovane vive, sia la sua personale risposta a questi fattori (Caldwell, Rudolph, Troop-Gordon e Kim, 2004; Tyler et al., 1997). Una varietà di ambienti sociali e interpersonali come l’influenza dei pari, della famiglia e del gruppo, l’ambiente organizzativo, come la pressione occupazionale, legislativa e sociale, l’ambiente culturale, come il tempo dedicato alle attività sociali e fisiche, l’ubicazione, i livelli di reddito e i progetti di vita, possono contribuire al comportamento di dipendenza e ad altri comportamenti non salutari (Hays, Hays e Mulhall, 2003; Tyler et al., 1997). Ognuna di queste caratteristiche ambientali, interagisce con le storie di vita delle persone dedite ai comportamenti rischiosi, così come possono interagire con la loro età, il sesso e le loro “life skills”.

 

Le strategie preventive dovrebbero coinvolgere non solo il singolo individuo, ma anche i problemi sociali, demografici, economici e normativi della comunità di base, dove vivono i giovani e le loro famiglie (Hays et al., 2003; Tyler et al., 1997). Oltre all’identificazione dei vari fattori di rischio e di protezione è utile vedere se, tra i vari comportamenti disadattivi, si ritrovano gli stessi fattori di rischio e di protezione oppure se ogni comportamento rischioso presenta propri ed unici fattori.

 

Il coinvolgimento religioso, il contatto con i familiari e altri adulti sono considerati caratteristiche positive dello sviluppo sociale ed emozionale dei giovani. Questi fattori possono conferire capacità e protezione contro lo sviluppo di problemi di dipendenza da alcool e droghe. Tyler et al. (1997) riportano la concezione di Eng, Hanson, Gliksman e Smythe (1990), secondo i quali le norme religiose hanno una grande influenza rispetto alle norme culturali, quando il gruppo religioso è particolarmente coeso, mentre, quando è meno coeso, le norme culturali risultano più influenti di quelle religiose. Anche Tyler et al. (1997) hanno dimostrato in una loro ricerca che la religione e l’essere impegnati in attività ricreative possono costituire fattori di protezione.

 

La struttura familiare con un solo genitore di per sé non sarebbe un fattore di rischio ma questa situazione spesso lo diviene quando risulta associata a minori risorse economiche, soprattutto se il genitore con cui vive l’adolescente è donna ed ha minor tempo ed energia da dedicare alla cura e alla supervisione dei bambini e se il reddito ridotto del capofamiglia femminile riduce l’accesso alle risorse della comunità che potrebbero integrare e supportare gli sforzi genitoriali (Hays et al., 2003; Griesbach, Amos e Currie, 2003).

 

Alcune ricerche hanno mostrato che i giovani che hanno trascorso più di tre ore senza supervisione da parte degli adulti dopo la scuola ogni giorno hanno avuto il più alto indice di rischio di uso di sostanze dannose, problemi comportamentali, depressione, un’autostima più bassa e scarsa efficacia accademica (Bryant, Schulenberg, Bachman, O’Malley e Johnston, 2000). La risposta della comunità alla famiglia e ai suoi bisogni, lo stile parentale, in modo particolare la relazione tra madre e figlio che influenza lo sviluppo del bambino, la relazione tra le dinamiche interne come il legame familiare, la comunicazione tra i partners e le abilità dei genitori nel modellare il comportamento dei ragazzi di fronte all’uso della sostanza e agli eventuali problemi di comportamento sono importanti per combattere i rischi a cui potrebbero andare incontro gli adolescenti.

 

Hays et al. (2003) in una loro ricerca hanno evidenziato che l’uso di tabacco, di alcool e di droghe erano positivamente correlati alla mancanza di alloggi e all’essere membro di una famiglia con un solo genitore. L’uso di queste sostanze risultava negativamente correlato alle maggiori cure e al maggior supporto parentale ricevuti dai ragazzi e al miglior andamento scolastico; emergeva, inoltre, che i problemi economici riducevano l’accesso all’acquisto di questi prodotti anche se l’estrema povertà portava ad un maggior uso di sostanze dannose (Hays et al., 2003). L’intelligenza emotiva è stata indicata come fattore di protezione per comportamenti rischiosi e risulta associata ad una maggiore percezione delle conseguenze negative legate ai vari comportamenti disadattivi.

 

Un buon sviluppo dell’intelligenza emotiva potrebbe conferire una maggior abilità a trarre beneficio dall’influenza sociale e quindi anche da eventuali programmi di prevenzione (Trinidad, Unger, Chou e Johnson, 2004). Si riscontrano punteggi più elevati nell’identificare le emozioni da parte delle ragazze rispetto ai ragazzi, i quali risultano maggiormente coinvolti nell’uso di sostanze pericolose (Trinidad et al., 2004).

 

Il sesso maschile risulta essere una variabile importante anche nel numero di incidenti mortali e può essere imputato a diversi rinforzi che ricevono i ragazzi a riguardo dell’aggressività fisica e alla violazione delle regole sociali (Whissell e Bigelow, 2003). Anche in una ricerca di Lin, Chang, Pai e Keyl (2003), sugli incidenti legati alla guida dei motorini, l’essere maschi costituisce un fattore di rischio.

 

Il gruppo e l’influenza dei pari sembrano essere significativi per l’uso di alcool e di sigarette ma non sembrano influire sulla guida pericolosa, dove gli incidenti mortali accaduti ad autoveicoli con un solo passeggero erano in numero pressappoco uguale a quelli accaduti ad autoveicoli con più passeggeri (Whissell et al., 2003).

 

Per l’ American for Non-Smokers Rights (ANR) 1999, i regolamenti normativi e gli approcci politici per il controllo dell’uso delle sostanze dannose e per la guida sicura possono riflettere e rinforzare le norme della comunità che si oppongono all’uso e all’abuso di quelle sostanze e simultaneamente possono influenzare tutti i membri della comunità cercando di restringere l’accesso ai giovani verso eventuali comportamenti disadattivi (Hays et al., 2003).

 

Tutte queste considerazioni portano a pensare che l’ambiente sociale in cui vive l’adolescente, influenzi il suo modo di pensare e di agire. Un’analisi più approfondita del contesto sociale in cui i ragazzi vivono e crescono potrebbe portare a strategie preventive mirate, in grado di aiutarli nel loro sviluppo.

 

Il counseling rivolto agli adolescenti può intervenire all’interno dell’ambiente scolastico a vari livelli, ricomprendendo la famiglia e gli insegnanti. E’ solo attraverso il gioco delle influenze circolari che è possibile attuare programmi di prevenzione veramente efficaci.

 

Conclusioni

I programmi di prevenzione attuati nelle scuole prendono in considerazione attività specifiche di formazione e di informazione rivolte agli adolescenti, alle loro famiglie e ai loro insegnanti. Il counseling per gli adolescenti si caratterizza quindi come un servizio-intervento, con caratteristiche strutturali e professionali tipiche e specifiche adattate alla fascia di età a cui è rivolto ed ha lo scopo di sostenere la crescita dei giovani. I programmi che vengono attuati attraverso questo tipo d’intervento sono rivolti al miglioramento delle capacità di fronteggiamento, mirano allo sviluppo di un ambiente sociale adeguato e cercano di conseguire, come risultato finale, la promozione della salute fisica e mentale.

 

L’ambito su cui agisce il counseling per gli adolescenti è di tipo psicoeducativo, con interventi mirati a rafforzare competenze emotive e cognitive. Potenziando la capacità di coping ed altre abilità personali è possibile prevenire i fattori di rischio per la salute, a cui possono andare incontro gli adolescenti. I programmi attuati durante il processo di counseling possono prendere in considerazione diversi aspetti, come:

 

il ruolo svolto dalle credenze;

la capacità di prendere decisioni;

la capacità di risolvere i problemi;

il pensiero creativo;

il pensiero critico;

la comunicazione efficace;

la capacità di avere relazioni interpersonali;

l’autoconsapevolezza;

la gestione delle emozioni;

la gestione dello stress.

 

Queste abilità di vita vengono sviluppate, identificate nei ragazzi e rafforzate, in modo da favorire l’adattamento individuale. Un intervento preventivo, svolto sugli adolescenti, mira soprattutto ad insegnare ai ragazzi a gestire lo stress legato allo svolgimento dei compiti connessi alla loro crescita. In modo particolare mira a sviluppare in loro, una flessibilità di strategie che permetta ai giovani, di accedere ad un repertorio personale di abilità tale per cui sia possibile fronteggiare adeguatamente situazioni molto diverse tra loro, per impedire lo sviluppo di condotte antisalutari.

 

Bibliografia

 

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