Malati di gioco: alcune storie di giocatori compulsivi
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«Quando sento la musica e il rumore dei soldi, già so se vincerò oppure no. È il gesto a sedurmi, non la vincita»
MILANO - «Mi alzo alla mattina e il primo pensiero è quello di andare a giocare alle slot machine. Per me sono meglio di una donna. Quando sento la musica e il rumore dei soldi mentre entrano nel ventre dell'apparecchio, già so se vincerò oppure no. È il gesto a sedurmi, non la vincita. Sono qui per guarire, ma non so se guarirò, non posso garantirlo. È troppo forte il richiamo. È come un orgasmo». È Carlo a raccontare la sua storia, un uomo di straordinaria intelligenza: pacato, solerte, lucido e critico, durante una terapia di gruppo. Le scarpe le ha lasciate fuori dall'aula di ascolto insieme alle altre dei ludopatici che hanno deciso di provare a smettere. Una volta per tutte.
ANNA - Poi c'è Anna, la figlia di un giocatore d'azzardo. «Anche mio padre giocava grandi somme in gioco - dice Anna C., 34 anni libera professionista di Milano - eppure sapendo cosa significava vivere con i debiti e le bugie, sono diventata per reazione molto legata al denaro. Avevo addirittura una moleskine dove segnavo quotidianamente le entrate e le uscite, nonostante fossi universitaria. Ho nascosto per anni alle mie amiche il problema del gioco, anche se certe occhiate valevano più di mille parole. Per discrezione nessuno mi ha mai detto niente, ma tutti sapevano che ero la figlia di un ludopate accanito e io ho voluto sfidare il mio passato». Siamo al centro Casavilla di Cornaredo, alle porte di Milano, in una struttura arcivescovile convertita in residenza di cura per i giocatori compulsivi, - chiamati GAP, acronimo di giocatori d'azzardo patologici - , grazie al sostegno della regione Toscana.
127 CASI IN TRE ANNI - Ci sono le galline che scorrazzano libere, le ceneri di quel che è rimasto di una vita di campagna alle porte della grande metropoli e un silenzio meditativo che può essere la discesa verso l'inferno di se stessi, con un conseguente ritorno alla vita per chi è finito nel baratro della dipendenza da gioco. «In tre anni di intervento - dice Roberto Zerbetto, il direttore scientifico del progetto Orthos - abbiamo analizzato 127 casi. C'è di tutto, dall'impiegato al manager, dalla madre di famiglia all'operaio specializzato, dal disoccupato al teenager. Stiamo provando in forma sperimentale in attesa di fondi, dei trattamenti ambulatoriali e residenziali mirati al superamento delle condizioni di dipendenza, che vanno dal gioco d'azzardo patologico, alla sex addiction, all'abuso di Internet». Abbiamo chiesto ad Andrea Pompili, 34 anni, di Roma, che è uno degli psicologi specializzati che ha trattato con mano i giocatori compulsivi, come si fanno a riconoscere i sintomi e quando è il caso di ritenere il processo in corso un campanello di allarme anche per i familiari. «Quando il gioco d'azzardo diventa invalidante per la vita quotidiana, vale a dire quando giocare diventa la priorità di una persona, suona l'allarme. Bisogna tener presenti questi indicatori: il giocatore ha bisogno di giocare e giocare somme di danaro sempre maggiori; cerca di smettere senza successo e quando ci provava risulta irascibile ed nervoso; gioca d'azzardo per sfuggire ai problemi; sistematicamente torna a giocare per rifarsi delle perdite subite; mente alle persone care per nascondere quanto gioca; commette azioni illegali o si indebita per ottenere il denaro per giocare; per il gioco mette a rischio ciò che ha di importante: gli affetti, il lavoro, la scuola».
IL PROFILO DEL GIOCATORE COMPULSIVO - Ma quando un giocatore comincia a riconoscere la sua «malattia»? «Il giocatore compulsivo a differenza degli alcolisti o di chi è dipendente da sostanze stupefacenti, manifesta all'esterno molto meno la propria problematica - sottolinea ancora lo psicologo - e riesce a mantenerla nascosta per molto tempo. Per cui il problema emerge solo quando compaiono gravi problematiche economiche come debiti o comportamenti illeciti». Però venirne fuori è possibile. «Esistono diversi servizi che offrono un supporto di primo aiuto sia telefonico sia online - spiega il dott. Pompili - e che possono fornire indicazione sulle strutture territoriali alle quali rivolgersi per la terapia. Ad oggi risultano molto efficaci le cosiddette terapie residenziali che aiutano a bloccare il circolo vizioso che lega il gioco a gravi problemi anche di natura economica. In queste terapie la persona si reca per un certo periodo in luoghi appositi dove si seguono trattamenti di gruppo stando fuori dal proprio contesto abituale seguiti 24 ore su 24. Sul lungo periodo, per diminuire il pericolo delle ricadute, risultano utili anche trattamenti individuali e sulla base della mia esperienza posso affermare che il trattamento con l'ipnosi produce buoni risultati».