338-1938888 o 331-2460501/2/3 o 0172-55294[email protected]

News di Alcologia

Malattie cardiovascolari: fattori di rischio

cufrad news alcologia alcol fattori di rischio malattie cardiovascolari

Tra i fattori di rischio più importanti per malattia cardiovascolare vi sono il diabete mellito, l'ipertensione arteriosa,

l'ipercolesterolemia, il fumo e l'obesità addominale
E' importante riconoscere precocemente la presenza di questi fattori, che spesso si associano tra loro
Il controllo dei fattori di rischio cardiovascolare ha un impatto positivo sugli eventi se tale controllo è adeguato
E' importante conoscere ed utilizzare anche i nuovi marker per la valutazione dell'aterosclerosi, tra cui spicca la PCR ad

alta sensibilità
I consecutivi stadi evolutivi dell'aterosclerosi comprendono la formazione e l'accrescimento della placca aterosclerotica e

la successiva destabilizzazione predisponente alla sua rottura ed alla successiva trombosi intravascolare. Il processo

infiammatorio che porta allo sviluppo dell'aterosclerosi riconosce infatti diversi fattori di rischio, distinti in ambientali

e genetici. Tra questi i fattori di rischio trattabili o modificabili (quali ad es. il fumo, la dislipidemia, l'ipertensione

ed il diabete) rappresentano il cardine dell'intervento medico, sia farmacologico che non farmacologico. Tra i fattori di

rischio più importanti per malattie cardiovascolari vi è sicuramente l'ipertensione arteriosa. E' ormai infatti ben nota la

correlazione lineare tra mortalità cardiovascolare ed incremento della pressione. Ad esempio per ogni incremento di 20 mmHg

di pressione sistolica o di 10 mmHg di pressione diastolica il rischio di mortalità cardiovascolare raddoppia. Anche piccoli

aumenti della pressione incrementano il rischio: ad esempio incrementi di 2 mmHg della pressione aumentano il rischio di

mortalità coronarica del 7% e del 10% di ictus. Il trattamento dell'ipertensione arteriosa riduce le complicanze

cardiovascolari. I risultati combinati di 17 trial randomizzati, trattamento attivo contro placebo, della durata media di 3-5

anni, hanno dimostrato una riduzione della pressione arteriosa di circa 10-12 mmHg per la sistolica e di 5-6 mmHg per la

diastolica nel braccio a trattamento attivo. Tali effetti hanno determinato benefici significativi nei confronti di tutti gli

end-point maggiori, ma più evidenti in termini di riduzione di scompenso cardiaco e di ictus.

Una recentissima meta-analisi di grandi trial farmacologici dimostra come sia importante ridurre la pressione,

indipendentemente dal farmaco usato. Infatti non si sono osservate differenze tra le varie classi di farmaci antiipertensivi

in termini di prevenzione degli eventi, soprattutto per quanto riguarda l'effetto sulla malattia coronarica. Riduzioni anche

piccole di pressione diastolica nella popolazione generale potrebbe avere un grande impatto in termini di riduzione di ictus

e di eventi coronarici. Dati dal Framingham Heart Study, studio di coorte longitudinale e dal National Health and Nutrition

Examination Survey (NHANES II), sono stati usati per valutare l'impatto di una strategia di popolazione mirante a ridurre la

pressione diastolica in media di 2 mmHg. Tale riduzione si è dimostrata associata ad una riduzione del 6% nel rischio di

eventi coronarici e del 15% di ictus e TIA. Anche la cosiddetta pressione normale-alta è importante, in quanto associata ad

aumentato rischio cardiovascolare. L'associazione tra pressione basale ed incidenza di eventi cardiovascolari nel follow-up è

stata studiata in 6.859 partecipanti al Framingham Heart Study inizialmente esenti da ipertensione e malattie

cardiovascolari. L'incidenza cumulativa a 10 anni in soggetti di 35-64 anni con pressione normale-alta al basale (pressione

sistolica: 130-139 mm Hg; pressione diastolica: 85-89 mm Hg) era del 4% nelle donne e del 8% negli uomini. Negli anziani di

65-90 anni, l'incidenza di eventi cardiovascolari era del 18% nelle donne e del 25% negli uomini. Rispetto ai soggetti con

pressione ottimale, i soggetti con pressione normale-alta avevano un rischio relativo di 2,5 nelle donne e di 1,6 negli

uomini