"La violenza è il linguaggio di chi aspira al potere"
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La professoressa, pedagogista clinico dell'Anpec, docente di filosofia e scienze umane, esperta in interventi educativi e comportamentali parla della violenza come "segnale di un vuoto personale, sociale, educativo e culturale"
Pesaro, 4 febbraio 2009 - "La violenza sulla donna, sullo straniero, sul diverso da sè, è il segnale di un vuoto personale, sociale, educativo e culturale. La violenza è il linguaggio, l'avvertimento di chi non ha potere e aspira ad averlo, di chi si sente escluso verso chi è integrato".
E' quanto evidenzia la professoressa Giuliana Ammannati, pedagogista clinico dell'Anpec, docente di filosofia e scienze umane, esperta in interventi educativi e comportamentali. "Gli adolescenti e i giovani organizzati in branco - continua - sono sempre più determinati a farsi sentire e notare dagli adulti, per avere riconoscimento pubblico, anche con comportamenti violenti dei quali poi tendono a giustificarsi per aver fatto uso di alcol e droghe".
"Niente di più insensato, perché questo fatto semmai costituisce un'aggravante e non una giustificazione per il comportamento irresponsabile e violento. Pertanto la scuola è più che mai luogo ideale per la crescita affettiva e morale della persona e per educare alla convivenza civile con un diverso da sé, chiunque esso sia: conosciuto o sconosciuto, italiano o straniero, uomo o donna, sano o portatore di handicap".
"Quindi - conclude la Ammannati - bisogna investire in ambito educativo e promuovere l'educabilità della persona. E' opportuno, inoltre, colmare il vuoto sociale e sanare la forte crisi relazionale, attuare l'integrazione e la socializzazione, impedire il degrado dei quartieri periferici, vietare alla criminalità di veicolare modelli negativi, vigilare affinchè la violenza non diventi il linguaggio dominante di cinema e televisione. Infine è necessario favorire l'evoluzione culturale".