La psicologia del giocatore d'azzardo
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Gioco come svago liberatorio, gioco come professione. Locus amoenus che rompe la monotonia quotidiana...e ritempra dalle fatiche lavorative, voragine in cui si può precipitare. Debiti di onore, vincite improvvise, disgrazie progressive. Gioco come "metodo scientifico", gioco come superstizione. Gioco che libera e gioco che schiavizza. Come si spiega la psicologia del giocatore d'azzardo? Cosa ci spinge a scommettere fino al punto di mettere a repentaglio le nostre vite? Su Wikipedia, enciclopedia online, troviamo questa definizione: "Il gioco d'azzardo consiste nello scommettere denaro o altri beni sul futuro esito di un evento....In genere questo evento può essere un gioco di società come la roulette o l'ordine di arrivo di una gara, come le corse dei cavalli, ma in linea di principio qualsiasi attività che presenti un margine di incertezza si presta a scommesse sul suo risultato finale, e quindi può essere oggetto di gioco d'azzardo".Come da definizione, quando si parla di gioco d'azzardo ci si riferisce al gioco con finalità di guadagno, in cui la vincita e la perdita dipendono quasi esclusivamente dal caso e dalla fortuna. Quindi, qualsiasi attività ludica che implichi una certa somma di iscrizione e delle possibilità di vincere del denaro. Queste possibilità rimangono comunque, quasi interamente, al di fuori del controllo del giocatore. Fin dall' antichità l'esperienza dell'azzardo ha esercitato il proprio fascino sulla natura umana, in tutte le culture. L'etimologia della parola "azzardo" riporta al francese "hasard" e questo a sua volta al termine arabo "az-zahr", che si riferisce all'antichissimo gioco dei dadi, uno dei primi legati all'azzardo. Ma quella dei dadi non è l'unico tipo di attività ludica dell'antichità in cui i partecipanti scommettevano: nel 2300 a.C. in Cina era praticato il "wei ch'i", gioco di abilità in cui gli spettatori scommettevano sul risultato.
Ricca di somiglianze con la condizione dell'homus ludens contemporaneo sembra essere la condizione di Nala, protagonista di un racconto della mitologia indiana del VI secolo a.C..
Secondo la leggenda, Nala, i cui dadi furono stregati da un demone, non poté fare a meno di giocare e scommettere. Perso il regno e tutti i suoi averi, Nala decise di andarsene e scappare in esilio; infine, riuscì a riscattarsi da questa condizione di dipendenza, sconfiggendo il demone e riottenendo il suo regno con dei dadi non truccati. Insomma, l'archetipo del giocatore d'azzardo moderno. Anche nella mitologia greca ritroviamo il gioco d'azzardo, ad esempio nella cosmogonia, ove gli dei si giocarono l'universo: a Zeus e Poseidone, vincenti, andarono cielo e mare, il perdente Ade finì negli inferi. Ancora, gli antichi romani, inventori dei dadi a 6 facce, sembrano essere stati degli accaniti giocatori d'azzardo: corse ai cavalli e lotterie in primis. Connaturata con il gioco d'azzardo, inoltre, pare essere la propensione a barare, confermata dal ritrovamento, nei pressi di Pompei, di dadi appesantiti da un lato. Il gioco d'azzardo è stato inoltre descritto da grandi letterati, da romanzieri di ogni nazione ed ha attratto giocatori e giocatrici, illustri o no, famosi o sconosciuti. "Il giocatore", ad esempio, romanzo di Dostoevskij, è stato pubblicato nel 1866 e scritto per necessità: debiti di gioco. Assodato che il gioco d'azzardo è presente in tutte le culture e civiltà umane appare utile soffermarsi a riflettere su cosa spinge l'essere umano a scommettere. Il gioco d'azzardo può essere inteso come divertimento, interruzione dalla routine quotidiana, libertà dalla ripetitività dell'esistenza, piacere di mettersi in gioco, desiderio di onnipotenza, ambizione di vittoria. Operano simultaneamente pulsioni contrapposte: da un lato, l'irresistibile attrazione verso il rischio, le emozioni forti, il mito dei soldi facili, dell'intraprendenza e dell'audacia; dall'altro, le pulsioni di rifiuto, censura morale, preoccupazione, tensione, paura, sofferenza. Il gioco d'azzardo dipende da un impulso incontrollato che porta ad un'azione quasi coercitiva, una "coazione a ripetere" citando le parole di Freud, una costrizione a reiterare un certo rituale per raggiungere l'appagamento di un desiderio il più delle volte nascosto che è quello di sfidare la sorte, il fato, di ottenere la soddisfazione di impulsi atavici che possono compensare la persona di affetti non goduti o non appagati, o di attenzioni da parte dei genitori invano attese, inutilmente richieste e non ottenute, e di cui un soggetto è stato mancante. Ebbene, da tutto ciò consegue che tracciare un preciso identikit della psicologia del giocatore d'azzardo è del tutto vano. Ognuno possiede, in modo diverso, qualcosa del giocatore d'azzardo. Per approcciarsi adeguatamente all'individuazione degli indicatori della patologia da gioco, è estremamente importante chiarire, anzitutto, la necessità di operare una distinzione tra giocatori d'azzardo e giocatori patologici . Il giocatore compulsivo, infatti, si pone lungo un continuum che conta diverse tappe dai confini spesso sfumati che vanno dal gioco occasionale, al gioco abituale, al gioco a rischio fino al gioco compulsivo. Di conseguenza, il gioco d'azzardo patologico si configura come un problema caratterizzato da una graduale perdita della capacità di autolimitare il proprio comportamento di gioco, che finisce per assorbire, direttamente o indirettamente, sempre più tempo quotidiano, creando problemi secondari gravi che coinvolgono diverse aree della vita. Un giocatore veramente dipendente è una persona in cui l'impulso per il gioco diviene un bisogno irrefrenabile e incontrollabile, al quale si accompagna una forte tensione emotiva ed una incapacità, parziale o totale, di ricorrere ad un pensiero riflessivo e logico. L'autoinganno e il ricorso a ragionamenti apparentemente razionali assumono la funzione di strumenti di controllo del senso di colpa e innestano ed alimentano un circolo autodistruttivo in cui, se il giocatore dipendente perde, giustifica il suo gioco insistente col tentativo di rifarsi e di "riuscire quantomeno a riprendere i soldi persi", se vince si giustifica affermando che "è il suo giorno fortunato e deve approfittarne", sottolineando una temporanea vittoria che supporta, attraverso una realtà vera ma alquanto instabile e temporanea, questa affermazione interiore o esteriore. Si può parlare di una vera e propria "dipendenza dal gioco d'azzardo" se sono presenti sintomi di tolleranza, come il bisogno di aumentare la quantità di gioco, sintomi di astinenza , come malessere legato ad ansietà e irritabilità associati a problemi vegetativi o a comportamenti criminali impulsivi e sintomi di perdita di controllo manifestati attraverso incapacità di smettere di giocare. Dal momento in cui il gioco d'azzardo patologico è stato riconosciuto come un vero e proprio disturbo psicologico, distinto da altre problematiche, sono stati sviluppati diversi programmi di intervento sul problema che spesso viene ormai affrontato in vere e proprie comunità di recupero. Altrettanto utili sembrano i risultati legati alla partecipazione dei giocatori a gruppi di auto-aiuto per Giocatori Anonimi, fondati su diverse tappe per l'uscita dal problema, dal suo riconoscimento, alla condivisione, ai traguardi verso l'abbandono basati sull'analisi delle tecniche di autoinganno comuni che spesso vengono più facilmente osservate nei racconti degli altri che rispecchiano i propri pensieri. Ciò che va sottolineato è che, attraverso metodi individuali, di gruppo terapeutico, di auto-aiuto o di comunità, gli obiettivi terapeutici vanno sempre centrati sulla possibilità di modificare, oltre che il comportamento di gioco, il substrato cognitivo fatto di pensieri legati all'idea che prima o poi arriverà il giorno in cui il gioco potrà cambiare la propria vita risolvendo magicamente i propri problemi. In definitiva, scommettere può essere una esperienza esaltante, eccitante, ma occorre che non degradi e non si trasformi in una vera e propria malattia dell'anima. Quando diventa un'oscura necessità della persona, allora significa che il giocatore è entrato in un tunnel, in un cerchio tragico e stregato dal quale non riesce ad uscire, mentre chiunque voglia penetrarvi non riesce a farlo. Il soggetto è isolato, rinchiuso nella sua solitudine, perso nei suoi oscuri e logoranti pensieri e spesso la famiglia può fare molto poco. La psicoterapia può sortire effetti di pulizia e di sutura di questa infezione psichica, di questa sindrome complessa e pertinace, ostinata, persistente che assale il soggetto e non lo molla sino alla rovina sia sul piano finanziario che su quello del proprio essere. La psicoterapia può portare il soggetto verso la nascita o il risveglio di un Io forte e volitivo. Ma è un lavoro lungo, e faticoso. Se per lo psicoterapeuta è una sfida difficile, per la famiglia il più delle volte è un'impresa impossibile.