Lo stordimento come status ...
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La prima e direi l'ultima vera sbornia della mia vita, di quelle che stendono a terra con le traveggole e il respiro mozzo, fu ai tempi del liceo, dovuta a una pessima grappa commerciale il cui sapore di plastica fusa, quasi quarant'anni dopo, mi dà ancora il voltastomaco. Ci si ubriacava anche all'epoca, da ragazzi, e ci si ubriacava per emulazione e per iniziazione all'età adulta, esattamente come adesso. La differenza, non piccola, era che la sbornia era vista come una prova estrema e non come una regola. Era un passaggio cruciale, uno svalicare dall'infanzia al territorio successivo, diciamo un Gran premio della montagna. Oggi temo sia diventata una delle tante tappe di pianura, routine di gruppo, con il plotone compatto. Ovvero: l'alcol, così come tutti i consumi di forte impatto sul metabolismo, ha perduto ogni connotato di eccezione o di sgarro o di avventura, è appunto un consumo come gli altri, e così come "il drogato" quasi non esiste più - ha lasciato il posto a un esercito di consumatori abituali di droghe - non esiste più l'ubriaco. Esiste l'alcolismo medio e mediocre di ogni sera e ogni notte, l'assuefazione all'alterazione, lo stordimento come status, e questo è un vero peccato non solo perché avvelena un poco alla volta, senza infamia, ma perché leva il brivido dei picchi di esperienza, e al tempo stesso alza talmente il livello di intossicazione da cancellare la percezione del rischio, e del danno. Allo stesso modo del tirare tardi (quel fare l'alba che dava il brivido dell'oltranza e adesso sembra il turno di notte di operai dello svago, ogni notte per infinite notti), bere forte ha smesso di essere un'esperienza per diventare una moda giovanile, e a costo di sembrare vecchi barbogi (ma poi forse dobbiamo rassegnarci a esserlo) viene da dire che questa bulimia dei desideri, dell'insonnia, dei drink, di tutto è il problema supremo di chi ha meno di trent'anni. E si trova a girare molto forte nella sua ruota, come il criceto, senza avanzare di un centimetro. Le mode bigotte che vengono dagli Usa, tipo i rinverginati, i neo-casti, i neo-sobri, i virtuosi rinati di varia e vasta gamma, sono una risposta reazionaria e parecchio isterica a uno sbraco di massa, a un'orgia discount che non sazia mai, e alla fine delude sempre. Cercare di mettete in guardia i più giovani dalla vacuità della fiesta perenne cui paiono devoti è ad alto rischio di moralismo, dunque di inutilità. Per fortuna, inattese ma formidabili, ci sono le occasioni insolite, le opportunità di crescita vera. Mi è capitato di accompagnare tre giovanotti in Langa, e vederli improvvisamente docili e devoti a un maestro di quelli veri, che ha stappato per loro un Barolo del '71 e li ha iniziati ai profumi e ai sapori di una bottiglia magica. La Qualità ha fatto irruzione nel mondo delle quantità, ha rimesso d'un tratto in riga - magari solo per una sera, ma intanto era una sera - il fiume di beveroni di bassa lega che per quei ragazzi è "l'alcol". Hanno apprezzato e capito, hanno colto il rito nuovo, i gesti lenti, la percezione profonda, insomma la Cultura di un bere che, come tutti i beri, può anche uccidere, ma più spesso serve a far vivere e a soprattutto a far conoscere. Come sempre, le parole e le prediche sono lettera morta - sono acqua. Invece l'esempio, l'esperienza, la disponibilità degli adulti, la messa in comune delle cose belle e delle cose buone, sono le uniche armi efficaci. Bere poco e bene sembra uno slogan da pubblicità progresso. È invece una frase d'amore - non di obbligo, non di restrizione - che può aiutare molti giovani naufraghi a cavarsela, nel mare limaccioso dei consumi compulsivi e mediocri.