L’alcolismo: una malattia progressiva, inguaribile e mortale. Testimonianze dal mondo degli A.A.
L’alcolismo: una malattia progressiva, inguaribile e mortale
“Osservando la porta di casa perforata con un pugno da uno dei miei figli ho rivisto, oltre a quel buco, le loro urla, il loro disprezzo e la loro sofferenza rispetto alla mia dipendenza dall’alcol. Ora capisco che dietro quel gesto estremo c’era un richiamo d’amore, che io non volevo né sentire né vedere. L’alcol mi gratificava e non mi accorgevo che mi portava all’isolamento, all’impotenza e all’abbandono”. (da AA ‘L’Alcolista e i figli’)
L’alcolismo è uno spaccato della società moderna che troppo spesso rimane invisibile: si percepisce una certa reticenza nel parlarne e questo forse è dovuto al fatto che erroneamente viene percepito come un problema della società contemporanea e occidentale e non come una vera malattia. Probabilmente è per primo l’alcolista che non ne vuole parlare, perché non la riconosce come malattia, o per paura di essere giudicato.
L’alcolismo è stato riconosciuto nel 1956 dall’organizzazione mondiale della sanità come una malattia progressiva, inguaribile e mortale. L’alcolismo si trova, infatti, al terzo posto come causa di mortalità dopo le malattie cardiache e il cancro. Nessuno sa esattamente perché ad un certo punto alcuni bevitori diventino alcolisti; l’alcolista è colui che non è in grado di controllare il suo rapporto con il bere, finché non riconosce di essere affetto da questa malattia.
L’attività quotidiana della nostra redazione è quella di raccontare le storie del territorio, conoscere i protagonisti che lo animano, analizzare la situazione economica e sociale che lo caratterizza e dare spazio alle voci di coloro che, in un modo o nell’altro, continuano a sognare e a ottenere risultati importanti. Anche questa volta non vogliamo essere da meno parlandovi dell’alcolismo non in termini medico/scientifici, ma entrando nella vita di quelle persone che con l’alcolismo hanno convissuto e continuano a convivere, con la consapevolezza che la loro volontà personale e mentale è più forte di qualsiasi altra sostanza che apparentemente può far star bene, ma realmente distrugge la persona portandola all’annientamento.
Il gruppo Alcolisti Anonimi di Po’ Bandino ha contattato la nostra redazione per far conoscere la loro realtà e per far capire alla società che non ci si può vergognare dell’alcolismo (si vergogna forse il diabetico di non poter mangiare lo zucchero?) e che è importante parlarne per guarire, condividere per vivere. La redazione è stata invitata ad una festa di compleanno, un compleanno dove in realtà non veniva festeggiato il giorno dell’anno in cui è nata una persona, ma il giorno dell’anno dal quale quella persona è riuscita a stare lontana dall’alcol, segnando in qualche modo una rinascita. In questa occasione ho personalmente conosciuto persone che mi hanno raccontato le loro esperienze con l’alcol e com’è cambiata la loro vita in funzione di questa sostanza, ma allo stesso tempo la fortuna di conoscere altre persone con la stessa malattia, capire cosa vuol dire condividere, imparare dai propri errori e riuscire con la buona volontà ad acquisire fiducia in sé stessi.
Il gruppo Alcolisti Anonimi (AA) nasce negli Usa nel 1935 dall’incontro di un agente di borsa di Wall Street e un medico chirurgo dell’Ohio; entrambi alcolisti, si resero conto che, condividendo le loro esperienze, potevano riuscire a mantenersi lontano dall’alcol. In Italia AA è attiva dal 1972 e si è rapidamente diffusa sul territorio nazionale dove oggi conta circa 500 gruppi di persone. L’unico requisito di accesso che devono avere tutti i membri è il desiderio e la volontà di smettere di bere. A Po’ Bandino il gruppo Alcolisti Anonimi é attivo da circa sei anni e conta persone di tutte le età, uomini e donne di ogni estrazione sociale, da molti comuni della Valdichiana, del Trasimeno e del perugino.
“Solo con l’alcol ci sentivamo sicuri di noi stessi. Spesso al termine di una festa avevamo l’abitudine di bere ancora un goccio e speravamo nelle occasioni, come feste o intrattenenti di qualsiasi tipo, per continuare a bere. Ci ubriacavamo anche quando non era nelle nostre intenzioni, cercavamo di controllare il modo di bere cambiando tipo di alcolici, imponendoci periodi di astinenza o promettendo di non bere. Bevevamo furtivamente, mentivamo su quando e quanto bevevamo, bevevamo anche sul lavoro, avevamo amnesie alcoliche, bevevamo al mattino presto con la convinzione di curare i postumi di una sbronza della sera prima o per tenere a bada paure e sensi di colpa, l’alimentazione si faceva precaria, come anche i rapporti con le persone”- sono questi i campanelli d’allarme che avvertono un bevitore che forse c’è qualcosa di più della semplice voglia di bere e che forse è il caso di fermarsi prima che la sostanza, come gli alcolisti chiamano l’alcol, si impossessi nel corpo e della mente.
Come mi spiegano alcuni membri del gruppo, un alcolista difficilmente riconosce di essere tale, difficilmente ammette di avere un problema legato all’alcol; facilmente però attribuisce la colpa del suo malessere al mondo esterno, agli altri e ai rapporti che ha con gli altri. Come erano le vostre vite in funzione dell’alcol?
“Le nostre vite erano diventate incontrollabili perché con il bere sono arrivati i problemi in famiglia e sul lavoro, ma nonostante tutto si tendeva a negare che ci potesse essere degli alcolisti. Si inizia con una sbronza al mese, poi una a settimana, una al giorno e poi via via senza accorgersi che la cosa stava sfuggendo di mano, anche perché tendiamo a pensare che con il bere si possano risolvere tutti i problemi”
Ancora più pericoloso è alternare drasticamente periodi di ubriachezza a periodi di astinenza dall’alcol, perché non porta alla guarigione, anzi l’astinenza può provocare forti tremori, allucinazioni e convulsioni. Come avete cominciato a bere?
“Io ho iniziato a bere – mi spiega un membro del gruppo – da giovane. Penso che nella vita ognuno di noi abbia una quantità consentita per l’assunzione dell’alcol, io quella quantità penso di averla finita già a 15 anni. Nel mio paese c’erano cinque bar e io mi fermavo in tutti, ogni giorno. Andando avanti con gli anni l’alcol mi faceva diventare bugiardo e tirava fuori di me tutti i peggiori difetti. Ero arrivato a nascondere una bottiglia di grappa dentro il cruscotto della macchina e a chi mi chiedeva cosa fosse quel liquido rispondevo che era diluente. L’alcolismo non è una dipendenza solo di chi ce l’ha ma trascina nel problema tutta la famiglia, vengono coinvolti mariti, mogli, genitori e i figli”.
I membri del gruppo di Po’ Bandino hanno età variabili, alcuni mi raccontano di essere padri e madri, e quindi mi viene subito da approfondire il rapporto con i figli.
“I figli degli alcolisti sono detti alateen, e sono figli forti che hanno imparato a non soffrire e a convivere con la malattia del genitore, non si nascondono sotto il letto quando uno dei due genitori rientra ubriaco e litiga con chiunque gli passi davanti. Per esperienza – mi spiega un membro del gruppo – mio figlio, già grande quando ho riconosciuto di essere un alcolista, non si nascondeva ma andava via, perché non voleva vedermi ubriaco e alterato emotivamente, mentre io cercavo tutti i pretesti per litigare. Per me era una fuga bere, era una fuga dalle mie responsabilità, io stavo bene”.
Un altro membro invece mi spiega: “Noi diamo la colpa agli altri per il nostro malessere ma in realtà siamo noi che ci sentiamo inadatti. Io ho iniziato a bere perché non riuscivo a rapportarmi con le altre persone, non riuscivo a parlare, ma grazie all’alcol ero più disinibito, parlavo più velocemente, mi rapportavo in maniera diversa. Alla fine però mi sono reso conto che non parlava più la persona ma la sostanza e il giorno dopo la sbronza non ricordavo niente, con chi avevo parlato e di cosa. Non siamo più noi che controlliamo la nostra vita, è sostanza che ci comanda”.
Una volta riconosciuta la malattia, perché avete deciso di frequentare gli Alcolisti Anonimi?
“Per la volontà di mettere in comune la nostra esperienza con altre persone in grado di capire la situazione, la voglia di guarire da questa malattia e rimanere sobri aiutando altri alcolisti con le nostre esperienze. Io personalmente sto bene perché attraverso gli altri membri ho acquistato la libertà e sono finalmente in condizione di decidere con la mia testa”.
Ma quindi un alcolista che entra a far parte degli Alcolisti Anonimi si può dire ‘guarito’?
“L’alcolista è sempre a rischio. Un alcolista rimane per sempre un alcolista perché come riprende in mano la sostanza ricomincia da dove era rimasto, nel mio caso dalla bottiglia di grappa già finita alle 7 di mattina nel tragitto casa-lavoro. Non è smettere di bere che è difficile, è il vivere fuori che lo è. Il programma degli Alcolisti Anonimi è fatto di 12 passi, 12 tradizioni e 12 concetti, se io smetto di bere, ma non faccio niente per approcciare il mio modo di vedere le cose è come se non avessi mai smesso. Se non cambio il mio atteggiamento, il mio modo di fare, il passo per ricominciare a bere è breve ed è come se nulla fosse successo. Quando bevevo ero io che volevo cambiare gli altri e non mi rendevo conto che invece a cambiare siamo noi. Frequentare Alcolisti Anonimi per noi è una palestra perché se non venissimo qua significherebbe, non tanto tornare a bere, ma ad essere quelle persone che hanno iniziato a farlo”.
(...omissis...)
copia integrale del testo si può trovare al seguente link: http://www.lavaldichiana.it/lalcolismo-malattia-progressiva-inguaribile-mortale/
(Articolo pubblicato dal CUFRAD sul sito www.alcolnews.it)