Le confessioni di Favre: "Io, il dolore e la dipendenza"
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Dentro la testa di un campione del football: come si sopporta il dolore, quanto è difficile restare in vetta per 19 anni. Il racconto dei momenti difficili tra pillole e alcol. E la volontà di migliorarsi sempre, in nome del padre, un coach di ferro.
di GIOVANNI MARINO
Nessuno può dire con certezza se lo rivedremo ancora in campo. A quasi 41 anni, dopo 19 straordinarie stagioni nella Nfl, Brett Favre sta combattendo, ancora una volta con il suo amletico, antico dubbio: mi ritiro? O ci provo ancora? Visti i precedenti - solenni annunci per dire che la smetteva lì, smentiti da altrettante solenni dichiarazioni in cui annunciava di aver firmato nuovi contratti - crediamo che bisognerà attendere ancora, per capire. Per ora, l'ultima immagine agonistica di questa icona del football americana ci riporta a New Orleans, alla finale di Conference con quelli che sarebbero poi diventati i campioni del mondo: i Saints. In quel match, concluso ai supplementari, il numero 4 ha perso. Ha commesso un errore decisivo. Ma conta poco. Per chi ha in sè i valori dello sport puro, in quell'incontro Brett ha soprattutto combattuto. Contro avversari più forti. Contro l'assordante tifo del Superdome. Contro difensori scatenati che puntavano dritto alla sua incolumità. Contro un terribile placcaggio che lo ha azzoppato nel momento clou. Forza e fierezza, il tratto distintivo di Favre: colpito, claudicante, quasi incapace di muoversi, tumefatto persino in volto, non si è arreso. Davanti agli esterrefatti compagni è tornato in campo invece di restare in barella e ci ha provato, sino all'ultimo, a vincere. Solo chi fa, sbaglia. E Brett pensa ancora che l'importante sia provarci. In un mondo di modesti furbi calcolatori, di cinici programmatori del nulla, onore al quarterback. E onore a una intensa intervista-confessione resa a "Usa today" nella quale appare in tutta la sua umana fragilità. Il difficile rapporto col padre. La dipendenza dalle pillole. Quella dall'alcol. Gli insopportabili dolori fisici di una carriera durissima. Un ritratto vero, senza sconti, costruito sulle sue stesse parole, raccolte in due ore di conversazione dal giornalista Jon Saraceno.
IO E MIO PADRE - Lo chiamavano tutti "Big Irv", coach in una high school, morto sei anni fa per un infarto: era il padre di Brett. Era l'uomo che ha costruito uno dei più forti quarterback della storia. Non un tipo facile. "Se cresci in una famiglia con un allenatore di football che sembra un sergente martellante non puoi che venir su come un tipo duro. I suoi consigli erano perentori, del tipo: "Muovi il culo". Senza contare che la maggior parte delle volte lo stavo già facendo. Cercavo le sue attenzioni. Ma lui era così e mi sono anche sentito ferito, a volte". Quanti rimpianti quando c'è un rapporto simile. "Non ha mai detto che ci amava, a noi bambini. Ma noi lo sapevamo. E viceversa: non glielo abbiamo mai detto". Irv Favre chiedeva il massimo ai suoi figli. Spiega Deanna, moglie di Brett: "Mio marito provava a impressionare il suo allenatore, ma al contempo provava anche a rendere orgoglioso suo padre, un doppio sacrificio per lui". E il qb conferma: "Mi sentivo sempre come se stessi provando a dimostrargli che potevo lanciare a 80 yard e anche attraverso un muro".
IO E LE PILLOLE - "Ho avuto seri problemi con le pillole del dolore", rammenta. Nel 1996 la Nfl, la National football league convinse il quarterback a trascorrere due mesi di riabilitazione alla Menninger Clinic di Topeka, nel Kansas. Minacciò più volte di volersene andare da lì ma gli ufficiali della lega furono irremovibili: "Bene: fallo e non giocherai". Adesso Brett prende 800 milligrammi di Ibuprofene tre volte al giorno e fortunatamente è da considerarsi passato remoto il tempo in cui assumeva, invece, forti dosi del narcotico Vicodin, che genera una forte dipendenza, per sconfiggere i traumi fisici causati dal football.
IO E L'ALCOL - "Non avevo bevuto per dodici anni, neppure una goccia per dodici anni", racconta Favre aprendo il capitolo dei suoi problemi con l'alcol. Seri, al punto da dover ricorrere anche lì a un periodo di riablitazione: "Mia moglie Deanna mi aveva dato un ultimatum: devi smetterla o vado via". Il bello è che Brett ammette di non aver mai amato il sapore dell'alcol ma, in un certo periodo della sua vita, solo i suoi effetti. Superato anche questo problema il numero 4 è diventato un punto di riferimento per altri giocatori che hanno avuto guai simili. Li mette in guardia sui pericoli e sulle ricadute.
IO E IL DOLORE FISICO - "Ad esempio qualche settimana fa mi sono sentito malissimo: le caviglie, poi. Non c'era movimento, scendendo giù dal letto, che potessi fare. Zoppicavo. Sette giorni prima ero stato colpito a una spalla. Ho provato a sollevare le braccia ed era come se fossero gravate da un peso di venti pounds". Favre gioca da quando era un bambino, provate a immaginare quanti colpi ha dovuto sopportare il suo fisico. I muscoli di spalle e braccia hanno subito seri infortuni e soffre di un male degenerativo all'anca. E se gli chiedi delle commozioni cerebrali, argomento delicato per tutti i giocatori, ti risponde così: "Non è un problema da ridere, ma ne ho avute più di quante ne possa ricordare. Certo, ti fanno vedere un po' le stelle ma insomma, capiamoci, questo è il football, ragazzi".
LA MIA FILOSOFIA - Come si fa a rimanere sempre competitivi? Anche quando i capelli cominciano a farsi bianchi, ossa e muscoli ti fanno un male cane ogni mattino e ogni sera e devi incontrare ragazzi sempre più giovani e forti? "So che non sto facendo del bene a me stesso continuando a giocare, so che è una sorta di follia". E torna il ricordo del papà-coach che lo criticava sempre, fin nei più insignificanti dettagli e lo teneva costantemente sulla corda. Generando in Brett insicurezza forse, ma anche voglia di abbattere ogni limite. E di andare avanti, sempre. "Perché tu vali solo quanto il tuo ultimo passaggio e parte del mio successo è dovuto al fatto che sentivo di dover provare qualcosa anche dopo essere stato eletto per tre volte miglior giocatore della lega. Questo aspetto non è cambiato oggi". Forse non rivedremo più Brett Favre in campo. O forse sì. Sicuramente, quando appenderà il casco al chiodo non sarà un bel giorno per il football, la Nfl e lo sport.
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