Le tragedie della strada raccontate da un poliziotto
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IL LIBRO. «La folle corsa» di Antonio Savoldi presentato in libreria
Il lavoro nella Polstrada ha portato l'autore a interrogarsi sul senso della vita e della morte
bresciaoggi.it 3 dicembre 2009
Antonio Savoldi è sì un poliziotto e uno scrittore, ma è anche un uomo, un padre di famiglia e un marito. La molteplicità dei ruoli che si è trovato a vivere ogni giorno hanno creato in lui l'esigenza di mettere nero su bianco la rapida e «disordinata» sequenza de «La folle Corsa», il suo primo libro edito da Marco Serra Tarantola e presentato ieri sera nell'omonima libreria di corso Zanardelli. 250 pagine scritte per dare voce a tutti coloro che nella vita sono in perenne corsa: col tempo, con l'acceleratore di automobile e motorino, e con la smania di arrivare per primi alla meta.
Antonio nella sua esperienza di poliziotto della stradale ha assistito spesso alla tragica conclusione di quelle corse, ha fotografato le vittime mentre giacevano senza vita sull'asfalto, ha avvertito le loro famiglie del decesso, e ogni volta che faceva ritorno a casa ha pensato: «Perchè gli uomini decidono di sfidare la vita? Che senso ha avere una condotta sconsiderata se il traguardo più probabile è la morte?». Savoldi risponde attraverso un linguaggio informale intercalato da uno slang tutto bresciano.
«Il lutto crea un vuoto che ricade inesorabile tra i familiari della vittime - spiega Antonio Savoldi - ma che forse avrebbe potuto essere evitato attraverso un' interazione più attenta e un'educazione preventiva dei rischi». Per la stesura del volume l'autore si è avvalso dei consigli della collega Federica Deledda, neo comandante della Polstrada di Cremona, e dell'amico e insegnante Massimo Rossi. «Lavoro sulla strada da sempre, ho visto morti di ogni genere, ma ancora oggi quando intervengo sul luogo di un incidente stradale mortale mi soffermo a pensare: perchè tutti questi morti non vengono percepiti come lutti collettivi invece di essere attribuiti solo alla follia di una generazione da sballo?».
Nella seconda parte del libro Antonio Savoldi si rivolge invece a tutti quei genitori che restano alla finestra ad osservare la vita dei figli senza cogliere i segnali di disagio che trasudano dai loro jeans e dal gel con cui si riempiono i capelli. «Mi piacerebbe che i genitori tornassero a guardare in faccia i propri figli, a controllare le pupille degli occhi per scoprire se hanno fatto uso di alcool e droga, a frugare nel portafoglio e ad annusare i vestiti - ha concluso l'autore - il disagio dell'agio del quale soffrono le nuove generazioni può essere fermato solo con il dialogo, la prevenzione e l'educazione familiare e scolastica. Il resto sono solo palliativi».